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Italia-Cina: quel Memorandum è un pasticcio

Perché tante polemiche sul Memorandum of Understanding tra Italia e Cina? La firma di un paese fondatore della Nato e dell’Unione europea è un successo per la politica estera cinese. Per il nostro paese sono chiari i costi politici, meno i benefici.

Governo in confusione

A meno di dieci giorni dalla firma annunciata – e confermata – di un Memorandum of Understanding (MoU) tra Italia e Cina sulla Belt and Road Initiative, che avverrà nel corso della prima visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma il 21 marzo, l’unica certezza è che la confusione regna sovrana, ovunque e a ogni livello. A cominciare dallo stesso governo e delle sue due anime: la Lega, nelle parole di Matteo Salvini, si dichiara scettica, nonostante il vero deus ex machina dell’operazione sia un suo esponente, il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, che risponde però a Luigi Di Maio, leader del M5s, molto meno sensibile alle esigenze della componente produttiva e lavorativa del paese. Sulla divergenza interna si innesta un conflitto di competenze a livello ministeriale e istituzionale, dal momento che il MoU presenta evidentemente tutte le caratteristiche e la natura di un documento di politica estera, sebbene con un formato insolito per una democrazia occidentale, e pertanto la Farnesina ne ha rivendicato la competenza rispetto al ministero dello Sviluppo economico.

La confusione è stata accompagnata, e in parte causata, da una voluta disinformazione sulla natura e sui contenuti dell’accordo. Fino al 12 marzo, non si conosceva neanche una bozza dell’accordo, così vari esponenti del governo hanno potuto millantare per giorni che il Memorandum non fosse altro che un accordo economico e commerciale, per aumentare l’export italiano in Cina e gli investimenti cinesi in Italia, “dimenticando” peraltro che la politica commerciale è competenza dell’UE e non degli stati membri. Dopo la pubblicazione della bozza sul Corriere della Sera, Geraci ha infatti prontamente smentito quanto aveva detto sino ad allora, non potendo più nascondere la mancanza di competenza istituzionale del suo ministero.

Da quando circola la bozza, però, la confusione è aumentata ancor di più. Al di là dell’aura apparentemente romantica di quella che i cinesi abilmente chiamano “iniziativa”, che ha un nome ufficiale – Belt and Road Initiative – ma che in Italia viene continuamente chiamata “nuova via della seta”, come a volerne sottolineare l’aspetto intrinsecamente benefico, la Bri è in realtà un progetto di sviluppo interno e internazionale con importanti connotazioni strategiche. Il 24 ottobre 2017 il perseguimento della Bri è stato inserito nella Costituzione cinese, che coincide con la Costituzione del Partito comunista cinese. È dunque oggi un obiettivo strategico di stato, non una mera iniziativa economica e commerciale. Include l’obiettivo di migliorare la connettività tra Cina ed Europa, attraverso reti di trasporto e logistica, ma accanto a obiettivi molto più estesi e strategici, come integrazione finanziaria, cooperazione nelle infrastrutture (non solo di trasporto ma anche energetiche), libero scambio, scambi culturali e di persone.

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I contenuti dell’accordo

Cos’è il Memorandum of Understanding e perché l’imminente firma da parte dell’Italia crea tanto scompiglio? Si tratta di un documento di intesa (non un contratto, né un trattato, né un accordo) sugli ambiti della cooperazione bilaterale nei settori dei trasporti, infrastrutture, logistica, ambiente e finanza. Non ci sono obiettivi né contenuti precisi, ma espressioni vaghe, per esempio su un avanzamento delle relazioni politiche tra i due paesi firmatari. Come tutti gli altri MoU firmati dalla Cina, gli ambiti di cooperazione sono gli stessi cinque che costituiscono i risultati ufficiali previsti per la Bri: coordinamento delle politiche, connettività e infrastrutture, libero scambio, integrazione finanziaria e scambi culturali.

Da una prima e rapida analisi della bozza concordata con l’Italia, ci sono differenze che non sembrano marginali. Alcune sono apparentemente sottili differenze di espressione che ne sottendono però di significative nella portata dell’influenza che il documento potrà esercitare. Per esempio, per quanto concerne le controversie, vale sempre il principio degli incontri amichevoli tra le due parti? Nel testo si parla di dialogo amichevole con incontri “diretti”. Come si collocano i tribunali Bri in questo contesto? In altri casi, invece, le differenze sono evidenti e mostrano l’intenzione di stabilire un’intesa più stretta. Insomma, secondo Chris Devonshire-Ellis, fondatore di Dezan Shira, il “MoU sembra largamente innocuo, ma contiene i semi di quello che potrebbe essere usato in futuro come strumento diplomatico nella forma di un appiglio a presunte intese già raggiunte sui temi inclusi nel documento”. E se l’interpretazione dei contenuti del documento è tolta dalla sfera di competenza dei tribunali internazionali per affidarla a un “contesto amichevole di consultazioni dirette”, è evidente il rischio di divergenze interpretative orchestrate per sollevare potenziali incidenti diplomatici.

