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Se il voto di maturità non è uguale per tutti

Finiti gli esami di maturità, torna la querelle sui 100 “facili” al Sud. Ma davvero gli studenti delle regioni meridionali sono valutati con più generosità dai loro insegnanti? Le differenze esistono e confermano che solo un test standardizzato nazionale può evitare valutazioni troppo soggettive.
Studenti sopravalutati al Sud?
Dopo la pubblicazione degli esiti degli esami di Stato, la stampa nazionale ha messo in evidenza le differenze territoriali e il boom di 100 e lode al Sud. Per farsi una idea, basta ricordare che al Centro-Nord circa l’86 per cento degli studenti si diploma con un voto inferiore a 91, mentre il valore scende all’83 per cento nelle regioni del Sud e nelle Isole. La percentuale di studenti che si diploma con 100 o con 100 e lode al Centro-Nord è pari al 5,31, al Sud e Isole sale al 7,12. Ma le differenze aumentano quando si guardano i dati in maggior dettaglio. Ad esempio, gli studenti che si diplomano con 60 sono il 10,2 per cento in Sicilia e Puglia e scendono, invece, al 5,4 per cento nelle Marche. La percentuale di 100 e lode raggiunge il suo massimo in Puglia (2,3) e il suo minimo (0,4) in Friuli e in Lombardia. Purtroppo, non è agevole verificare rigorosamente se le differenze regionali nei voti di maturità dipendano da differenti livelli di abilità degli studenti oppure siano il frutto di metri di valutazione diversi adottati dagli insegnanti (oppure una combinazione di entrambi i fattori). L’idea che gli insegnanti che operano nel Sud Italia tendano a sopravalutare le competenze degli studenti deriva soprattutto dal fatto che nei test standardizzati, come quelli Invalsi o Ocse-Pisa, gli studenti meridionali ottengono risultati nettamente peggiori rispetto a quelli del Centro-Nord. Dal momento che manca una misura delle competenze effettive dei diplomati da mettere in relazione con i voti di maturità conseguiti, si può cercare evidenza dell’uso di metri di valutazione differenti in aree geografiche diverse confrontando i voti che durante l’anno scolastico gli insegnanti assegnano agli studenti con i risultati ottenuti dagli stessi studenti in un test standardizzato. Per farlo, si possono utilizzare i dati Invalsi: oltre a fornire informazioni sui risultati ottenuti dagli studenti nei test standardizzati, infatti, ne danno altre sui voti assegnati dagli insegnanti.
Si è dunque stimato un semplice modello dove il punteggio al test Invalsi nelle competenze linguistiche o in quelle matematiche è messo in relazione con la valutazione soggettiva degli insegnanti per la prova orale di italiano o di matematica. Per cercare di ovviare ai problemi derivanti dal cheating – la tendenza a imbrogliare da parte di studenti e insegnanti per falsare i risultati del test (fenomeno diffuso specialmente al Sud) – l’analisi è ristretta alle sole scuole in cui era presente un osservatore esterno. Dalle stime (basate sui dati Invalsi 2011-12 relativi alla classe seconda della scuola secondaria di secondo grado) risulta una forte correlazione positiva tra i voti ottenuti dagli studenti e la loro performance al test Invalsi. Tuttavia, per gli studenti del Sud un incremento di un punto del voto assegnato dai docenti rispetto al voto medio è associato a un incremento minore del punteggio conseguito al test Invalsi rispetto a quello che si osserva per gli studenti del Centro-Nord, per entrambe le discipline considerate. Sembra quindi che al Sud e nelle Isole la discrepanza tra valutazione “soggettiva” e valutazione “oggettiva” sia più forte che nel resto del paese. Perché? Una ipotesi interessante è che i docenti che insegnano al Sud, consapevoli delle condizioni di disagio in cui molti studenti vivono, tendano a valutare con maggiore generosità. In altre parole, gli insegnanti – che interagiscono quotidianamente con gli studenti e conoscono spesso le loro condizioni socio-economiche – nelle loro valutazioni terrebbero conto delle diverse condizioni di partenza, cercando così di incoraggiare i ragazzi che partono da situazioni più sfavorevoli. Se così fosse, ci dovremmo aspettare una minore discrepanza tra la valutazione degli insegnanti e i risultati al test Invalsi per gli studenti con condizioni socio-economiche migliori. E infatti se nel modello si considera anche un indicatore delle condizioni socio-economiche della famiglia, si osserva una relazione positiva e statisticamente significativa con il voto assegnato dagli insegnanti. Tuttavia, per il Sud l’impatto è minore: man mano che migliorano le condizioni socio-economiche della famiglia, la capacità predittiva della valutazione soggettiva dei docenti migliora, ma meno che al Nord.
In cerca di un metro comune
Questa evidenza, pur se preliminare e senza pretesa di rigore scientifico, suggerisce che il comportamento degli insegnanti che tendono a largheggiare nei voti non è determinato solo dal desiderio di premiare l’impegno di studenti che partono da condizioni sfavorevoli, ma entrano in gioco altri fattori non semplici da capire. La conseguenza è che università e datori di lavoro non si fidano di queste valutazioni e nei casi in cui vengono prese in considerazione si corre il rischio di creare elementi di iniquità poiché l’esito è influenzato dal metro di valutazione utilizzato. Un’altra ipotesi è che, al Sud, le famiglie (soprattutto quelle più abbienti) diano importanza maggiore al “voto” e siano meno interessate alle competenze effettive acquisite dagli studenti (ad esempio, perché sanno che il mercato del lavoro è scarsamente meritocratico). Ciò potrebbe generare meccanismi di pressione sui docenti, i quali potrebbero essere ben disposti a scambiare un voto più alto in cambio di un minor controllo sulla qualità del lavoro svolto. Certo, non si tratta dell’unica spiegazione possibile, ma non è inverosimile che un sistema disfunzionale crei meccanismi perversi. Indipendentemente dalle cause, però, tutto ciò ci dice che le valutazioni soggettive dei docenti non possono rappresentare l’unico metro per misurare i risultati degli studenti. Test come quello somministrato dall’Invalsi, pur essendo misure imperfette, sono l’unico strumento disponibile per munirsi di un metro comune, che permetta di fare confronti e provare a capire (anche se in modo parziale) da dove incominciare per far ripartire la scuola.
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20 commenti

