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Residenze per anziani: un’emergenza nell’emergenza

Il Covid-19 ha fatto molte vittime nelle residenze per anziani. La diffusione del virus è stata favorita dalle condizioni del sistema, sempre più specializzato nel trattamento sanitario della non autosufficienza grave e finanziariamente molto precario.

La situazione delle Rsa in Italia

I numerosi contagi e decessi dentro le strutture residenziali per anziani hanno suscitato notevole allarme. La forte diffusione della pandemia in quei contesti è indubbiamente favorita dal fatto che vi si concentrano persone in età avanzata. Peraltro, strutture di questo tipo dovrebbero offrire una particolare tutela sanitaria nel limitare il contagio.
Nella ricerca delle possibili cause, ci siamo chiesti quale sia la situazione delle strutture residenziali del nostro paese. I dati Ocse e Istat, pur limitati, consentono una prima ricostruzione del settore e delle principali tendenze degli ultimi anni, di cui proponiamo qui una sintesi.
Nelle strutture residenziali del nostro paese sono ricoverati 285 mila anziani over 65, di cui gran parte sono ultraottantenni (il 75 per cento), donne (il 75 per cento) e non autosufficienti (il 78 per cento). La cifra corrisponde all’1,9 per cento dell’intera popolazione over 65 (stima Oecd, figura 1). La distanza rispetto agli altri paesi è notevole. Il tasso di copertura dell’Italia è circa la metà di quello della Spagna, un terzo di quello tedesco, quasi un quarto rispetto a quello di Svezia e Olanda (figura 1). Ci superano anche Giappone, Corea e persino gli Stati Uniti. Dietro a noi troviamo soltanto la Polonia.
Lo scarso sviluppo delle residenze per anziani si lega indubbiamente alla centralità nel nostro paese della permanenza a domicilio dell’anziano, sostenuta da reti familiari forti e più di recente dal fenomeno delle badanti. Tuttavia, la carenza di politiche nazionali e di investimenti nel settore ha giocato un ruolo cruciale. I dati Oecd lo segnalano in misura lampante: in altri paesi caratterizzati da legami familiari forti (come Spagna e Corea), il tasso di copertura è notevolmente più elevato che nel nostro. Sono peraltro numerosi gli studi che mostrano come l’aumento della domanda di cura è stato affrontato nel nostro paese mediante un incremento sensibile dei trasferimenti monetari (nella forma di Indennità di accompagnamento, a cui accedono oggi quasi 2 milioni di cittadini con invalidità al 100 per cento) e senza alcuna crescita significativa nei servizi residenziali (anche a causa della invarianza negli anni dei finanziamenti a carico del Sistema sanitario nazionale).

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Figura 1 – Quota di ricoverati over 65 anni in strutture residenziali, per paese, 2017 (dati per mille abitanti)

Fonte: Oecd Health Statistics online database (marzo 2020)

L’evoluzione recente

Le tendenze degli ultimi anni evidenziano la criticità della situazione. Pur con un aumento degli anziani non autosufficienti presenti nel paese, nel periodo 2009-2016 (ultimo anno disponibile) il numero dei ricoverati è diminuito del 5 per cento, pari a 15 mila persone (figura 2). Sono diminuite soprattutto le persone autosufficienti (-13mila utenti), mentre è aumentata la quota di ricoverati ad alta intensità sanitaria (+22 mila utenti). Alla contrazione e fragilizzazione dei ricoverati si è accompagnata una forte sanitarizzazione delle strutture: sono infatti notevolmente aumentati i ricoverati in “residenze ad alta intensità sanitaria”, ovvero strutture le cui prestazioni richiedono trattamenti intensivi, essenziali per il supporto alle funzioni vitali.

Figura 2 – Variazioni 2009-2016 nel numero dei ricoverati per categoria

Fonte: I.Stat online database (marzo 2020)

Anche le forme di gestione hanno subito un profondo cambiamento (figura 3).
Si è registrata una riduzione significativa (pari al 15 per cento) del personale medico, compensato da un aumento di pari proporzioni nel personale adibito alla cura delle persone e alla sostanziale stabilità del personale infermieristico. Più forte è la sanitarizzazione delle strutture, quindi, minore è la presenza di personale medico qualificato.
In secondo luogo, si è ridotto notevolmente il peso del settore pubblico. Alla perdita complessiva di circa 25 mila posti letto nelle strutture pubbliche (soprattutto nelle società pubbliche di servizio), corrisponde un aumento di circa 20 mila posti letto nelle strutture private (soprattutto in quelle gestite da cooperative e cooperative sociali), che in gran parte operano in convenzione con il Ssn e ricevono una quota sanitaria di rimborso degli oneri di ricovero equivalente a quella delle analoghe strutture pubbliche. Tra le ragioni della privatizzazione, conta l’idea che il privato garantisca una maggiore efficienza gestionale, ma anche la possibilità di ridurre i costi adottando contratti di lavoro meno onerosi di quelli applicati negli enti pubblici.