Tutte le perplessità diffuse dopo la pubblicazione della bozza hanno spinto il governo italiano a limare i contenuti politici del documento, quindi ancora oggi non è chiaro quale sarà la versione finale.

Una firma che ci isola

Al di là dei dubbi elencati, perché mai la firma italiana sarebbe diversa da quella degli altri tredici paesi europei che hanno già siglato il Memorandum? Paese fondatore dell’Unione e tuttora tra i pilastri dell’Europa unita, nonché membro fondatore della Nato, l’Italia sarebbe il primo paese del G7 a firmare un documento d’intesa con Pechino. Sin dal suo annuncio, la disponibilità dell’Italia ha fatto inalberare sia Washington, per i timori concreti di un’ingerenza cinese in settori strategici per la sicurezza nazionale (che non sono soltanto le infrastrutture digitali in prospettiva del 5G, ma tutte le infrastrutture di trasporto e logistica e le reti di distribuzione dell’energia in cui la Cina chiede una maggior presenza) e per le conseguenze inevitabili che avrebbe sul ruolo del nostro paese nell’alleanza Nordatlantica, sia Bruxelles, che da tempo cerca di costruire una posizione condivisa in Europa sul futuro delle relazioni economiche con Pechino. Non è vero, come si sente e si legge sulla stampa nazionale, che anche Francia e Germania siano in procinto di firmare. Non lo hanno mai considerato. Parigi ha concordato una dichiarazione congiunta che include scambi culturali e scientifici e firmerà una decina di accordi molto specifici e concreti durante la visita di Xi a Parigi, che segue quella romana.

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Perplessi sono anche coloro che sono disposti a ignorare o accettare le conseguenze geopolitiche di fronte a obiettivi concreti – e condivisibili – di aumenti dell’export italiano in Cina (e non tanto dell’interscambio, come spesso indicano i cinesi nei loro obiettivi bilaterali) e dei capitali cinesi investiti nei progetti infrastrutturali italiani. Nel documento non c’è nulla di concreto. In ogni caso, si sarebbe potuto procedere in modo diverso, come la Germania, inanellando collaborazioni e progetti comuni, strette di mano davanti a risultati mutualmente benefici e non a documenti fumosi. Anche con la firma del Memorandum, rimarranno la concorrenza interna e le discordie tra le diverse parrocchie italiche e mancherà sempre una visione nazionale. Un esempio della differenza di approccio tra Italia e Germania è dato dalle connessioni ferroviarie: a Duisburg, Angela Merkel ha stretto la mano a Li Keqiang all’arrivo del primo treno dalla Cina; a Mortara, il primo treno diretto a Chengdu è partito sotto gli occhi di pochi interessati, e le difficoltà logistiche e finanziarie della tratta sono state ignorate dal governo italiano. Il secondo treno non è mai partito.

Quali rischi corre l’Italia, nell’immediato? Quello già concreto è l’isolamento in Europa. Come primo effetto politico, infatti, l’Italia ha votato contro lo schema per lo screening degli investimenti esteri nell’Unione, di cui peraltro è stata promotrice. Il decalogo di azioni e suggerimenti per la gestione delle relazioni con la Cina pubblicato il 12 marzo dalla Commissione europea arriva tardi, ma sempre in tempo utile per aiutare gli stati membri in decisioni troppo grandi per i singoli paesi. Potrebbe essere usato come leva per alzare di molto il livello della negoziazione con Pechino e, al contempo, salvare quel poco di reputazione che resta all’Italia in Europa.

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  1. Savino

    Da un lato, l’ UE, in quanto tale, deve incrementare forme di cooperazione. Dall’altro, l’Italia non può firmare in maniera così avventata e sconclusionata, ma la politica estera commerciale deve essere univoca ed inequivocabile.

    • Santo Ferrolotto

      Al momento gli interessi dei diversi paesi ue non sono ne univoci ne inequivocabili. Finché l’UE si rifiuterà di fare politiche che siano veramente comuni (nel senso di generatrici di benessere per TUTTI i paesi membri indipendentemente dalla loro produttività e volte alla tutela dell’interesse pubblico) inevitabilmente tutti i paesi membri cercheranno un piano B. L’accordo franco tedesco è frutto degli stessi atteggiamenti che si criticano al governo italiano. Quali alternative da l’UE in termini di infrastrutture, investimenti, ambiente e scambi internazionali? Nessuna, una mera cessione di sovranità in cambio di deflazione permanentemente. Non esplorare altre possibilità in termini di alleanze (non entro nel merito dello specifico accordo) sarebbe ottuso, non il contrario.

