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La scuola dopotutto è un’azienda

Con il Disegno di legge sulla scuola arrivano anche nuovi poteri per i presidi e criteri che, al contempo, ne delimitano parzialmente i poteri. La questione di fondo da affrontare è se la scuola debba essere intesa come un’azienda (seppure senza scopo di lucro) oppure no.

Nuovi poteri ai presidi
La Camera dei deputati ha approvato le norme del Ddl scuola che attribuiscono al dirigente scolastico il compito di conferire “incarichi triennali, rinnovabili, ai docenti assegnati all’ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature presentate dagli stessi”. Con più proposte di incarico, è il docente che sceglie. Per i docenti che non abbiano ricevuto o non abbiano accettato proposte, provvede l’ufficio scolastico regionale (articolo 9). I docenti già assunti in ruolo a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore della legge conservano invece la titolarità presso la scuola di appartenenza (articolo 8). Se il Senato (dove il governo ha una maggioranza risicata) confermerà la decisione della Camera, nel nuovo anno scolastico i presidi avranno nuovi poteri.
Il nuovo super-preside è sottoposto ad alcuni vincoli nell’esercizio del suo potere di scelta, indicati nell’articolo 7, comma 3: “a) attribuzione di incarichi di durata triennale rinnovabile (..); b) pubblicità dei criteri adottati dal dirigente per selezionare i docenti cui proporre un incarico, tenuto conto dei relativi curricula; c) pubblicità degli incarichi conferiti, della relativa motivazione a fondamento della proposta e del curriculum dei docenti sul sito internet della scuola; d) utilizzo del personale docente di ruolo in classi di concorso diverse da quelle per la quale possiede l’abilitazione, purché possegga titolo di studio valido all’insegnamento; e) potere sostitutivo degli uffici scolastici regionali in caso di inerzia dei dirigenti nella copertura dei posti.” Insomma, il preside (e la commissione che lo coadiuverà) avrà flessibilità nella scelta ma dovrà documentare pubblicamente come e perché ha fatto una certa scelta.
Per le organizzazioni sindacali la riforma trasforma il preside in un padrone delle ferriere con potere di offrire o negare lavoro a suo piacimento ai suoi “sottoposti”. In effetti, la legge regola la misura del “piacimento” del dirigente scolastico nel comma 8 dello stesso articolo, dove si legge che i dirigenti scolastici saranno valutati anche per come scelgono i loro docenti, oltre che per i risultati ottenuti: “In materia di valutazione dei dirigenti scolastici e nelle more della revisione del sistema di valutazione, si tiene conto dei criteri utilizzati dal dirigente per la scelta, la valorizzazione e la valutazione dei docenti e dei risultati dell’istituzione scolastica”. E’ un’indicazione di criteri generica e che rinvia a una ridefinizione del sistema di valutazione successiva rispetto alla legge di riforma che potrebbe non arrivare mai.
La scuola è un’azienda: senza scopo di lucro
Con la riforma della scuola di Renzi va in soffitta il sistema precedente, quello delle graduatorie a cui il dirigente scolastico doveva rigidamente attenersi. Vale la pena di ricordarne le caratteristiche principali. Con l’autonomia ottenuta nel 1997-99 (governi di centro-sinistra), il preside diventa un “dirigente scolastico” responsabile del buon funzionamento dell’istituto scolastico di cui è a capo, per questo pagato circa il doppio di un comune docente con la sua stessa anzianità di servizio. Le riforme di allora furono però riforme a metà. Questo perché rimase che gli obiettivi del dirigente “si realizzano con l’utilizzo delle risorse finanziarie e strumentali ma anche con l’organizzazione delle risorse umane assegnate alle scuole”. Parola chiave: “assegnate”. Il dirigente scolastico era responsabile come un amministratore delegato della scuola, ma non poteva scegliere i docenti della sua scuola. I docenti gli erano (sono) assegnati dagli istituti scolastici regionali che da graduatorie di aventi diritto con diritti determinati in modo arlecchinesco, cioè mettendo insieme – semplifico – i vincitori mai entrati in ruolo di varie sessioni di concorsi ordinari (per titoli ed esami) del passato con i vincitori di concorsi “abilitanti” solitamente più facili e riservati a una o un’altra categoria di precari meritevoli di tutela. In ogni caso, tuttavia, il buon funzionamento della scuola dipende da chi è in queste graduatorie, spesso figlie di iniquità e clientelismi del passato.
In definitiva, le proteste di oggi contro il Ddl scuola e in particolare contro il super-preside sembrano dipendere da un assunto: come ripetuto nelle piazze di tutta Italia da studenti e docenti, si dice che: “la scuola non è un’azienda”. Da qui si deve partire: la scuola è un’azienda. C’è l’azienda Fiat e c’è l’azienda Caritas. La Fiat ha scopo di lucro. La Caritas non ha scopo di lucro. La scuola assomiglia alla Caritas. E’ dunque anch’essa un’azienda, cioè un insieme di asset (attività di valore), combinati da un manager responsabile (il dirigente scolastico) con il supporto del consiglio di istituto (dove siedono studenti, docenti, genitori e personale tecnico-amministrativo) e del collegio dei docenti (con cruciali prerogative didattiche), per produrre servizi di istruzione agli studenti e alle loro famiglie nell’interesse della collettività. Della collettività, non di qualcuna delle categorie che vi partecipano. Per il futuro della scuola italiana è venuto il momento di discutere di questi temi in modo più aperto e approfondito di quanto fatto finora.

