Quota 100 abbasserà l’età media di pensionamento di un anno e mezzo nel privato. E costerà 22 miliardi. Ne vale la pena? La flessibilità in uscita dal mercato del lavoro può servire, ma così è solo un favore a una specifica categoria di lavoratori.
Effetti di tre anni di quota 100
Dopo tanti annunci, quota 100 si materializza. Per i prossimi tre anni, i suoi effetti sulle modalità di pensionamento degli italiani saranno sostanziali. Avranno diritto alla pensione anticipata quelli con almeno 62 anni d’età e 38 anni di contributi. Ma anche i lavoratori con un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne). Potranno accedere al trattamento pensionistico anticipato le lavoratrici con almeno 58 anni d’età e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2018, ma dovranno accettare ingenti riduzioni attuariali alla pensione. Continueranno a poter richiedere l’Ape sociale, fino al 31 dicembre 2019, i lavoratori con almeno 63 anni di età, 30 (o 35) anni di contributi e in condizioni di disagio – disoccupati, usuranti, disabili. L’uso dei fondi di solidarietà, da parte delle imprese, è esteso ai lavoratori che nei successivi tre anni potranno fare uso di quota 100. Mentre l’agevolazione introdotta per il riscatto dei periodi non coperti aiuterà il conseguimento dei 38 anni di contributi necessari per raggiungere quota 100.
Cosa cambia rispetto alla normativa vigente? Ovviamente, la riduzione dei criteri di accesso alla pensione di anzianità abbasserà l’età media di pensionamento: di un anno e mezzo nel settore privato secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Sempre secondo queste stime, la platea interessata da quota 100 nel 2019 è di 475mila lavoratori, per i due terzi uomini e per la metà soggetti al sistema retributivo. L’allargamento dell’uso dei fondi di solidarietà consentirà una fuoriuscita dal mercato del lavoro, attraverso questo canale, già a 59 anni.
Tutto ciò nei prossimi tre anni. Per un costo, secondo le stime del governo, di ben 22 miliardi di euro. Impossibile non chiedersi se ne valga la pena.
La flessibilità costa
Qual è l’obiettivo di questa misura di politica economica, che le forze al governo avevano già ampiamente pubblicizzato in campagna elettorale e che hanno poi incluso nel contratto di governo? L’obiettivo politico era, ed è tuttora, di cancellare la riforma Fornero. Tradotto in termini economici, l’intento potrebbe essere quello di aumentare la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro. Se così fosse, sarebbe sicuramente un proposito condivisibile – e condiviso da molti. Infatti, la domanda di flessibilità in uscita è sicuramente aumentata nell’ultimo decennio, ovvero da quando – prima della riforma Fornero – l’età media di pensionamento in Italia (e nel resto dei paesi Ocse, ad eccezione della Grecia) ha iniziato ad aumentare. Lavoratori anziani con esigenze familiari o di salute, o semplicemente stanchi e demotivati, potrebbero voler lasciare. Analogamente, imprese con la necessità di ristrutturare potrebbero voler rinunciare ai servizi di lavoratori ormai anziani, ma comunque costosi.
La flessibilità in uscita è legittima, ma costa. Se un lavoratore anticipa di un anno il pensionamento crea due effetti sul sistema previdenziale. Un anno di contributi previdenziali in meno. E un anno di pensione erogata in più. Dunque, il sistema pensionistico incassa di meno e versa di più. A meno che, ovviamente, la pensione mensile erogata non sia ridotta per compensare i minori versamenti e il più lungo periodo di erogazione. Alcune proposte di riforma pensionistica presentate negli anni scorsi prevedevano penalizzazioni attuariali, che prendessero atto di entrambi gli effetti, come accade del resto nel sistema contributivo sin dalla sua introduzione, nel 1995. E anche l’Ape volontaria, introdotta ad aprile 2018, includeva una penalizzazione implicita, sebbene attraverso un meccanismo di mercato. Quota 100 invece considera solo il primo effetto – la riduzione dei contributi – ma non il secondo, ovvero l’aumento degli anni di erogazione. In tal modo offre un bonus ai 400mila o più lavoratori che la sceglieranno per andare in pensione nei prossimi tre anni. Un bonus che tuttavia andrà finanziato dai contributi previdenziali pagati da altri lavoratori. Opzione Donna, invece, considera entrambi gli effetti. Il criterio di calcolo della pensione risulta corretto, ma le conseguenti riduzioni dell’assegno pensionistico sono sostanziali.
