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Doppia morale sulla crisi greca

I greci sono spesso accusati di aver gestito in modo poco oculato i loro conti nel periodo pre-crisi, indebitandosi eccessivamente per finanziarie la domanda interna. Ma chi ha permesso e speculato su questo comportamento? Sono proprio gli stessi paesi che ora rimproverano la Grecia.

Le “colpe” dei greci
Nel lungo e acceso dibattito sul terzo piano di salvataggio della Grecia, ancor più che nei precedenti, la discussione europea sembra essersi focalizzata su una visione moralistica e ideologica del problema.
La Grecia, secondo il punto di vista dei paesi creditori, ha diverse colpe da espiare: i) ha barato sui conti pubblici al fine di essere ammessa nell’area euro; ii) si è indebitata troppo per sostenere la sua domanda interna prima della crisi; iii) non ha fatto sufficienti sforzi in questi anni per realizzare completamente le ricette dell’austerity. Sul terzo punto non mi dilungo troppo, visto che anche uno dei principali sostenitori delle politiche basate sull’austerity, ovvero il Fondo monetario internazionale, ha avanzato forti dubbi sulla loro efficacia (si vedano Olivier Blanchard e Daniel Leigh e Luc Eyraud e Anke Weber).
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La bilancia commerciale
Voglio invece soffermarmi sugli altri due punti. Relativamente al maquillage contabile messo in atto per far apparire il deficit di bilancio ben più basso del suo livello effettivo, va in primo luogo sottolineato come questo sia stato reso possibile dalla finanza internazionale e dall’uso disinvolto dei derivati in quella pubblica, attitudine ancor oggi diffusa in Italia (si veda Marcello Esposito). Ma vi è di più: dal precoce accesso della Grecia nell’area euro gli altri paesi che già ne facevano parte hanno tratto un notevole vantaggio. Con l’ingresso nella moneta unica le esportazioni di Atene, al netto delle importazioni, verso i principali paesi dell’Eurozona sono andate nettamente peggiorando (grafico 1). Tra i principali beneficiari c’è in primo luogo la Germania, che con l’entrata della Grecia nell’euro ha visto aumentare il suo surplus delle partite correnti, finora, di quasi 70 miliardi di euro, seguita a stretto giro dall’Italia. Anche Francia e Spagna hanno incrementato le vendite di beni e servizi nel mercato greco nella prima parte degli anni Duemila. Al riguardo va notato come Regno Unito e Usa, paesi al di fuori dell’euro, non abbiano invece registrato gli stessi miglioramenti nei rapporti bilaterali con la Grecia. Dopo il primo piano di salvataggio, la Germania ha continuato a essere il primo esportatore netto verso il mercato ellenico, doppiando la quota dell’Italia (4 miliardi di euro della Germania contro meno di 2 miliardi dell’Italia nel 2014).
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I conti finanziari
Aspetto ancor più rilevante è su chi siano stati i finanziatori degli squilibri della bilancia commerciale greca. Come si nota dal grafico 2, con l’ingresso della Grecia nell’Eurozona c’è stato un progressivo incremento dei capitali prestati dalle banche francesi e tedesche. In altri termini, i paesi dell’Eurozona hanno erogato i finanziamenti necessari affinché i greci potessero importare beni e servizi prodotti in Europa (si veda Paolo Canofari, Piero Esposito, Marcello Messori e Carlo Milani).
Quando poi è scoppiata la crisi, i crediti concessi dalle banche francesi si sono di fatto annullati, mentre quelli provenienti dalla Germania si sono ridotti consistentemente. A incidere sulla riduzione dell’esposizione verso la Grecia ha contribuito anche il secondo piano di salvataggio condotto nel febbraio del 2012, che ha previsto un taglio dei crediti vantati dai soggetti privati (Nicola Borri e Pietro Reichlin).
I capitali prestati dai governi europei nei due salvataggi della Grecia hanno in ogni caso permesso la transizione, per cui il debito greco è passato dalle mani private a quelle pubbliche (si vedano Jeromin Zettelmeyer, Christoph Trebesch e Mitu Gulati e Luigi Zingales). In definitiva, le imprese private dei paesi creditori hanno tratto notevoli guadagni dall’atteggiamento disinvolto dei greci nel periodo successivo all’entrata nell’euro, da un lato vendendo loro prodotti made in Europe, e dall’altro incassando gli interessi sui finanziamenti erogati al fine di acquistare quei beni.
 

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15 commenti

  1. enrico

    Mi permetto di descrivere questo articolo come la fiera delle banalità, buono forse per le citazioni.
    I crediti sono stati concessi, quindi? E’ colpa dei creditori o debitori se poi sono stati utilizzati in maniera non “proficua”? La bilancia commerciale greca è peggiorata causa gli exporter europei o la non concorrenzialità dei prodotti greci, dovuti (anche) a una PA da terzo mondo?