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26 commenti

  1. umbedx

    Ho la sensazione che chi associa scuola ad azienda o paese ad azienda non sappia bene nè cosa è un’azienda nè cosa è una scuola o un paese….

    • gmn

      Mettila così, allora:
      la scuola è una comunità e una comunità, per funzionare necessita di grande reponsabilità reciproca
      ma il preside non è responsabile della scelta dei docenti.
      Il provveditorato neppure
      L’insegnante non è responsabile della scelta della scuola
      l’insegnante non è responsabile del suo insegnamento perché non ne risponde a nessuno
      Il provveditorato non è responsabile delle graduatorie che usa
      Il parlamento e il ministro in carica non sono responsabili della formazione delle graduatorie formatesi con criteri stratificati nel tempo
      Il supplente non è responsabile della classe
      Il docente non è responsabile per il supplente.
      In breve: nessuno è responsabile di nulla: bella comunità!

    • Dario

      E’ chiaro che dipende dal contesto in cui si parla. Su un sito che tratta di economia come la voce il termine va bene. E’ importante capirsi o meglio volersi capire. Il rischio che invece mi sovviene di piu’ e’ che su questa materia si vada a una contrapposizione muro contro muro aiutato anche da scelta di non ritrovarsi su un linguaggio comune.

  2. Savino

    La scuola deve essere ancor più efficiente di un’azienda perchè è un servizio pubblico effettuato nei confronti di un target ben definito e delicato di fruitori, con l’obiettivo di educare, formare, far conoscere ed informare i cittadini ed i lavoratori di domani, che impatta sul futuro della società, sul mondo del lavoro e sul ruolo delle famiglie. La mamma Stato deve essere credibile agli occhi di tutti e deve volere per i suoi figli cittadini il massimo possibile dell’educazione e del sapere. Per tutto questo, la scuola non può rimanere ostaggio e non può più essere affidata alle clientele, ai lavativi, ai sindacalizzati, agli ideologizzati.

  3. roberto

    Pensare che un’azienda sia di per se efficiente e produttiva è creduto solo da chi in azienda non ha mai lavorato. l’efficienza si può ottenere anche con la condivisione degli obiettivi e non semplicemente con la gerarchia

  4. Dario

    Sono d’accordo con l’assunto che la scuola si possa assimilare ad azienda senza scopo di lucro come Caritas; il concetto pero’ va elaborato un po’. Invece nell’articolo ci si ferma al parallelo azienda senza affrontare il meccanismo di controllo da applicare in una azienda senza scopo di lucro. Se al preside vengono dati maggiori poteri, contemporanemente si deve applicare un maggiore controllo dal basso. I genitori e/o gli studenti dovrebbero poter dare una valutazione sull’attivita’ del preside. Non mi spingo a chiedere la rimozione in caso di valutazione negativa; sicuramente si possono trovare meccanismi intermedi di incentivazione a fare un efficente lavoro e contemporaneamente porre attenzione alle esigenze educative delle famiglie.