Dunque, quota 100 va ben oltre l’obiettivo di fornire un canale di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro. Incentiva il pensionamento anticipato e per farlo incanala una gran quantità di risorse verso lavoratori sessantenni, prevalentemente uomini, con carriere lavorative continue e aderenti al (generoso) sistema retributivo. Solo per tre anni. Una (ulteriore) concessione ai baby boomer – soprattutto agli uomini – già in precedenza esentati dal costo delle riforme Amato e Dini.
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Savino
Solito prepensionamento con scivolo per i soliti privilegiati (statali). Da baby boomers a baby pensionati il passo è breve. Certe categorie sociali continuano ad avere vita facile, sia per trovare lavoro, sia per andare in pensione. I cervelli in fuga continuano a fare i secchioni e ad essere insultati per questo, mentre, certi asini, una mattina si sono svegliati col lavoro pronto ed un’altra mattina lo hanno fatto con la pensione pronta. Per favore, non chiamatelo “cambiamento”. L’idea che hanno gli italiani di “cambiamento” riguarda solo la loro tasca, ma non il destino del Paese e dei giovani.
Paolo
Soliti luoghi comuni dell’articolista e del commento. 40 anni di lavoro vi sembrano pochi? Il tutto senza mai nominare i conti veri dell’INPS, paragonandoli agli altri paesi europei. L’INPS è in attivo e finanzia l’assistenza nonché le casse dei ‘ricchi’: manager, giornalisti, coltivatori diretti per non parlare di politici e sindacalisti. Toglietevi le fette di prosciutto dagli occhi.
Savino
Sig. Paolo, il popolo italiano adulto non riesce proprio a comprendere che le sue commedie all’italiana si stranno trasformando in tragedie greche per le future generazioni.
Gianni
Non capisco cosa L autore intenda per costo. Se si va in pensione prima con una pensione più bassa si concretizza un risparmio e non un costo.
amadeus
Lei ha dei problemi non indifferenti con la matematica. Studi, rifaccia i calcoli (senza parlare per sentito dire) e poi vedrà se l’INPS è in attivo.
Gianni
Dice a me? Allora mi calcoli lei il costo della operazione, altrimenti si astenga dal parlare per sentito dire.
ARIANNA
In linea di massimo il costo è questo: se lei va in pensione un anno prima si perdono i suoi contributi per quell’anno (facciamo X). Inoltre va pagata la sua pensione per un anno in più (identifichiamola come Y). E’ vero che se le viene decurtata la pensione negli anni successivi alcuni costi si recuperano ma se non si recupera X+Y la perdita è netta. Con la nuova legge si recupera solo X e non Y. Infine il bilancio Inps 2018, è dato in negativo per 5 miliardi e 411 milioni e peggiora di 1 miliardo e 224 milioni rispetto all’anno precedente. Questo è quanto ho capito io ma non ho la presunzione di essere infallibile …..
Emilio
Mi chiedo come negli anni passati quando si andava in pensione molto prima e le donne anche 5 anni prima nonostante una aspettativa di vita più lunga di 5 anni nessuno tirava fuori questi discorsi anzi tutti i governi di entrambi i Lati altro non hanno fatto fino al 2011 che posticipare una riforma che qualcuno voleva attuare già nel 1994 …. hanno tutti improvvisamente cambiato idea dopo aver consentito l’uscita prematura di tanti fortunati diventati grazie a una nostra particolare tutela di giudizio (che ad es. in Grecia non valse …) per i cd diritti quesiti ??
