I dati Eurostat mostrano che in Europa il rischio di essere poveri è molto più elevato per le persone extracomunitarie. Se si vuole davvero combattere la povertà, è necessario che le politiche di sostegno non discriminino proprio chi ne ha più bisogno.
I dati del malcontento sociale in Europa
Quella che si avvia a votare per il rinnovo delle rappresentanze nazionali nel Parlamento europeo è un’Europa dove il disagio sociale e il malcontento a esso associato rischiano di regnare sovrani (non è un modo di dire, dato il consenso di cui sembra che godranno i cosiddetti partiti sovranisti). Disagio e malcontento hanno tante cause, ma molte dipendono dall’insicurezza che deriva dalla precarietà degli individui rispetto alla propria situazione economica. È proprio questo che Eurostat misura quando pubblica (lo ha fatto recentemente con riferimento al 2017) i dati relativi alla percentuale di popolazione a rischio di povertà nei vari paesi, distinti tra cittadini nazionali, immigrati dalla UE e immigrati extra-UE.
Qui consideriamo i dati relativi al rischio di povertà relativa, che riguarda cioè le persone tra i 20 e i 64 anni che vivono in famiglie con reddito inferiore al 60 per cento del reddito netto dell’abitante che si colloca esattamente a metà della distribuzione dei redditi netti (il reddito “mediano”, una volta che lo stato abbia effettuato i suoi trasferimenti, cioè pagate le pensioni e le indennità di disoccupazione e incassate le tasse) nel paese di residenza. In un prossimo articolo considereremo anche la povertà assoluta, che tiene fissa la linea di povertà ai valori reali di un anno base.
Il rischio di povertà è da sempre più alto nel sud Europa. Ed è cresciuto nel tempo.
I dati Eurostat (figure 1 e 2) indicano che nel 2017 le persone a rischio povertà sono percentualmente di più nei paesi del Sud Europa che in quelli del Nord Europa. Indicano anche che è molto più probabile che un cittadino autoctono sia esposto al rischio povertà in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia che in Germania, Francia e Svezia e nell’Europa. E rimane che la crisi ha accresciuto il rischio di povertà più nei paesi del Sud Europa che in altre nazioni più ricche. È questo trittico di dati che fonda la retorica sovranista contro l’Europa matrigna e la necessità di difendere gli autoctoni contro la crisi.
I dati Eurostat dicono però che il rischio di essere poveri era più alto nel Sud rispetto al Nord Europa già nel 2005 (e negli anni precedenti), con la parziale eccezione della Spagna. Gli europei del Sud possono sentirsi cittadini di serie B, ma non è chiaro se ciò debba essere attribuito alla crisi. Già negli anni Novanta la povertà relativa era più alta rispetto all’Europa del Nord, anche a causa di una maggiore disuguaglianza.
Figura 1 – Persone a rischio di povertà (reddito inferiore al 60 per cento della mediana nazionale)
Si veda qui.
Ma il rischio di essere poveri è più alto ed è cresciuto di più per gli extracomunitari
Se però si parla di rischio di povertà in Europa, nella maggior parte dei casi, o almeno in percentuale sulla popolazione di riferimento, non è degli autoctoni che si parla. Si parla soprattutto di stranieri extra UE. Almeno questo è quanto dicono i dati Eurostat. Praticamente in tutti i paesi dell’Unione europea il rischio di povertà è decisamente più elevato per chi non ha la cittadinanza del paese in cui risiede. La figura 2 distingue la quota di persone a rischio di povertà a seconda che abbiano la stessa cittadinanza del paese in cui vivono (national citizens, cioè “nazionali”), che siano cittadini di altri paesi UE (EU citizens, cioè “altri EU”) o che siano di cittadinanza extra-UE (“Non-EU”). Si vede bene che quasi ovunque, anche nei paesi più ricchi o meno disuguali, il rischio di povertà è massimo per gli extracomunitari, si riduce per i cittadini di altri paesi UE e ancora di più per i nazionali.
Figura 2
L’Italia non fa eccezione: il rischio di povertà nel 2017 è del 40,6 per cento per gli extracomunitari, del 28,6 per cento per i comunitari non italiani e del 18,1 per cento per i cittadini italiani. Per i residenti non comunitari, i valori più elevati si trovano in Grecia, Croazia, Lussemburgo, Belgio, Svezia e Francia. Ma ci sono paesi in cui la distanza nell’incidenza della povertà relativa tra extracomunitari e nazionali è bassa: spicca il Regno Unito, assieme ai paesi baltici e alla Repubblica Ceca.
Vediamo ora come è cambiato negli ultimi anni per questi gruppi il rischio di povertà nei quattro più grandi paesi dell’Unione (non prendiamo in considerazione il Regno Unito perché Eurostat considera il dato di bassa qualità). I dati sono tratti da campioni nazionali composti da qualche migliaio di famiglie, quindi i valori per piccoli gruppi della popolazione possono oscillare molto da un anno all’altro.
Figura 3 – Tassi di povertà relativa per cittadinanza nei principali paesi dell’UE dal 2009 al 2017 (età 20-64)
I non comunitari hanno incidenza di povertà molto alta soprattutto in Francia e Spagna, meno in Italia e Germania. Nel nostro paese il rischio di povertà per i comunitari è molto alto e simile a quello dei non comunitari, almeno negli ultimi anni. E se la povertà dei cittadini italiani è in leggero aumento, quella dei non comunitari sale più rapidamente.