  5. giacomo

    La riforma affida ai dirigenti poteri di selezione e valorizzazione degli insegnanti. Ma non si sa assolutamente come saranno valutati gli stessi presidi. La proposta di legge afferma che i dirigenti scolastici saranno valutati anche per come scelgono i loro docenti, oltre che per i risultati ottenuti. Siamo nella vaghezza più assoluta, anche perché non si sa davvero cosa possano mai essere i “risultati ottenuti” (la scuola non produce tondino, che si può misurare). Ad aggravare la scelta, sta il fatto che i presidi attuali, come è noto, non son affatto stati selezionati secondo procedure serie. Non si vede davvero come ci si possa illudere che la scuola possa migliorare. Comunque, chi è convinto della bontà della riforma dovrebbe essere coerente e proporre la stessa cosa per le università: ossia che il preside di facoltà abbia il potere di selezionare e premiare i docenti migliori. Ma mi pare che il governo non si sogni di proporre nulla del genere per le università.

  6. Giacomo Bailetti

    La riforma affida ai dirigenti poteri di selezione e valorizzazione degli insegnanti. Ma non si sa assolutamente come saranno valutati gli stessi dirigenti. La proposta di legge afferma che i dirigenti scolastici saranno valutati anche per come scelgono i loro docenti, oltre che per i risultati ottenuti. Siamo nella vaghezza più assoluta. Cosa sono i “risultati ottenuti” da una scuola? La scuola non produce tondino, che è il “risultato ottenuto” da una acciaieria, oggettivamente misurabile. E poi: chi saranno coloro che valuteranno i presidi? Burocrati ministeriali? Ad aggravare la scelta operata dalla riforma, sta il fatto che i presidi attuali, come è noto, non son affatto stati selezionati secondo procedure serie. Per quale motivo questi ultimi sarebbero oggi diventati i selezionatori ideali dei docenti? Comunque, chi è convinto della bontà della riforma dovrebbe essere coerente e proporre la stessa cosa per le università: ossia che il preside di facoltà abbia il potere di selezionare e premiare i docenti migliori. Ma mi pare che il governo non si sogni di proporre nulla del genere per le università.
    Trovo davvero assurdo che si rappresenti il dibattito sulla riforma del governo come una battaglia tra due schieramenti: da un lato ci sono i conservatori che sono contro il merito e, dall’altro lato, ci sono gli innovatori a favore del merito.

    • Amegighi

      Forse prima di scrivere, avrebbe dovuto leggere la riforma dell’Università. Innanzitutto sono scomparsi i Presidi di Facoltà, perché sono scomparse pure le Facoltà, sostituite dalle Scuole che organizzano solo la didattica e non il reclutamento dei docenti.
      Quest’ultimo dipende dai Dipartimenti che scelgono i posti docente (purtroppo non ancora i docenti come in USA) sulla base del budget docenza affidato al Dipartimento stesso. All’eventuale scelta finale partecipano gli idonei della valutazione nazionale.
      Le dico, da docente universitario, che il sistema ha delle pecche, e anche grandi, volendo scimmiottare in Italia una situazione come quella anglosassone, dove il cardine fondamentale è la mancanza del valore regale del titolo di studio. Se ciò fosse anche in Italia, avremmo la reale competizione tra le Università (pubbliche e private) e quindi la scelta docenza sarebbe ben valutata.
      Per le Scuole Superiori si potrebbe pensare a un qualcosa di simile, togliendo la legalità del titolo di maturità, e lasciando liberi gli studenti (e i genitori) di scegliere come prepararsi al futuro universitario nella scuola non dell’obbligo. Alle Università la scelta di chi fare accedere come titoli, oppure semplicemente come test di entrata o come tutti e due, come in USA. Le scuole private sarebbero meno luoghi di facile apprendimento e le scuole pubbliche sarebbero stimolate a competere e migliorare.