  1. Bobcar

    Un solo un test standardizzato nazionale, somministrato da personale esterno e NON dagli stessi insegnanti degli studenti, (e magari in classi non corrispondenti alle classi dove gli studenti fanno lezione, di modo che coloro che fanno il test insieme non si conoscano, e per finire non negli istituti scolastici degli studenti) questa è l’unica riforma di cui la scuola avrebbe bisogno, tutto il resto è fuffa…

  2. ferrari

    Ma non potrebbe essere semplicemente un problema socio-culturale. Più si sale al nord ( nord Italia, Svizzera, Germania, ecc. ) più si è rigorosi con se stessi verso gli altri.

  3. Giuseppe Moncada

    Parlando dei test Invalsi ” da dove incominciare per far ripartire la scuola., così si conclude l’analisi della De Paola. Da uomo pratico, che ho vissuto nella scuola per 46 anni, 19 da docente di Matematica e Fisica e 2 7 da Preside di Liceo SCIENTIFICO, provincia di Catania, PENSO CHE , PIU’ dai test invalsi sia necessario iniziare da una diversa formazione iniziale dei docenti. Con la scelta universitaria del 3+2 ciò non è avvenuto nè con i vari codsi siss e attuali TFA. esemplifico la mia osservazione con alcune brevi comnsiderazioni. IL prof di Latino e Greco di mia moglie, ottimo docente,fu testimone del nostro matrimonio, si recò a fare esami di Maturità a Firenze, anno 1970 , pensando di trovare ragazzi più preparati di quelli meridionali, ci inviò una carolina di saluto con la fgrase : ” L’ITALIA TUTTA E’ UNIFICATA NELL’IGNORANZA DEI SUOI RAGAZZI ” aveva ragione. IL sottoscritto dal primo anno di inizio del modello ” sperimentale” di ersame di maturità , 1969, proposto dal geniaccio di Ministro Sullo, ho partecipato agli esami partendo dalle scuole del Nord Italia. Primo anno Crema, due anni successivi Milano in cui avevo conosciuto quale rappresentante di classe il futuro preside Daniele Straniero, grand sotenitore della riforma Renzi, Perugia, Sondrio , Mestre , Varese , Verbania ecc , ecc. Sono stato anche rappresentante di classe per i miei alunni liceali prima di diventare preside. Ebbene anche io ho verificato che nella preparazione degli alunni