Le sfide per la politica
I dati Eurostat sulla povertà mostrano che in Europa il rischio di essere poveri è molto più elevato per gli extracomunitari. L’implicazione politica è che i governi che vogliano davvero combattere la povertà dovrebbero trovare meccanismi di compensazione di reddito che non discriminino gli immigrati. Politiche come “prima gli italiani” possono avere una ragione d’essere nel tentativo di fare qualcosa per il disagio dichiarato da una classe media autoctona, che percepisce la propria condizione economica più insicura rispetto al passato: colpa della globalizzazione, dell’euro, di errate scelte nazionali o individuali, difficile dirlo con sicurezza. Ma bisogna avere la lucidità di dichiarare che una politica che mette “prima gli italiani” (o gli europei autoctoni) al centro delle politiche di redistribuzione del reddito e della ricchezza non è veramente una politica contro la povertà, né in Italia né in Europa. Il reddito di cittadinanza recentemente introdotto nel nostro ordinamento sembra invece negare questi dati, prevedendo che tra i beneficiari della misura di assistenza figurino solo i cittadini extracomunitari residenti in Italia da almeno dieci anni. È una condizione molto restrittiva (e di dubbia costituzionalità) che allontana ancora di più quell’obiettivo di “abolire la povertà” ottimisticamente dichiarato dal ministro Luigi Di Maio. E non per la sua inefficacia, ma perché è disegnato per lasciare fuori dallo schema molti dei poveri che vivono in Italia, che per di più sono tra le poche famiglie con molti figli. E la povertà dei figli degli extracomunitari di oggi si tradurrà tra pochi anni in minori servizi (per le minori imposte pagate dai lavoratori di domani) e meno sicurezza anche per gli italiani.
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Davide
Oppure abbiamo l’ennesima dimostrazione che l’eccessiva immigrazione di persone non qualificate non funziona, creando sacche di povertà e di disagio che vanno avanti da decenni e non si risolvono mai.
Quindi, anzichè spendere ulteriore denaro per persone storicamente estranee alla società, e che non si capisce per quale motivo dovrebbero essere sostenute dai “local”, si può lasciar perdere la retorica dell’immigrazione, e di una integrazione che non esiste, che non avviene, come mostrato anche da questi dati. Se proprio non si vuole fare la fatica di visitare una periferia, una zona, di una qualsiasi grande città europea, in cui tali immigrati scarsamente qualificati sono prevalenti. Anche dopo due o tre generazioni, come Parigi ad esempio mostra molto chiaramente. L’ultima cosa da fare è mandare il messaggio che possano godere di ulteriore welfare.
Marcomassimo
Che la povertà tra gli extracomunitari sia maggiore di quella tra gli autoctoni, non è che ci vogliano grandi studi a capirlo, specie se si pensa che un extracomunitario potrebbe raccogliere pomodori in condizione di semischiavitù; gli italiani in tali condizioni sono senza dubbio di meno; se gli autori dello studio uscissero magari dalla sfera della economia ed entrassero un poco in quella della Storia, saprebbero che da che mondo è mondo i primi hanno interesse che gli ultimi ed i penultimi si scornino fra loro perchè da quello scontro hanno parecchio da guadagnare; diciamo che anche stavolta ci stanno riuscendo e non c’è nulla di nuovo sotto il sole, anche se poi si deve capire quanto durerà.
Giampiero
Affermare genericamente di combattere la povertà è una affermazione semplicistica, come dire che tutta l’umanità non deve essere povera. Lo Stato deve calarsi nella realtà e fare i conti con il contratto stabilito con il proprio corpo sociale che ne è il fondamento giuridico ed economico. Le politiche di sostegno non possono prescindere da regole che accertino la titolarità conseguente ad una coerente partecipazione alla formazione delle risorse dedicate. Quindi per gli stranieri devono valere delle norme che ne accertino la legittima maturazione del diritto. Mi domando come si può proporre la collettivizzazione del welfare evitando quella che diventerebbe logicamente e politicamente ineluttabile dei mezzi di produzione di marxiana memoria?
Davidino
Riassunto:
Il PD importa 650.000 poveri senza alcuna competenza e quindi prospettiva nel mercato.
Una politica folle che ovviamente che ovviamente espone questi ultimi ad alto rischio di povertà anche perché in Italia la disoccupazione nativa è alta quindi le prospettive in generale sono ancora più basse.
Conclusioni: colpa dei sovranisti e prima gli extracomunitari!
Massimo Baldini
Se gli stranieri decidono di restare in Europa significa che il loro tenore di vita migliora rispetto ai paesi di origine. Quanto al tenore di vita degli europei, tra i due opposti luoghi comuni secondo cui gli stranieri rubano il lavoro agli italiani, ovvero gli stranieri fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare, la gran maggioranza degli studi dice che è più vicino al vero il secondo.
Davide
Solo se si ragiona considerando il modello economico come “fisso”, senza rendersi conto che lo sviluppo, l’accumulo di capitale, la produttività, vanno di pari passo col cambiamento del lavoro stesso, che diventa più qualificato e meno “manovalanza”.
La disponibilità di tanto lavoro non qualificato a basso costo va in direzione opposta.
giampiero
I lavoratori del Terzo Mondo ambiscono i Paesi sviluppati dai quali subiscono un trattamento un livello appena sopra quello che avevano ai loro Paesi. Quelli dei Paesi sviluppati fuggono verso Paesi più sviluppati o sono fagocitati nella povertà. La Globalizzazione è una giostra dove tutti si affannano a non rimanere col cerino in mano. E’ la legge di Mercato. Eppure la maggioranza degli studi dice che viviamo sopra le nostre possibilità.