    • marcello

      I dati sul debito greco erano noti a tutti a partire dal 2006 per il semplice motivo che Le Monde ha pubblicato un’inchiesta che prendendo sunto dai costi delle olimpiadi (15 mld) ripercorreva i dati e le tappe del dissesto greco. Questo non ha impedito alla Germania di investire il suo impossibile surplus commerciale in titoli greci, rischiosi per definizione, salvo poi imporre il rimborso e la socializzazione delle perdite a tutta l’UE. I paesi mediterranei hanno problemi, ma vorrei farvi notare che anche la Francia, che credo come effcienza dell’apparato statale sia paragonabile alla Germania, ha grossi problemi economci e un deficit significativo delle partite correnti, semplicemente perchè la Germania le ha sottratto percentuali a due cifre di mercato. La Germania è il male e il meccanismo dell’area valutaria comune così perverso che non permette nessuna possibilità di ripresa ai paesi in diffcioltà, lo strumento con cui si realizza la distruzione delle economie dell’eurozona. Il resto sono dettagli buoni per le polemiche, neanche troppo interessanti.

      • Mirko

        I titoli greci prima della crisi non erano affatto rischiosi per definizione, dato che lo spread dei paesi periferici era appiattito su quello tedesco, perché le autorità europee avevano fatto credere che con l’euro ogni paese aveva lo stesso rischio. Inoltre il surplus tedesco verso gli altri paesi europei negli ultimi due anni si è praticamente azzerato, ed è rimasto elevato solo verso i paesi extra Ue. Alcuni paesi periferici peraltro sembrano essere in ripresa: Irlanda Spagna e Portogallo, quelli che hanno fatto le riforme. Quelli che non si riprendono sono Italia e Grecia (e Francia), cioè quelli che si rifiutano di farle.

        • marcello

          but masks continuing external imbalances within the euro zone. Current account balances
          among debtor countries (those with negative external debt positions) have improved, but rebalancing has failed to take place among creditor countries with the large current surpluses of Germany and the Netherlands continuing to grow and moving farther away from levels implied by medium-term fundamentals.
          Spero che sappia leggere in inglese comunque può cercare altri documenti IMF e vedere nel dattaglio i grafici e le analisi come quelli contenuti nell’ultimo rapporto sulle politiche econmiche nell’Eurozona. Forse questa sua certezza potrebbe rivelarsi infondata. Sulla rischiosità relativa dei titoli greci cerchiamo sdi essere seri, altrimenti ci spieghi perchè si investiva in Italia, Grecia,Spagna Portogallo e non in Germania, ma come farebbe con un bambino di 10 anni.

  2. Max

    L’autore sorvola sul punto 3: ormai la Grecia è diventata un caso paradigmatico per dire che le ricette basate sull’austerity non hanno funzionato. Benissimo, ma qualcuno vorrà dirci anche quali ricette potrebbero mai funzionare in un paese che ancora oggi, a molti anni dallo scoppio della crisi, è privo di qualcosa che somigli a un vero catasto, una vera agenzia delle entrate ecc.? Un istituto di statistica indipendente dal potere politico ci sarà, forse, per inaccettabile imposizione della troika.
    Sui punti 1 e 2, poi, la linea argomentativa appare stupefacente. Poiché il maquillage contabile, un eufemismo che sta per falso in bilancio, è “reso possibile” dalla finanza internazionale e dall’uso dei derivati, chi compie quel falso sarebbe sollevato dalle sue responsabilità. Ulteriore, incredibile, attenuante: quel malcostume è ancora oggi diffuso in Italia. E poiché qualcuno ha tratto vantaggio dall'”atteggiamento disinvolto” dei greci, anche la responsabilità di tale disinvoltura (altro meraviglioso eufemismo che sta per evasione fiscale, corruzione, prebende elettorali ecc.) viene a cadere.

    • marcello

      La Germania ha un costo medio per unità di prodotto di 90, la Spagna e l’irlanda di 100, l’Italia di 105 e la Grecia di 110. per ridurre il gap sono necessari investimenti che accrescano la produttività dei fattori, non la riduzione del salario che non serve a nulla e ha effetti transitori. Si vuol rendere conto che nel 2013 la Germania ha avuto un surplus commerciale di 1,5 volte quello della Cina, la maggior parte del quale realizzato sui partener europei.

      • stefano delbene

        La Grecia ha più o meno le stesse problematiche dell’Italia, solo che ha un quinto della popolazione italiana. se si dovessero applicare all’Italia gli stessi parametri che sono stati applicati alla Grecia, oggi ben poche Italiani vorrebbero restare nell’euro.

    • stefano delbene

      La Grecia ha più o meno le stesse problematiche dell’Italia, solo che ha un quinto della popolazione italiana. se si dovessero applicare all’Italia gli stessi parametri che sono stati applicati alla Grecia, oggi ben poche Italiani vorrebbero restare nell’EURO.