  4. Giuseppe Moncada

    Per completezza di informazione, debbo precisare che ,nelle commisssioni che operavano al Nord , sia i commissari interni che gli esterni si era porati a dare il 36/60 per la maturità , a tutti quegli alunni che nel giudizio complessivo, tra voto di ammissione e prove di esame si raggiungeva almeno la media del 5; mentre nelle commissioni che operavano nel meriodione la media del 4,5 era quasi sempre evolutiva per il 36/60. Le commissioni meridionali sono state sempre più generose. Non sto qui ad analizzarne le motivazioni, ma è così. Ma anche negli atteggiamenti di alcune forze dell’ordine, polizia stradale, carabinieri ecc ecc , essendo stato per un anno Preside a Pieve di Cadore, e avendo due figlie che vivono nel Veneto ho potuto verificare lo stesso atteggiamento di accondiscendenza al sud rispetto al Nord. Sarà certamente la dominazione Austro Ungarica che ha forgiato il Nord per un rispetto maggiore delle Istituzioni. Ed allora, se non si dà una svolta alla formazione dei docenti e una molto ma molto più attenzione ai problemi della scuola, MA NON NEL MODO COME LI STA AFFRONTANDO IL TRIO RENZI-GIANNI-FARAONE , VEDI SANATORIA PER I OPRESIDI SICILIANI LE COSE NON CAMBIERANNO.

  5. zipperle

    Penso si tratti della medesima ragione per cui ci si recava e forse ci si reca ancora al sud per sostenere esami di stato come quello per divenire avvocato o per divenire professore associato presso università con molte facoltà ma pochi studenti. Ovvero al nord la maggiore concorrenza (esistenza di un’economia privata) e la maggiore propensione alla concorrenza (aspetto culturale) inducono meccanismi di selezione, siano essi scolastici o professionali, più severi che al sud, dove esiste un’economia prevalentemente pubblica e dove c’è minore attenzione alla competizione basata sul merito e maggiore attenzione alla raccomandazione.

  6. Andy

    Quando si palra di sud, la parola d’ordine è “illegalità”. Comunque si dovrebbero distinuere anche le scuole del nord con quelle del centro (Lazio in particolare), visto che gli studenti di queste ultime hanno comeptenze a metà strada tra nord e sud. Nel Lazio, poi, l’ignoranza è ancora maggiore. Basta vedere come a Roma venga quotidianamente violentato l’italiano anche da persone laureate

    • bob

      …a Roma l’ italiano “è violentato” a Nord in certe zone letteralmente sconosciuto ! Rispondo a Lei perchè stereotipo del “luogo comune” la vera cultura di questo Paese quella che con scritti , cinema e altro ci ha forgiato tutti analfabeti. Far passare che gente con le corna in testa e di verdi vestiti sia il Paese avanzato è dura anche con tutti i test………..ma soprattutto un esercizio inutile- Esattamente inutile come qualsiasi analfabeta

