Con la sua azione di contrasto ai cambiamenti climatici, nel periodo 1990-2017, l’Unione europea è riuscita a crescere e nello stesso tempo a diminuire le emissioni di gas serra. Ma non è detto che gli stessi risultati si possano ottenere anche in futuro.
L’impegno della Ue per il clima
L’azione dell’Ue nella lotta ai cambiamenti climatici ha avuto come riferimento, negli anni Duemila, l’indicazione dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change – Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) di contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C da qui alla fine del secolo. Con due comunicazioni nel 2011 la Commissione europea delineava una “Roadmap for moving to a competitive low-carbon economy in 2050” che prevedeva, tra l’altro, l’obiettivo di tagliare le emissioni di gas-serra dell’80–95 per cento entro metà secolo. I target di riduzione delle emissioni Ue del Protocollo di Kyoto (-8 per cento per UE15 rispetto al 1990 entro il 2008-2013), del Pacchetto “20-20” del 2009 (-20 per cento per UE28 sul 1990 entro il 2020) e quello della recente Pacchetto clima ed energia del 2014 (-40 per cento sul 1990 entro il 2030) hanno avuto lo scopo di tradurre in termini operativi quella roadmap. Il nuovo target del 40 per cento consentirà poi all’Ue di onorare i propri impegni ai sensi dell’accordo di Parigi di dicembre 2015, in cui i paesi si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali e a sforzarsi di limitare l’aumento a 1,5°C, riconoscendo che ciò ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici”.
Lo scorso ottobre 2018 tuttavia, il Rapporto speciale Ipcc “Riscaldamento globale di 1,5°C” ha suonato un nuovo allarme, notando come i cambiamenti del clima stiano accelerando e suggerendo che il limite di 2°C forse non è sufficiente. È così che la Commissione europea a novembre 2018 ha presentato una Comunicazione contenente una nuova roadmap “A Clean Planet for all – A European strategic long-term vision for a prosperous, modern, competitive and climate neutral economy”. Il nuovo obiettivo UE è ora più stringente e punta a zero emissioni nette entro il 2050.
Disaccoppiare crescita ed emissioni
Sul fronte dei cambiamenti climatici l’azione europea è sicuramente stata tra le più decise, se non la più determinata, tra tutti i paesi del mondo e con l’ultima roadmap la Commissione mostra di volere proseguire in tale solco. Non solo, ma nel presentare la nuova strategia la Commissione ricorda come, nel periodo 1990-2017 le emissioni Ue di gas-serra si sono ridotte del 22 per cento mentre il Pil dell’Unione è cresciuto del 58 per cento. In altre parole, la Ue è riuscita con successo a “disaccoppiare” crescita ed emissioni. Si tratta di un risultato di non poco conto, che tutte le persone di senno si augurano possa continuare ancora per il futuro.
Il “decoupling” è un tema centrale dell’economia dello sviluppo sostenibile, alla base del quale vi è l’idea che sia possibile combattere il cambiamento climatico mentre l’economia cresce, prospera e genera posti di lavoro.
Per misurare il grado di disaccoppiamento si prende il rapporto tra il tasso di crescita delle emissioni e il tasso di crescita del Pil. Se l’indice di disaccoppiamento d è negativo (d<0), abbiamo un disaccoppiamento “assoluto” con crescita economica e riduzione delle emissioni. Se è positivo ma minore di uno (0<d<1), vi è disaccoppiamento “relativo” con la crescita sia delle emissioni sia del Pil, però con le prime che aumentano meno del secondo. Certamente, esiti indesiderabili si hanno quando non c’è disaccoppiamento (d>1) – se le emissioni aumentano più velocemente del Pil – o quando entrambi i fattori diminuiscono, un caso di accoppiamento negativo (d è positivo ma sia il numeratore che il denominatore sono negativi).
Per l’Ue si è avuto disaccoppiamento assoluto, come evidenziato dalla tabella 1, addirittura più accentuato nel periodo 2000-2017. Si è trattato di un ambito in cui l’Unione si è sicuramente distinta rispetto agli altri principali paesi emettitori.
Perché non si può essere tranquilli
Vi sono tuttavia tre elementi di preoccupazione per il prossimo futuro. Il primo, come mostra la tabella, è che l’azione della Ue non è sufficiente a garantire crescita e benessere e allo stesso tempo lotta ai cambiamenti del clima. La seconda è che gli ultimi dati mostrano come, dopo una stasi nel triennio 2014-2016, le emissioni di CO2 nel 2018 hanno ripreso a salire a livello mondiale (+1,7 per cento). Il disaccoppiamento nel 2017 per la Ue, pari a d=0.52, è un segnale di preoccupazione per i paesi membri, anche se gli stessi dati recenti ci informano che le emissioni Ue nel 2018 si sono ridotte ancora dell’1,3 per cento.
L’ultimo elemento di preoccupazione è legato alle elezioni europee del prossimo maggio e alla maggioranza che si formerà all’Europarlamento, l’altro organo di governo fondamentale dell’Unione insieme al Consiglio dei capi di stato e di governo. Le previsioni sono di un rafforzamento consistente delle formazioni sovraniste e populiste, esemplificate dai partiti della nostra coalizione di governo. A costo di una certa semplificazione, abbiamo infatti da una parte la Lega che spesso si dice espressione del “partito del Pil”, cioè di un approccio fatto di forte propensione per la crescita economica e di scarsa sensibilità per la salvaguardia dell’ambiente, in particolare quando si tratta di lotta ai cambiamenti del clima. Dall’altra parte, vi è il M5s che più volte ha mostrato simpatie per la filosofia opposta, fatta di salvaguardia “incondizionata” per l’ambiente anche a costo di interventi di deindustrializzazione e di pauperismo, in una parola di “decrescita” (forse felice, forse no). Se dovessimo sintetizzare queste pulsioni con il nostro indice di disaccoppiamento, le posizioni sarebbero quelle presentate dalla figura 1. Naturalmente, in Europa, l’attuale maggioranza persegue una strategia diversa, quella indicata dalla freccia. Noi tifiamo per quella.
Tabella 1
Figura 1
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