  7. Renza Bertuzzi

    “È nella scuola che i diritti astrattamente descritti nella Costituzione diventano esercizio quotidiano, materia primaria di confronto e di palestra civile nel rapporto tra culture, religioni, questioni di colore e di sesso. Così è sempre stato. Si pensi alla figura della maestra suicida di Porciano, ai tempi della legge Coppino, quell’Italia Donati che portava nel nome le speranze del paese appena unificato. Alla creazione di questa scuola si sono dedicati i maggiori ingegni dell’Italia risorgimentale. Se gli italiani non sono più il “volgo disperso” descritto da Manzoni, se la Recanati di Leopardi non è più un “borgo selvaggio” ma ha uno splendido Liceo dove anche gli ultimi nipoti dello zappatore e della “donzelletta” possono studiare, è per merito di un percorso faticoso ma fondamentale di costruzione di una buona scuola. O vogliamo tornare alle biblioteche e ai soldi di famiglia, ai precettori privati e ai colleges per i più fortunati lasciando gli altri a incanaglirsi nelle scuole e nelle università di serie B?”.
    Adriano Prosperi, La Riforma della scuola è la sconfitta della politica”, La Repubblica, 19 maggio 2015.
    Altro punto di vista, non peregrino ma aderente alla nostra Costituzione.

  8. Vera

    una curiosità: come si può conciliare l’obbligo del concorso per vincere la cattedra con la facoltà di scelta da parte del preside? Qualcuno me lo dica: sono assolutamente sistemi confliggenti .O curriculum,colloquio e valutazione o concorso. Inoltre gli attuali presidi sono preparati per questo

    • francesco daveri

      Lo spiego all’inizio dell’articolo (per come l’ho capito). Si entra per concorso nell’albo dei docenti e poi si riceve un incarico triennale rinnovabile. Un docente con più di una proposta sceglie lui o lei. Ai docenti con nessuna proposta (o nessuna proposta soddisfacente) provvede l’ufficio scolastico regionale

  9. vera

    Una curiosità: come si può conciliare l’obbligo del concorso per vincere la cattedra con la facoltà di scelta da parte del preside? Qualcuno me lo dica. Sono assolutamente sistemi confliggenti. O curriculum, colloquio e valutazione o concorso. Inoltre gli attuali presidi sono preparati a questa funzione?

  10. fulvio

    Da docente concordo pienamente. E’ vero che i criteri di valutazione dei presidi vanno definiti, ma cominciare a discutere laicamente di scuola come azienda utile alla collettività è importante. sdoganare, per così dire, il termine azienda nelle scuole.