      • Lorenzo

        Non sono d’accordo sulla sua ricostruzione, ma convengo che a questo punto sarebbe davvero distruttivo il non esplorare altre alleanze. Resta il fatto che ci siamo autoghettizzati.

  2. Pippo Ranci

    Primo. Un grandioso progetto di investimenti in trasporti e comunicazioni che interessa molti paesi dovrebbe essere organizzato con un organismo consortile e non con una raggiera di rapporti bilaterali tra il paese più grande e ciascuno degli altri. Seguendo lo schema proposto, sarà la Cina a decidere se dalla Turchia all’Olanda si va attraverso i Balcani o l’Italia.
    Secondo. Un grande nuovo sistema di comunicazione deve nascere con una netta separazione tra il soggetto che controlla l’infrastruttura (sia di cemento o digitale) e i soggetti che la usano. I casi di parziale o debole separazione sono accettabili solo dove c’è un potere superiore che regola e giudica, quindi a livello locale o nazionale. In un contesto internazionale solo la separazione garantisce. Non è così il modello cinese, ma non vorremmo importarlo.
    Quindi: il progetto è interessante e vale la pena di discutere se entrarci, ma con il peso e le regole dell’Europa.

  3. Ezio

    Capisco che siete tutti filo americani però quando si scrive un articolo magari si dovrebbe andare più a fondo sui pericoli per convincere il lettore…qui ci sono solo frasi vaghe su una minaccia cinese, che è vero comunque sia, però stiamo parlando di un memorandum, e proprio per questo direi che è presto per commentare. Ovvio che nell’articolo questo è un pretesto per attaccare l’attuale governo, dimenticando poi che è stato gentiloni il primo che ha fatto partire tutto.
    Poi voglio ricordare che la germania senza fare polveroni ha rapporti molto più stretti con la cina. E poi dico: il mondo diventerà multipolare, non si può più pensare che lamerica sia il guardiano del mondo (con la brutta abitudine di imporre sanzioni economiche diatruttive agli altri). Questo articolo sembra scritto da mike pompeo.
    P.s.: con tutto quello che ha studiato mi aspettavo di meglio

  4. CISTULLI

    Come al solito LAVOCE info da un servizio eccellente per rendere chiare informazioni tanto complesse.
    Ciò detto voglio soffermarmi solo sul documento della Commissione Europea pubblicato il 12 marzo 19 che LAVOCE Info chiama decalogo di azioni.
    Con questo documento la Commissione europea riconosce, implicitamente, la necessità di un un coordinamento più stringente fra gli Stati membri intorno a visione e strategie per una politica della Unione europea.
    Ma non prende atto, ancora, della necessità di dovere cambiare, radicalmente, Governance della Unione se si vuole raggiungere una maggiore integrazione fra gli Stati membri in materia di politica economica, politica commerciale., politica industriale, politica della concorrenza ecc.
    Inutile dire che la Unione ha un urgente bisogno di questo tipo di approccio.

  5. Henri Schmit

    Condivido interamente il punto di vista della professoressa Amighini, espresso nell’articolo e in televisione. Un certo tipo di ‘collaborazione’ fra Italia e la Cina è augurabile a condizione di saper gestire i rischi che accordi fra disuguali comportano. Nessuno può criticare un accordo che favorisce lo sviluppo del commercio e le attività portuali a Trieste e a Genova. Sicuramente non Marsiglia dove la Cina ha già investito. Quello che fa bene all’Italia non può nuocere all’UE. Il problema è il contenuto di certi accordi in numerosi campi sensibili (telecom, digitale, etc) e la capacità e volontà di gestire i rischi inerenti. L’opportunismo di un governo debole, diviso, poco esperto, in ricerca disperata di qualche successo è il vero rischio. Il primo ministro, avvocato del popolo, ha detto che il MoU non è un trattato giuridicamente vincolante, ma un accordo commerciale, un’affermazione davvero sconcertante. Tutta l’Europa è preoccupata dell’inaffidabilità (per incapacità, difficoltà e opportunismo) di un governo ora più imprevedibile e pericoloso del solito. Dal sorriso fra Merkel e Sarkozy le cose sono peggiorate. Gli USA hanno ragione di ammonire l’Italia, anche se non sono i più credibili per dare lezioni ai loro alleati, forti ed affidabili o deboli e furbacchioni che siano.

  6. Francesco Cozzi

    Sarebbe possibile leggere questo benedetto memorandum, invece di affidarsi ad affermazioni di qualunque parte? Esiste la possibilità di scaricare il documento?

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