Le prospettive dell’economia greca, così come quelle di tutta l’area euro, potranno migliorare davvero solo se l’Europa saprà affrontare i problemi che determinano la sua bassa crescita. Perché è la stagnazione che inasprisce tutte le differenze fra paesi.
La Grecia e le scelte dell’Europa
Domenica, in Grecia, si sono contrapposti due atteggiamenti altrettanto legittimi. Il «sì» privilegiava la scelta europea a ogni costo, nella memoria delle tragedie prodotte da un’Europa divisa e da una Grecia isolata. Il fronte del «no» era invece disposto a rischiare qualcosa, pur di testimoniare quanto stremato fosse un popolo senza più prospettive.
Ora che il popolo greco ha parlato forte e chiaro, tocca al resto dell’Europa fare scelte decise e consapevoli.
E l’Europa potrebbe voler scegliere di salvaguardare a ogni costo il principio delle regole europee mettendo la Grecia davanti alle proprie responsabilità. Ciò potrebbe tradursi in un’uscita forzata dall’Eurozona (nella falsa illusione che senza la zavorra di Atene ne acquisti in salute). Oppure potrebbe concludersi con un accordo “ai supplementari”, che preveda qualche intervento sul debito greco in cambio di contropartite sulle riforme. È quest’ultimo, al momento, lo scenario più roseo. E tuttavia nemmeno questo sarebbe in grado di migliorare in modo apprezzabile le prospettive dell’economia greca. L’altra possibilità è che anche il resto d’Europa decida di rischiare qualcosa per riformare decisamente il funzionamento di un’area valutaria dove è inevitabile che la regione relativamente più debole finisca nel buco nero della depressione: fuori la Grecia, avanti il prossimo! Ma per salvare la Grecia e l’Europa occorre innanzitutto liberarsi di alcuni pregiudizi che continuano a circolare anche in queste ore.
Tre pregiudizi da sfatare
Primo pregiudizio: l’euro è insostenibile perché le economie dei paesi che ne fanno parte sono troppo diverse e mai potranno giovarsi della stessa moneta. Falso. Le differenze sono ampie, sì, ma non maggiori che all’interno degli Stati Uniti o del Regno Unito, e non dissimili da quelle che esistono tra i Laender tedeschi o tra le regioni italiane. Quel che è certo, piuttosto, è che la stagnazione inasprisce quelle differenze. Secondo pregiudizio: la causa prima della crisi dell’euro fu una bolla insostenibile nel Sud Europa, colpevolmente sostenuta da governi e banche. Falso anche questo. Quando la prosperità non c’è più, la chiamiamo “bolla” con un atteggiamento a metà tra il consolatorio e l’espiatorio. Dovremmo piuttosto chiederci perché la prosperità di un tempo è perduta. Ci deve pur essere un motivo per il quale l’Europa è stata per quindici anni, e rimane ancora, il fanalino di coda dell’economia mondiale. Terzo pregiudizio: il problema centrale dell’Eurozona è l’insostenibile debito pubblico di alcuni paesi e soltanto una soluzione politica che lo cancelli o mutualizzi potrà far ripartire la crescita. Un falso problema. Dopo il salvataggio di Mario Draghi nel 2012, poi rafforzato col Quantitative easing, il debito pubblico degli stati nazionali è diventato sostenibile, con la sola eccezione di quello greco (anche a causa dello stallo sul programma di assistenza). Inoltre, l’ammontare assoluto del debito pubblico complessivo nell’Eurozona non è affatto eccessivo. Quel che è certo, piuttosto, è che la stagnazione fa salire l’indicatore debito-Pil, che a sua volta attiva l’allarme sui conti pubblici, obbliga alla correzione dei conti e acuisce la stagnazione.
Alla radice del problema della crescita si trovano, piuttosto, i due principali difetti di costruzione dell’Eurozona: 1) l’insostenibilità del debito degli stati nazionali senza sovranità monetaria e 2) la politica “parametrica” che reprime matematicamente ogni accenno di ripresa. Lo hanno riconosciuto anche i ricercatori della Banca centrale europea tracciando un parallelo tra crisi dell’Eurozona e crisi della Germania nel 1931.