  11. Riccardo

    Direi che vi è un pò di confusione come si assume un precario e come si formino le graduatorie, proverò a spiegarlo. Premetto che sono uno di quelli che ha fatto l’anno precedente proprio questo lavoro. Il governo istituisce un’ordinanza nella quale stabilisce i criteri per poter accedere alle famose graduatorie, titoli, servizi e quant’altro possa essere utile per una valutazione del docente. Successivamente il docente presenta ad una scuola qualsiasi la sua domanda che conterrà tutti questi dati essenziale per la valutazione, l’impiegato di turno e non il dirigente scolastico (le domande manco le vede se non per casi eccezionali) la guarda, la valuta, si consulta con altri colleghi nel caso di problematiche particolari (eh già… il ministero non fa formazione) ed infine attribuisce un punteggio per quella determinata graduatoria. Incrociando tutte le domande di tutte le scuole si arriva infine (la accorcio anch’io non vi racconto delle 800 domande valutate) alla graduatoria definitiva. Arriviamo alla chiamata. Il primo di settembre o giù di li gli uffici scolastici chiamano dalle graduatorie i primi supplenti, ovviamente dal primo in giù, che ricopriranno gli incarichi al 30/6 o al 31/8. Successivamente entra in campo nuovamente la segreteria scolastica (e non il Dirigente) che inizia a chiamare sempre da queste famose graduatorie i restanti docenti necessari per ricoprire tutti i posti. Da notare che i supplenti ormai sgamati, queste fasi le conoscono bene come come conoscono le persone che sono all’interno delle graduatorie e quindi, puntualmente, si informano e controllano che quelli dopo di loro non vengano chiamati prima… capita che ci scappa a volte…. Arriviamo alla quotidianità. Sono le ore 7.30, il telefono squilla ed un assistente amministrativo, il dirigente scolastico al momento non è ancora arrivato… aveva una riunione fino a tarda sera, risponde e dall’altra parte del telefono una voce flebile comunica la sua assenze per malattia e dice che non potrà andare alla materna. Accidenti! L’assistente amministrativo prende carta, penna e graduatoria ed inizia a chiamare ,fra chi non è ancora a lavorare, per cercare un supplente che dovrà prendere servizio nel pomeriggio perchè nel frattempo la collega del turno pomeridiano avvertita del problema corre a scuola. Sono le ore 9,00 (orario medio perchè si trovi qualcuno quando va bene) e tutto è sistemato. Mi dovete scusare nella prosaicità del post, ma nessuno, dico nessuno parla degli ATA che sarebbero quelli che fanno il lavoro per così dire sporco, pulizie, manutenzione spicciola, acquisti, stipendi, assunzioni e così via. Alla fine chi decide realmente non è il sindacato e tanto meno il dirigente, è l’impiegato che seguendo con il suo dito la graduatoria alza la cornetta e dice: “Sono Tizio della scuola Y, è disponibile per una supplenza?”

  12. La scuola non è azienda. Nell’azienda la valutazione é duramente quantitativa, più semplice e oggettiva.
    1. Riprendere la proposta di L. Berlinguer, riqualificandone i contenuti: richiesta volontaria di valutazione con commissione esterna. La valutazione deriverebbe da: esame sulle conoscenze, prove di ingresso e di uscita delle classi in cui insegna il docente, valutazione della documentazione (prove degli studenti, programmazioni, materiali elaborati, ecc.); una tesi tipo dottorato, con bibliografia ecc,: valutazioni del docente espresse dagli studenti o genitori. I docenti non dovrebbero poter ripetere il concorso prima di 8 -10 anni.
    In questo modo:
    a. I docenti sarebbero stimolati a prepararsi, alzando il livello del proprio lavoro;
    b. Potrebbero emergere proposte nuove di cui oggi c’è bisogno ;
    c. L’insegnante sceglierebbe il momento per concorrere e ci sarebbe un’autoselezione preventiva.
    d. Le commissioni esterne opererebbero secondo logiche clientelari,
    e. i professori che superasseto il concorso con votazione alta potrebbero aggiornare, proporre progetti ecc.
    f. Si romperebbe la corporazione.
    2. Valutazione delle scuole: sbagliata. Chi lavora bene patirebbe per chi non lavora affatto; chi lavora male, si riparerebbe sotto un ombrello. Il giudizio dei presidi accentuerebbe la chiusura corporativa e clientelare.
    3. Infine, i test Invalsi. Si dovrebbe stabilire con molta chiarezza a che cosa debbano servire: a macro-valutazioni, di situazioni regionali e nazionali.