  7. Mario

    Proporrei una lettura alternativa, che tiene anche conto della percentuale molto più alta dei voti tra i 60-70. La mia impressione è che nelle scuole meridionali, per motivazioni di ordine economico e culturale ci sia una fascia più ampia di ragazzi con risultati e produttività medio-bassa. Poiché il voto all’interno di una classe ha una rilevante componente “relativa” in riferimento agli altri alunni, questo causa anche una maggiore facilità di raggiungere votazioni più elevate. Lo sforzo richiesto è minore, perché l’intera classe è rallentata, in termini di formazione e apprendimento. Questo, peraltro, spiegherebbe anche un risultato inferiore nei test nazionali: la presenza di un maggior numero di allievi che rallentano il percorso formativo impedisce anche ai migliori di acquisire una formazione completa e piena quanto quella degli studenti del centro-nord. Insomma il sistema in realtà pare poggiare su elementi che svantaggiano gli studenti del meridione, finendo per riflettere sulla qualità della formazione le differenti condizioni di partenza economica. Il tutto per nulla compensato da un voto relativamente migliore che, come noto, conta poco o nulla nelle successive fasi lavorative o di formazione.

    • Andy Mc Tredo

      Convincente: calcisticamente parlando se così è basta selezionare i 20 ragazzi da mettere in serie A, i 20 da mantenere in seri D e gli altri allevarli più o meno seriamente in serie B1-B2-C1-C2 …

    • Rino Strozzino

      Esiste un intero ramo della pedagogia, la decimologia, che tra i suoi scopi d’indagine ha la valutazione quantitativa delle prove. Prima di fare i soliti di scorsi pieni zeppi di banalità e fraintendimenti (per es. non capire il valore e la genesi del voto di maturità o la differenza tra competenze, abilità e conoscenze) e imbarcarsi in analisi di pressappochismo statistico sarebbe il caso di chiarirsi prima le idee, almeno un poco.
      Comunque, per la cronaca, le prove INVALSI (che sono utili nella misura in cui si sanno leggere per quello che sono) si svolgono fino al primo biennio delle superiori, quindi vorrei che mi si spiegasse con quale criterio scientifico si usano quei dati per un confronto sulle conoscenze teoriche e procedurali acquisite dagli studenti nei tre anni successivi fino all’Esame di Stato, tralasciando il dettaglio che le prove da cui derivano i relativi giudizi misurano cose diverse.
      Capisco che il rigore scientifico e l’economia spesso hanno difficoltà ad incontrarsi, però almeno proviamoci.

  8. Giuseppe Moncada

    Ritorno sull’argomento per chiedere alla dott.ssa De Paola se, in queste indagini che vengono fatte, si tiene conto del fatto che ormai agli esami di Stato, innovativi rispetto agli sperimentali di Sullo , che dovevano essere più rigorosi, la percentuale dei promossi è arrivata al 98,9 % rispetto a quelli aboliti, in cui la percentuale era al massimo del 94%. I cirteri delle fasce dei crediti, e il fatto che in meno di un’ora si deve verificare la preparazione orale dei giovani, ha svuotato , secondo il mio modesto parere, la prova di esame. Ed allora, ricordando quanto ebbe a dire l’ottimo docemnte di latino e Greco di mia moglie che era andato a Firenze, convinto di trovare ragazzi più preparati, anche in quei periodi le informazioni erano non del tutte veritiere,
    ” L’ITALIA TUTTA E’ UNIFICATA NELL’IGNORANZA DEI SUOI RAGAZZI ” aveva ragione. Pertanto è superflua questa contrapposizione fra alunni e docenti del meridione e quelli del Nord. SE LA SCUOLA SI VUOLE SALVARE DOVRA’ ESSERE AFFRONTATO IN MODO SERIO LA TEMATICA DELLA FORMAZIONE INIZIALE DEI DOCENTI, ( RIFORMA UNIVERSITARIA) e relativo tirocinio , non come viene fatto oggi, MIGLIORE ARTICOLAZIONE DEI CONTENUTI RELATIVAMENTE AI VARI INDIRIZZI DI SCUOLA , SOPRATUTTO ALLA SCUOLA MEDIA, anello debole del percorso studentesco. NUOVO ESAME DI STATO E SOPRATUTTO VERI E COSPICUI FINANZIAMENTI PER LA SCUOLA SIA PER IL RINNOVO DELLE STRUTTURE CHE PER GLI EMOLUMENTI DEI DOCENTI.