Figura 3 – Variazioni 2016-09 nelle figure professionali (sopra) e nel mix pubblico-privato (sotto)


Fonte: I.Stat online database (marzo 2020)

L’insieme di queste tendenze ha fatto emergere un diffuso problema di sostenibilità finanziaria.
L’aumento delle prestazioni sanitarie e dell’utenza con forti bisogni assistenziali ha fatto lievitare non poco i costi delle strutture. A tale aumento si contrappone tuttavia un sistema di finanziamento pubblico impoverito. Nonostante i ricoveri in residenze a media-alta intensità sanitaria prevedano, in base alla normativa sui livelli essenziali assistenziali (Lea), una copertura pari almeno al 50 per cento dei costi di ricovero, in molte regioni gli importi sono stati più bassi. Basti pensare che in Lombardia, che copre il 30 per cento dei ricoverati di tutto il paese, la quota sanitaria per utente riconosciuta alle strutture è in media di 41,3 euro al giorno, mentre quella pagata dagli utenti varia in media tra 60 e 69 euro al giorno. Strette nella morsa tra costi crescenti e carente finanziamento pubblico, molte strutture hanno razionato le spese attraverso l’aumento delle tariffe (a scapito degli utenti più poveri), il taglio del personale medico, il mancato rinnovamento delle attrezzature.

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L’importanza di una nuova politica pubblica

Saranno le autorità competenti a chiarire cosa effettivamente è accaduto all’interno delle residenze per anziani nei giorni della diffusione del Covid-19. Si può comunque pensare che le condizioni strutturali del sistema non abbiano favorito l’applicazione di standard qualitativi adeguati alla tutela sanitaria di una platea di ricoverati in condizioni di grande fragilità fisica, così come degli operatori coinvolti nelle attività di assistenza e cura. Quanto più il sistema si è specializzato nel trattamento sanitario della non autosufficienza grave, tanto più la qualità è stata messa a rischio da condizioni finanziarie molto precarie, co-determinate da un mancato investimento pubblico in queste strutture.
L’emergenza di oggi impone un ripensamento radicale del sistema. Oltre alle questioni immediate, sullo sfondo restano problematiche di ordine più strutturale, che attengono al riconoscimento dell’importanza strategica di questo comparto del sistema sanitario pubblico, troppo a lungo trascurato.

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Ma quale regione ha fatto davvero più tamponi?

  1. toninoc

    Il fatto che in Italia ci siano meno case di accoglienza per anziani può essere dovuto anche alle necessità economiche di tante famiglie, soprattutto nelle regioni più povere, che, in stato di necessità, preferiscono accollarsi l’onere ,non da poco, di tenere in casa l’anziano invalido ed usufruire della pensione e dell’accompagnamento per le esigenze familiari piuttosto che dover integrare magari una retta mensile alla RSA ove il reddito dell’anziano non fosse sufficiente a coprire i costi abbastanza elevati soprattutto nelle RSA “ad alta intensità sanitaria” . Il devastante impatto che il coronavirus ha avuto in tante RSA ha evidenziato che le stesse non erano preparate minimamente ad un evento cosi critico ma soprattutto non hanno ricevuto il SUPPORTO INDISPENSABILE della Sanità Pubblica che colpevolmente si è fatta sorprendere senza gli strumenti necessari per sopperire all’emergenza. La lezione della pandemia coronavirus è stata tremenda ma non credo che sarà recepita dal mondo politico che ha sempre guardato alla Sanità Pubblica più come fonte di potere che servizio indispensabile per TUTTI i cittadini.

  2. Giorgio Ponzetto

    Ci sarebbe anche da fare una riflessione su come le Regioni in tutti questi anni ,abbiano governato questo settore ,da sempre di loro competenza. Le tristissime vicende connesse all’epidemia hanno acceso ora i riflettori sulle RSA, ma in questo campo le criticità erano già ben presenti da tempo (e talora evidenziate anche dai mezzi di informazione) e di vario tipo, come anche l’articolo ricorda ,e l’azione delle Regioni sembra essere stata negli anni piuttosto debole nel programmare, organizzare, finanziare e, soprattutto controllare in termini non meramente burocratici il settore. che ne pensano gli autori dell’articolo?.

  3. Aldo

    @”ma soprattutto non hanno ricevuto il SUPPORTO INDISPENSABILE della Sanità Pubblica che colpevolmente si è fatta sorprendere senza gli strumenti necessari per sopperire all’emergenza”
    Ma non solo una questione di strumenti. Nella RSA dove lavora mia moglie hanno preso tutte le precauzioni ed ad ora nessun caso se non per la stupidità degli ospedali che per smaltire hanno inviato un’anziano il quale il giorno prima aveva la febbre e a cui avevono somministrato tachipina ed ovviamente il giorno dopo era senza la febbre e trasferito alla RSA(prassi comune quella della tachipirina)….ma per fortuna l’attenzione dei responsabili RSA di isolare ed utilizzare tutte le precauzioni hanno fatto in modo di non creare una catastrofe sucessivamente hanno trasformato separando spazi da RSA a un centro quarantena covid gli operatori hanno quindi spogliatoi percorsi diversi con entrate e spazi isolamento diversi dalla RSA
    Mi chiedo se quell’anziano della prima ora non fosse stato isolato subito? cosa sarebbe successo? Ma per bravura e capacità utilizzando ed obbligando a tutti gli strumenti possibili dalle mascherine anche ai parenti max 1h al giorno si è per ora annullata la catastrofe

  4. Henri Schmit

    Davvero un ottimo articolo su un tema molto importante! Lo considero un’introduzione, perché tanti aspetti sono solo sfiorati. Fra i compiti obbligatori dopo la crisi epidemica c’è la definizione di nuovi obiettivi, di ingenti investimenti, di un nuovo modello di assistenza sociale per anziani garantita oltre alle strutture private in parte autofinanziate, ma soprattutto trasparenza, controllo e responsabilità. La trasparenza ha effetti benefici su tutta l’economia, pubblica, privata, occupazione, addirittura sull’ambiente e sull’immobiliare.

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