  13. Paolo Rossi

    Pur concordando con la sostanza dell’articolo, credo sia veramente sbagliato utilizzare il termine “azienda” per riferirsi ad un’istituzione scolastica.
    Anche se nel post si specifica meglio il termine, “azienda” è un concetto inesorabilmente associato al lucro.
    Per quanto ogni istituzione scolastica debba essere gestita efficientemente e razionalmente, ponendo al dirigente responsabile obbiettivi misurabili e valutando di conseguenza la sua prestazione, ritengo sbagliato e controproducente associare il termine azienda a quello di scuola.
    L’unica forma di “misura” della prestazione dell’istituzione scolastica consiste nel suo gradimento presso la popolazione cui si rivolge: abbiamo sentito troppe vaghe (e ipocrite) dichiarazioni in merito alla “misura” del merito dei docenti e nessuna relativamente a quello dei dirigenti… tutte le “proposte” fatte si sono rivelate quantomeno ridicole e sempre impraticabili.
    Il dirigente scolastico può dunque essere valutato solo dagli “stakeholders territoriali” in base alla capacità dell’istituzione da lui diretta di soddisfare i loro bisogni al meglio con le risorse disponibili in base ad un programma concordato. L’unica riforma sensata è quella che fornisce al dirigente responsabile (e non “preside sceriffo”) una chiarezza di rapporti per il raggiungimento dei suoi obbiettivi.

  14. alfonso

    Chissà se qualcuno ha ascoltato l’intervista a Luigi Berlinguer , e cosa intende lui per “sinistra”

  15. luca

    1. Il proprietario di un’azienda, o chi la dirige, cerca di scegliere i migliori collaboratori e dipendenti, perché se loro lavorano bene, lui ci guadagna; è giusto così. Che prospettive dovrebbero spingere un preside a scegliere i migliori? Non vale rispondere “senso morale” o “far bella figura”, perché questo dovrebbe valere anche per i professori, che quindi non avrebbero alcun bisogno di un preside sceriffo.
    2. I presidi appartengono all’esecrata categoria dei dipendenti pubblici, come i professori. Che cosa ci fa pensare che i primi, da severi controllori, si comporteranno bene, mentre i secondi, se non controllati, male?
    3. C’è una grande attenzione a questo aspetto della autodefinita “buona” scuola, ma anche in questa sede – credo – si devono ricordare i sostanziosi tagli economici, che non mettono nessuno in condizione di ben operare, preside, sceriffo o professore che sia!

  16. oopart

    la scuola è un’azienda? ok.
    però è un’azienda diversa da tutte le altre.
    se faccio tondini di ferro, quelli si lasciano fare, non è che oppongono al mio processo produttivo la loro (non) volontà.
    se insegno una cosa all’alunno, che lui la impari non dipende solo da me, ma anche e soprattutto da lui.
    diciamo che il docente è come il dietologo. il mio dietologo deve essere valutato sulla base dei miei risultati (che però dipendono in maniera imprescindibile dalla mia volontà e dal mio impegno)? povero lui…

    • francesco daveri

      Certo valutare è difficile. Epperò, bisognerà pur capire se la scuola A è meglio della scuola B. Altrimenti la scuola perde la funzione di ascensore sociale e rimaniamo con le raccomandazioni, le pacche sulle spalle, la telefonata del papà all’amico per trovare un lavoro al figlio e simili..

      • oopart

        ok, valutare la scuola è importante. quindi? usiamo un criterio qualunque, ampiamente dimostrato come stupido? un criterio stupido, produttore di valutazioni stupide, ci restituirà l’ascensore sociale?
        guardi che l’unico elemento che può dare (e sottolineo dare: adesso non ce l’ha!) quella funzione è il rigore nella preparazione e la selezione nella valutazione degli studenti. proprio il contrario di quello che c’è adesso. adesso bisogna promuovere qualunque alunno semianalfabeta, a meno che non ti abbia stretto le mani al collo, o cose del genere.
        sarò brutale: una scuola poco esigente lascia gli alunni nella situazione sociale di provenienza perchè solo i genitori istruiti e molto motivati si prendono la briga di fare pressione sui figli perchè si comportino decentemente e si rompano le scatole a fare i compiti. educare i flgli alla fatica e all’impegno richiede fatica, impegno e consapevolezza. le famiglie poco istruite non hanno questa consapevolezza e mediamente non “si sbattono”, non vogliono rogne dalla scuola, non si fidano di quello che dicono gli insegnanti dei loro figli, e a volte lo dichiarano apertamente. fra parentesi, questo spiega il livello basso dell’istruzione al sud, ma in un paese di gente scollegata dalla realtà questo non si può dire…