Interventi fiscali sostenibili e lungimiranti
Il primo problema è stato brillantemente affrontato e risolto nel 2012. Da allora, i titoli pubblici sono (condizionatamente) garantiti dalla Bce.
Il secondo problema è ancora in attesa di una decisione altrettanto coraggiosa, che Draghi non può realizzare da solo. Si tratta di un governo dell’economia, con o senza stato federale, che vigili sulle condizioni di finanziamento della domanda aggregata. Queste condizioni passano attraverso tre possibili canali: il debito privato, la manipolazione del cambio al ribasso o il debito pubblico.
Allo stato attuale, il debito privato non riparte per ovvi motivi. Si è tentato, negli scorsi mesi, di ricorrere al cambio grazie al Qe, confidando in una reazione emotiva dei mercati che hanno venduto euro deprezzandolo. Ma deflazione e avanzo commerciale prima o poi avranno la meglio e con un euro più forte anche quel canale potrà presto inaridire. Quanto allo strumento del debito pubblico, rimane decisamente escluso, senza alcuna eccezione. Eppure, le modalità e le proposte per un intervento fiscale sostenibile e lungimirante non mancherebbero, dalla golden rule sugli investimenti pubblici, a un taglio fiscale generalizzato pro-quota sottratto alla regola del fiscal compact, a un deciso coinvolgimento della Banca europea degli investimenti. Ma nemmeno il Rapporto dei cinque presidenti, appena reso pubblico, affronta alla radice la questione di come rimuovere i vincoli finanziari alla crescita della domanda interna. Continuare a ripetere che occorrono (e bastano) riforme e competitività e riaffermare che oggi la crescita è possibile senza il sostegno della politica fiscale significa non solo accettare e perpetuare un ruolo subalterno di un’Europa al traino degli Stati Uniti, ma lanciare effettivamente l’Eurozona verso l’implosione. Fermare la stagnazione si può, ma forse non si vuole.
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Alessandro
Come fai a credere che diversi paesi con diversi interessi possano sottostare all’unica cosa che li rende diversamente compatibili..ovvero la speculazione in borsa?
Personalmente, si potesse davvero ne chiederei la chiusura all’istante… e credetemi… finchè QUESTO interesse regnerà sovrano..non ci potrà essere ne pace ne uguaglianza ne fra persone ne fra popoli
Roberto Boschi
Caro professore, fra le cose che lei indica come difetti, aggiungerei aver messo “il carro avanti ai buoi”, cioè prima la moneta unica e poi si vedrà! lei riconosce che non occorre essere in una Optimal Curr. Area per avere una moneta unica. basta avere un bilancio federale. Ecco è la cessione di sovranità vs uno stato federale che non c’è stata e non ci sarà il vero problema dell’UE Euro. Non trova?
Michele
Ottimo.
Un solo commento: ai 3 canali per il finanziamento della domanda aggregata ne aggiungerei un quarto, che mi sembra il più ovvio. Il reddito. Occorre una diversa distribuzione del reddito che penalizzi di meno chi sostiene di più la domanda e quindi una imposizione diretta più progressiva che benefici le classi meno abbienti e una riduzione delle imposte sui consumi; minori imposte sul lavoro e maggiori sui redditi da capitale (progressive)
Jorge
Per negare che la diversità della struttura economica tra i paesi renda l’euro poco sostenibile non è sufficiente paragonare la situazione a quella delle regioni di un dato paese (es. Italia): in quest’ultimo caso l’unicità della valuta può durare moltissimo (vedi l’Italia: 150 anni…) semplicemente perché si mantengono all’infinito i trasferimenti fiscali dalle regioni produttive a quelle assistite.
giancarlo
Causa n. 4: le economie europee vendono di meno. La domanda interna si rivolge sempre di più a prodotti BRICS. Aiuto il Sud Italia perchè ne traggo vantaggi. Il Sud di altri popoli non porta vantaggi. Non è più solo una questione economica: “antropologicamente” alcuni popoli europei non considerano lo Stato come strumento di buona amministrazione delle Comunità.
Ma comunque gli interventi fiscali indicati, aiuterebbero. Saluti.