All’inizio del 2015 la Germania ha introdotto un salario minimo. Non mancano i problemi, legati al livello della paga e agli effetti sull’occupazione. Per noi italiani è comunque un esempio utile da studiare se si vuole adottare un minimo salariale senza aggravare le situazioni già difficili.
Perché un minimo salariale in Germania
Dopo aver discusso di come si comportano in genere i paesi quando fissano il livello di salario minimo, è utile prendere in considerazione il caso particolare di una nazione che lo ha introdotto di recente e che viene spesso presa come modello di mercato del lavoro efficiente: la Germania.
Dal 1° gennaio 2015, la Germania ha adottato un compenso minimo legale stabilito a 8,50 euro orari. La somma è da intendersi lorda, sebbene sia importante specificare che il compenso è netto per coloro che non raggiungono una soglia minima di reddito totale. Le ragioni principali che hanno spinto il governo tedesco di coalizione, sulla spinta della Spd, a introdurre un salario minimo, sono l’aumento della povertà fra i lavoratori (il fenomeno dei cosiddetti working poors) e l’incapacità delle parti sociali e del sistema di contrattazione collettiva di ovviare al problema attraverso l’istituzione di appropriati minimi, problemi che l’Italia condivide.
Gli effetti sull’occupazione
Secondo le stime del governo tedesco, l’introduzione del salario minimo coinvolge più di 3,7 milioni di lavoratori, nonostante alcune categorie siano escluse dalla copertura. I giovani, ad esempio, non sono inclusi qualora siano tirocinanti o in attività lavorative a fini accademici, mentre i lavoratori che sono stati disoccupati per più di un anno, per i primi sei mesi del nuovo impiego, possono ricevere un salario inferiore agli minore di 8,50 euro. Sono invece coperti tutti coloro che hanno un contratto di lavoro, anche a tempo determinato, di durata superiore ai tre mesi.
La ragione economica dell’esclusione di alcune categorie è sicuramente quella di incoraggiare la piena occupazione: da una parte, i giovani sono generalmente inesperti e un minimo sproporzionato rispetto alla loro reale produttività li spingerebbe inevitabilmente al di fuori del mercato del lavoro, prima ancora di entrarci; d’altra parte, i lavoratori che sono stati disoccupati per più di un anno hanno urgenza di rientrare nel mercato del lavoro e un salario minimo a livelli alti rischierebbe di precluderglielo, fino a scoraggiare la ricerca di un lavoro. L’attenzione alle fasce meno produttive della forza lavoro è un aspetto di particolare importanza anche nel quadro italiano, che registra oggi un tasso di disoccupazione giovanile del 44,2 per cento e di disoccupazione a lungo termine del 61 per cento.
Qualche ambiguità
Quali sono stati dunque gli effetti dell’introduzione del salario minimo in Germania? I dati forniti dalla Bundesbank segnalano un tasso di disoccupazione che su base mensile ha registrato in aprile un minimo ventennale al 5,7 per cento, numeri confermati nei due mesi successivi. Non è però facile estrapolare da questi primi dati un giudizio definitivo sugli effetti. È invece possibile analizzare i dati della produttività su base geografica e provare a ipotizzare quali differenze possa produrre l’introduzione del salario minimo sull’occupazione.
Il grafico mostra i livelli di produttività per lavoratore nelle diverse regioni tedesche: in blu, le regioni della ex Germania dell’Ovest, più produttive, in rosso quelle dell’ex Est, con una produttività decisamente inferiore. Il salario di un lavoratore è generalmente legato alla sua produttività e, in effetti, quelli all’Est sono più bassi che nell’Ovest. Di conseguenza, un salario minimo uniforme a 8,50 euro dovrebbe avere un impatto maggiore a Est, dove rappresenta il 62 per cento del salario mediano: compensi più alti, ma anche un rischio maggiore di aumento della disoccupazione e del lavoro nero. L’esecutivo tedesco ha previsto un periodo di transizione, stabilendo uno schema di minimi temporanei per settore e regione, che attutiscono per qualche anno l’effetto del nuovo salario minimo nazionale. Ma si tratta comunque di una lezione interessante per l’Italia, che ha un divario di produttività tra Nord e Sud ben più marcato di quello tra Germania Ovest ed Est.
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Lo strano caso dei mini-jobs
Se invece si guarda alle diverse categorie di lavoratori su scala nazionale, il nuovo salario minimo riguarda da vicino i cosiddetti mini-jobs. Il centro di ricerca tedesco Zew ha calcolato che circa il 65 per cento dei lavoratori impiegati in mini-jobs riceveva, prima della riforma, un compenso minore di 8,50 euro, difficile capire se in conseguenza di una scarsa produttività di questi impieghi temporanei. Tuttavia, un report del mini-jobs center (l’agenzia governativa che gestisce questi contratti) sembra suggerire che il lavoro in un mini-job non valga sempre 8,50 euro l’ora. I primi dati indicano una diminuzione dei mini-jobs del 3,5 per cento su base annua in primavera, con crolli fino al -7,7 per cento nell’Est. Questi dati non sono sufficienti per trarre conclusioni inequivocabili sull’effetto del salario minimo sulle retribuzioni e sull’occupazione. Tuttavia, per il momento il caso tedesco sembra suggerire una lezione: nello stabilire un livello minimo salariale per legge, bisogna ricordarsi delle regioni e delle categorie caratterizzate da minore produttività, altrimenti si corre il rischio di penalizzarle ulteriormente.

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