  3. Roberto Boschi

    Condivido la totalità della sua analisi ed aggiungo che la gestione della crisi greca, al momento dello scoppio nel 2010, è stata tutta condotta con l’obiettivo di evitare la bancarotta delle banche francesi e tedesche. Ricordo che a quell’epoca i 2 governi erano già dovuti intervenire per salvare le loro banche dai postumi del crack Lehman (ricapitalizzazione delle banche regionali tedesche, caso Dexia in Francia/Belgio)
    Il problema è comunque chiaro e è alla base: si è tolto un pezzo fondamentale del mercato, il cambio fra le valute, senza meccanismi riequlibratori della domanda interna dei singoli paesi. E’ ovvio che in Germania, ma fino al 2008 anche in Francia, il continuo eccesso di risparmio dovuto al surplus di partire correnti, è stato allocato in prestiti in tutto il mondo con i risultati che si sono visti.
    Oggi tutta l’area € che conta, ad eccezione della Francia, è in surplus: dove finirà questo eccesso di risparmio? sicuramente non a supportare lo sviluppo (investimenti) dell’Area stessa!

  4. luca dambrosio

    Complimenti per l’articolo Professore, spero che il flusso generato da Lei a altri suoi Colleghi possa trasmettersi ai più e conferire un’informazione corretta.
    avv. Luca Dambrosio, Milano

  5. marcello

    La Germania ha cannibalizzato tutta la manifattura europea. Il suo surpluss delle partite correnti è insostenibile, solo nei primi 5 mesi dell’anno è stato di 83 mld. Nel 2013 ha raggiunto 240 mld circa, il 7,5% del PIL. La Cina, prima economia del mondo ha nello stesso anno un surplus delle partite correnti di 163 mld, cioè il surplus della Germania (80 mln di abitanti) è una volta e mezza quello della prima manifattura del mondo che ha 1.402 mln di abitanti) ma vi sembra sostenibile? Tutti i paesi dell’eurozona, anche gli esempi citati dai teorici dell’austerità sono segnati da deficit commerciali insostenibili. Il differenziale del costo medio del lavoro per unità di prodotto è incolmabile, quindi o si cambia rapidamente strada o la Germania distruggerà tutta la manifattura e farà dell’Europa The Waste Land narrata da T.S. Eliot.
    La Grecia è condannata e come chiarisce l’ultimo rapporto del IMF anche il resto dell’Eurozona, a meno di un drastico cambiamento delle politiche economiche. Fine della storia.

    • Federico

      Infatti non mi sembra di aver visto nessuna azione incisiva nei confronti della Germania dato che è almeno dal 2013 che ha sfondato il limite del 6% di avanzo sulle partite correnti come prevede il Macroeconomic imbalance procedure, e dunque non una situazione di temporaneo sfondamento ma permanente. Intanto, l’industria italiana viene comprata dagli stranieri e noi stiamo a guardare.

  6. stefano delbene

    Analisi interessante ed onesta. Mi sorge spontanea solo una domanda: ma perchè queste cose non si sono dette e scritte 5 anni fa?

    • Alessandro

      Effettivamente è strano che si sia ignorata questa posizione, che mi ricordi solo Bagnai e pochi altri economisti ne scrissero all’epoca, ma i media principali hanno sempre ignorato questo punto di vista, e mi pare che ancora adesso continuino a farlo.

  7. Piero

    La Germania, ottenuta la riunificazione, ottenuto l’azzeramento dei debiti di risarcimento della guerra, e’ scesa in campo con l’arma dell’euro.
    La prima mossa è stata la riunificazione della G ricca con quella povera, si fisso’ la parità del marco dell’ovest con quello dell’est, la parità, o portava all’arricchimento del popolo dell’est a danno di quello dell’ovest, oppure in alternativa, l’arricchimento del popolo dell’est, doveva essere a scapito degli altri paesi europei.
    La Germania ha scelto la seconda soluzione, utilizzando l’arma dell’euro, in questo modo ha evitato le svalutazioni competitive che fino a quel momento avevano riequilibrato le economie dei paesi meridionali nei confronti di quelli nordici. La strategia ebbe successo, la Germania passò nei rapporti commerciali tra i paesi euro, da un deficit della BP al surplus, raggiunse solo nei confronti dell’italia oltre 1400 mld di surplus; la Germania non ha nemmeno rispettato il trattato europeo che prevedeva che il surplus non poteva superare il 6%; per diversi anni ha ottenuto surplus senza prendere gli opportuni provvedimenti, anzi ha attuato politiche di svalutazione fiscali che hanno incrementato l’export. Naturale che ai surplus della G dovevano corrispondere i deficit degli altri paesi, vi fu quindi uno spostamento della ricchezza dai paesi meridionali a quelli nordici.
    La guerra, alla fine, come sempre, verrà persa dalla Germania, non riuscirà mai a trasformare l’unione europea in un impero tedesco, il vero problema sarà che questa volta ad essa non si potrà chiedere il risarcimento dei danni, ma a ciò ci penseranno le nostre imprese che all’uscita del cappio dell’euro, riconquisteranno i loro mercati, oggi momentaneamente conquistati artificialmente dalla Germania.

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