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Lo strano caso dell’insider di sé stesso

Una generalizzata punibilità dell’insider di sé stesso sarebbe contraria alla legge e pericolosa per il buon funzionamento dei mercati. Perché operare con la consapevolezza delle proprie decisioni e perseguire strategie di profitto non è vietato.

Quando c’è insider di sé stesso

Pochi giorni fa la Corte d’appello di Milano ha depositato le motivazioni di un’importante sentenza sull’abuso di informazioni privilegiate, confermando una condanna a carico di soggetti per “insider di sé stesso”. Non intendo commentare il caso specifico, che peraltro presenta elementi di fatto particolari. Voglio però provare a spiegare perché ritengo il principio affermato in sede penale (e precedentemente seguito dalla Cassazione anche in relazione alle sanzioni amministrative) sbagliato e pericoloso.

L’abuso di informazioni privilegiate sanziona chi, essendo in possesso di notizie non pubbliche e in grado di incidere sui prezzi di mercato, compie operazioni sfruttando il proprio vantaggio conoscitivo. L’esempio di scuola, raccontato anche da alcuni celebri film, è quello dell’amministratore che, sapendo di una prossima fusione che coinvolgerà l’ente che amministra, compra personalmente titoli prima che la notizia sia divulgata, a un prezzo basso, rivendendoli poi a prezzi più alti una volta che l’operazione è annunciata. La sentenza di Milano sposa una interpretazione estensiva delle norme: il principio generale che se ne può trarre è che anche la decisione di Tizio di operare in futuro (nel caso di specie, lanciare un’offerta residuale sulle azioni di una società) costituisce informazione privilegiata. Quindi, se prima dell’annuncio pubblico dell’Opa, Tizio acquista azioni, commette insider trading.

Due obiezioni

Sono almeno due le ragioni per le quali il principio, soprattutto se applicato in via generalizzata, non è condivisibile.

Il primo argomento è di ordine testuale. Il concetto di “informazione”, tanto nel linguaggio comune quanto in quello tecnico, evoca l’acquisizione di elementi informativi dall’esterno, che aumentano il bagaglio conoscitivo del soggetto. Anche al bar, Tizio può dire che ha l’informazione che il prezzo degli immobili aumenterà, ma che ha “deciso” di acquistare una casa. Dire che è in possesso dell’informazione di aver deciso di acquistare una casa è evidentemente una forzatura. Come tutti gli argomenti letterali, è forse il più debole, sebbene si debba ricordare che una regola di civiltà giuridica è che le norme penali vanno interpretate in modo letterale e restrittivo, per esigenze di certezza alla luce della gravità delle loro conseguenze.

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Un secondo argomento è più sostanziale. Gli investitori adottano spesso strategie che prevedono più operazioni riconducibili a un unico disegno. Ad esempio, Caio vorrebbe lanciare un’offerta per acquisire il controllo della società Alfa. Prima di farlo, tuttavia, acquista un certo numero di azioni a un prezzo più basso di quello che si determinerà una volta lanciata l’offerta, onde ridurre l’onerosità dell’offerta e ottenere una posizione che possa facilitare il successo della scalata. Ciò deve essere lecito anche perché, senza questa possibilità, poche operazioni di questo tipo sarebbero economicamente sostenibili, con conseguenze negative sul mercato del controllo e la contendibilità delle società quotate.

Le distinzioni che la giurisprudenza o le autorità di controllo hanno suggerito tra diverse operazioni (ad esempio, Opa per acquistare il controllo o per il delisting) non sono fondate nella legge e introducono differenze di trattamento discutibili nel loro fondamento giuridico-economico e scivolose nella loro applicazione pratica.