  17. Dr Elnida

    Ch pasticcio, che confusione di riforma. Ma fatemi capire? Deve vincere la meritocrazia in Italia? Paese nel quale riusciamo a taroccare pure i concorsi.
    Ma lei lo sa che il 90% dei concorsi universitari (parlo del Sud) sono assegnati, fatti ad hoc, ricamati sartorialmente su misura del figlio di tizio e del protetto di caio?
    Invece di liberare veramente l’economia da lacci e lacciuoli, invece di sgravare del costo del lavoro i poveri imprenditori e far ripartire questa malmessa economia, noi stiamo a riformare in questo malo modo una Scuola che a mio parere è l’ultimo dei problemi italiani. La Scuola italiana funziona !
    E il leit motiv dei renziani che è in mano ai sindacati è pura fuffa.
    Ma lei lo sa come sono passati di ruolo la maggior parte dei docenti meridionali al sud?
    Sono stati 3 anni al Nord. Ecco la meritocrazia.
    Invece chi non ha fatto il furbo ed è rimasto al Sud è rimasto fuori e ora arriva questa legge adare il colpo di grazia finale.
    Ma questo discorso del merito perché vale solo sulla scuola? A questa riforma seguirà la riforma intera della Pubblica amministrazione? Dei notai? Delle farmacie? delle assicurazioni?
    Sarà reato la raccomandazione?
    Io credo che questa riforma sia un ennesimo pasticcio di questo governo frettoloso e non votato da nessuno.

  18. giulio savelli

    Se la Caritas – organismo pastorale della Cei – è un’azienda, allora anche la Cei necessariamente lo è, e con essa tutta la Chiesa Cattolica, di cui il papa sarebbe l’amminstratore delegato e Dio l’azionista. Con questa logica ogni organizzazione è un’azienda, lo Stato è un’azienda, e ogni volta che qualcuno fa qualcosa per qualcun altro ecco che diventa un’azienda. Possiamo approfondire la questione e distinguere la scuola dalla Caritas ed entrambe dalla FIAT? Cosa c’è di specifico nella scuola? E’ rispondendo a questa domanda che si può ragionare sulla sua organizzazione e articolazione interna. Che NON può essere quella di un’azienda, perché chi impara non sta usufruendo di un servizio, chi insegna non sta vendendo niente, chi organizza non fa profitti. A meno che non sia questo il punto: bisogna imporre la scuola privata su quella pubblica.

  19. Roberto Crescini

    Caro prof. Daveri, la scuola non è un’azienda. Il suo fondamento è scritto nella costituzione art. 34. Faccia caso quindi all’assenza di diversamente abili nelle scuole private. La scuola è comunità educante (rapporto Faure Unesco del 1972) ed assicura imparzialità (art. 97 costituzione). Il D.S. promuove l’esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati: diritto all’apprendimento, libertà di insegnamento, di scelta educativa delle famiglie (CCNL 02-05 del 2006). Gli anni Novanta hanno enfatizzato il ruolo del dirigente scolastico facendo riferimento all’azienda, ma dopo poco il paragone è stato abbandonato in quanto riduttivo perchè “Se l’azienda ha un prezzo, la scuola ha un valore”. La scuola deve essere considerata un valore in sè e non come strumento per soddisfare esigenze personali e sociali. Nella scuola si valorizzano gli aspetti “umani” e non solo quelli “profesisonali”. I docenti non sono semplici esecutori di compiti e la “mission” della scuola è sempre la “crescita” degli allievi. La qualità della formazione (si badi bene che al termine non è accompagnato dall’aggettivo “professionale”) non si può ridurre ad una certificazione ISO o quant’altro, rimarremmo nel campo dell’efficenza, mentre la scuola ha bisogno di altro, ha bisogno di volare alto. Per questo l’autonomia scolastica si presenta come una sorta di differenziatore dall’autonomia delle imprese e delle aziende. Essa è condivisione, è partecipazione.

    • francesco daveri

      Ma anche una comunità ha necessità di non sprecare le risorse che le conferisce chi la sostiene. Cioè ha bisogno di criteri aziendali nella sua conduzione.

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