Giuseppe
Vorrei porre in evidenza come nell’articolo, l’autore metta in risalto l’aspetto quasi sessista del provvedimento, lasciando intendere che la misura sia stata studiata per agevolare gli uomini rispetto alle donne. Non credo che ciò sia vero. Ritengo piuttosto che il fatto sia del tutto casuale e che la “quota cento” sia un provvedimento che abbia tanto di propagandistico e poco di razionale. Tuttavia, perché non parlare allora delle agevolazioni che hanno avuto le donne in questi anni andando in pensione prima degli uomini, pur avendo un aspettativa di vita più lunga? Chi ha pagato la differenza? E l’opzione donna cmq rimane una misura ad hoc per un solo genere. Non credo che le donne abbiano bisogno di difensori in questa materia.
Dario
Ho la netta impressione che le fette di prosciutto dagli occhi dovrebbe togliersele lei:
a) l’INPS non è in attivo, dato che il bilancio preventivo per il 2018 prevedeva un disavanzo di 7,581 miliardi
b) l’INPS sta in piedi e riesce ad erogare le pensioni perché riceve trasferimenti dallo Stato che sono stati pari, nel 2018, a 108 miliardi e 379 milioni. Questi non coprono soltanto l'”assistenza” (e men che meno le pensioni dei giornalisti, che sono pagate dall’INPGI e non dall’INPS!), ma soprattutto lo sbilancio di ben 55 miliardi e 973 milioni fra i contributi previdenziali incassati (227 miliardi e 342 milioni) e le pensioni erogate (283 miliardi e 315 milioni).
Poi siamo tutti d’accordo, credo, che 40 anni di lavoro non sono pochi e che per la maggioranza delle persone il lavoro è fatica e sacrificio, ma questo non significa che si debbano chiudere gli occhi di fronte ai reali problemi di sostenibilità del sistema previdenziale italiano.
sap
Caro Sig. Dario, DIMENTICHIAMO tutti una cosa fondamentale: LO STATO NON VERSA UN EURO DI CONTRIBUTI PER I SUOI 3,5 MILIONI DI DIPENDENTI!!!!!!! l’INPS, prima dell’accorpamento INPDAP con INPS deciso da Monti, era in attivo di ben 11 miliardi. Le pensioni vengono pagate solo dai versamenti dei privati. Il problema è tutto qui. Cordialmente.
Giovanni
Il mettere un temine di tre anni per la validità del provvedimento avrà l’effetto di spingere ad un’uscita anticipata, nel timore di rimanere poi intrappolati. Inoltre il requisito dei 38 anni danneggia coloro che non hanno continuità di rapporto, che sono spesso coloro che svolgono i lavori più faticosi, come ad esempio gli edili.
Michele
La riforma cosi detta Fornero, frutto degli “esperti” ha fatto gravissimi danni: ingessato maggiormente il mercato del lavoro e creato il problema degli esodati (non previsto dagli ‘esperti’) che Dio solo sa quanto sia costato risolverlo. Abolirla è il minimo per cercare di risolvere problemi strutturali creati in decenni e decenni di politiche disastrose avvallate dagli “esperti”
Rick
Utile lettura qui https://www.lavoce.info/wp-content/uploads/2016/07/Rapporto-INPS-2016.pdf da pagina 116 per chiarirsi le idee sugli esodati (dopo otto salvaguardie parlare di esodati è ridicolo). Sui decenni di politiche disastrose forse le sfugge, tanto per fare un esempio, la montagna di lavori che gli ‘esperti’ (come li denigra lei) hanno scritto prima che la macroscopica differenza tra requisiti di pensionamento per i dipendenti pubblici e per quelli privati sia stata presa in considerazione da Amato (guarda un po’ nel 1992). Differenza che ha generato tanta di quella spesa che si sarebbe potuta evitare che ne stiamo ancora pagando le conseguenze. O non vede le macroscopiche diseguaglianze tra generazioni che si stanno creando? Guardi che in un sistema a ripartizione se non c’è reddito da tassare può così sventolare la sua bandierina dei diritti: nessuno le paga la pensione o la sanità.