Questa posizione pare peraltro affermata espressamente nel regolamento Ue sugli abusi di mercato. Il comma 5 dell’articolo 9, dedicato alle “condotte legittime”, dice infatti che non costituisce insider trading «il semplice fatto che una persona utilizzi la propria cognizione di aver deciso di acquisire o cedere strumenti finanziari per l’acquisizione o la cessione di tali strumenti finanziari non costituisce di per sé utilizzo di informazioni privilegiate». I giudici interpretano la regola in modo restrittivo, ritenendo che l’esenzione riguardi solo ed esclusivamente la specifica operazione decisa. In altre parole, secondo questa impostazione, se Sempronia decidesse che tra 20 giorni, ricevendo un pagamento, comprerà ai blocchi il 4 per cento di una quotata, potrebbe in effetti acquistare questo 4 per cento, ma non potrebbe invece comprare sul mercato un ulteriore 1 per cento prima di tale scadenza. Questa lettura è però assurda: da un lato, infatti, la norma si limiterebbe a dire che è lecito comprare o vendere strumenti finanziari. Infatti, è ovvio che qualsiasi operazione è preceduta da una decisione di farlo nel “foro interno” dell’operatore: ci mancherebbe che ciò fosse vietato solo perché, inevitabilmente, l’azione è preceduta da una decisione. I canoni ermeneutici suggeriscono che la legge vada interpretata nel senso di sancire regole, precetti ed esenzioni che non sono ovvi e inutili. Soprattutto, la distinzione è pressoché inapplicabile. Sarebbe infatti sufficiente affermare, nell’esempio precedente, che la “decisione” di Sempronia non è semplicemente quella di comprare il 4 per cento tra 20 giorni, ma anche un ulteriore 1 per cento nel periodo interinale, per far ricadere la fattispecie nell’esenzione prevista dalla legge.

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Ritengo quindi che una generalizzata punibilità dell’insider di sé stesso sarebbe contraria alla legge e pericolosa per il buon funzionamento dei mercati, che appunto si basano su strategie di investimento e di disinvestimento articolate e che si realizzano in diversi atti di acquisto e vendita. Operare con la consapevolezza delle proprie decisioni e perseguire strategie profittevoli non è vietato, anzi è la ragione per cui si negozia in borsa. Vietato è solo avvantaggiarsi ingiustamente di una informazione ottenuta dall’esterno, grazie alla propria posizione di insider, che altererebbe la parità di condizioni tra gli operatori.

Se a ciò aggiungiamo che la sanzione penale dovrebbe essere una soluzione estrema e che spesso nei casi di abuso di mercato si sommano pesanti sanzioni amministrative e penali, è evidente che questa decisione crea grande incertezza tra gli operatori sulla legittimità di operazioni piuttosto diffuse, rischiando di ingessare i mercati.

Gli abusi vanno contrastati con fermezza e rigore, ma sarebbe estremamente opportuno, quantomeno, che legislatore e giurisprudenza chiarissero al più presto, in senso restrittivo, la portata di questa sentenza.

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  1. piero

    Grande maggioranza delle operazioni di mercato da parte degli smart money (oligopolistici) di tutto il mondo è da sempre e per sempre basata su utilizzo di informazioni riservate e manipolazioni dei prezzi: è una ovvietà come l’acqua calda x chi ci opera. Questo è il vero mercato fin mondiale. Dire che ciò sia “buon funzionamento” è per lo meno un pò buffo. Dire che i movimenti son dettati da miliardi di risparmiatori è ipocrisia od ingenuità radicale. Credere che i vestitini giuridici (aggiotaggio ed insider trading o disclosure EX POST delle transazioni degli insider) possano cambiar la situazione è “pia illusione”.

  2. oskar blauman

    L’unica cosa sensata e’ scoraggiare la speculazione tout court con pesanti disincentivi fiscali per qualsiasi investimento in azioni a corto termine, l’acquisto in azioni dev’essere finalizzato solo alla partecipazione in impresa, niente acquisti azionari per tempi inferiori all’anno, stop

  3. empirico

    il comportamento etico non è legato a norme giuridiche, ma a norme/principi etici. l’affermazione che l’insider di se stesso non è vero insider (in senso etico) mostra il livello di etica considerato normale dai think tank. Una buona indicazioni dello sviluppo attuale dell’etica

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