  9. Alberto

    Ma le prove Invalsi non dovrebbero essere anonime? Come ha fatto a mettere i risultati dell’Invalsi in relazione alla valutazione soggettiva degli insegnanti?

    • Maria De Paola

      L’invalsi fornisce, ai ricercatori che ne fanno richiesta, dati micro a livello di studente (per ogni studente si ha un codice identificativo) che contengono informazioni sia sul voto al test standardizzato sia sul voto alle prove scritte e orali di matematica e italiano. Ho usato il voto alle prove orali perché presentava un minor numero di valori mancanti.

  10. marco

    Ma il gravissimo problema che affonda l’insegnamento italiano è che si basa su modelli scolastici distanti anni luce dal mondo del lavoro. Aldilà del voto, il vero criterio di valutazione dovrebbe essere restituito dall’efficenza dei neodiplomati una volta inseriti nel mondo del lavoro. Che senso ha ragionare sul voto? E che senso ha il voto del diploma in Italia?

    • bob

      …si confonde istruzione con cultura. Questo Paese prima di tutto ha bisogno di cultura per creare poi istruzione. Il Paese dove si legge di meno, si usa meno Internet, non si leggono giornali ( però ci sono 4 quotidiani sportivi…). Un Paese che ha scambiato i De Gasperi, i Malagodi, i Berlinguer con Di Pietro, Bossi e Salvini: Viene automatico che con un vuoto del genere si prende alla lettera di dati Invalsi che da dati che dovrebbero dare superficiali indicazioni vengono fatti diventare Bibbia per il popolino.

  11. Sebastiano S.

    Un’analisi molto interessante quella della Prof.ssa De Paola. Il problema esiste e va affrontato con la stessa serentità che usa lei (cosa sciaguratamente non facile in un Paese fazioso come il nostro e primo al mondo per analfabetismo funzionale).
    Avanti così!

  12. Markus Cirone

    Avere un po’ di memoria storica (o anche solo memoria personale) può essere d’aiuto.
    Quando ho fatto gli esami di maturità nel 1987 (in Sicilia) il presidente di commissione era un ordinario di chimica di Bologna e il commissario di matematica era docente a Pordenone. 30 anni fa i docenti delle commissioni venivano presi da ogni parte d’Italia per avere un metro di valutazione uniforme su tutto il territorio nazionale. Poi abbiamo deciso di risparmiare e ci lamentiamo dei risultati. E come se non bastasse, il governo si appresta a modificare, per decreto, gli Esami di Stato, e scommetto che la commissione sarà composta da soli docenti interni, gratis, così risparmiamo un altro po’. E potremo lamentarci ancora di più delle differenze dei voti di diploma tra Nord e Sud.

  13. Giuseppe

    Risulta evidente che le statistiche citate sono “piegate” per confermare una “tesi” ( si chiamano “fallacie sillogistiche”). Per la differenza dei 100 parliamo di poche centinaia di alunni; se guardiamo i voti inferiori a 80 ci sono più di 4 punti percentuali e stiamo parlando di decine di migliaia di alunni, in quel caso a quanto pare i docenti meridionali diventano improvvisamente severi. Che bel paese l’Italia, i ricercatori ( in particolare meridionali) pongono l’accento su come combattere l’alto tasso di dispersione scolastica? Si soffermano sull’ingiustizia di un centro nord con il tempo pieno e un sud senza, cioè di due anni di differenza di studi in meno? No, il problema della scuola italiana e su cui bisogna porre rimedio è che al Sud abbiamo 270 diplomati con 100 in più che al nord. Un piccolo inciso finale, tutte queste analisi vengono fatte da persone che neanche hanno la minima idea di come si arriva al voto finale di diploma: credito scolastico con media tra il 9 e il 10 in tutte le materie, incluso la condotta, per tre anni; il massimo nella prova finale, e cioè test, prove scritte e prova orale, con circa 15 docenti che intervengono nella valutazione nel corso degli anni.

  14. Gianni

    Se dividessimo l’Italia secondo lo spartiacque dell’Appennino (Est-Ovest) avremmo differenze molto più significative!

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