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Come colmare il gap educativo al rientro in classe*

I figli delle famiglie disagiate escono dal lungo lockdown della scuola e dalle lezioni online ancora più svantaggiati. Alla ripresa di settembre occorrerà mettere in atto una strategia di riequilibrio. Qualche suggerimento.

Il nodo che lega ripartenza della scuola e dell’economia 

Le scuole di ogni ordine e grado sono chiuse da circa due mesi ed è estremamente improbabile che l’attività didattica in presenza, pur nella ormai avviata “fase 2”, riparta prima di settembre. Il rinvio di qualsivoglia apertura, anche nel caso delle scuole materne e primarie, potrebbe rendere difficile la ripartenza dell’economia, complicando ulteriormente l’attività lavorativa per molti genitori, già necessariamente appesantita dalle precauzioni epidemiologiche. 

Il principale problema della chiusura delle scuole è però legato alle conseguenze di più lungo periodo sugli apprendimenti per le coorti che oggi sono nel sistema scolastico. Gli effetti negativi della riduzione del tempo scuola sono significativi e tendono a essere più accentuati per i soggetti più deboli. Per questi inoltre il fiorire, encomiabile anche se non sempre ben strutturato, di iniziative di didattica a distanza non sempre riesce a sopperire al minore tempo trascorso a scuola. 

A settembre un passo indietro nel programma

Ma soprattutto rimane la questione del come si possa recuperare in futuro quanto perso in questi mesi. Dati gli obiettivi generali – ovvero salvaguardare il diritto a un’istruzione di qualità e il ripristino della socialità dei più giovani, da rendere compatibili con la salvaguardia della salute degli studenti e degli operatori della scuola – è stata costituita una task force presso il ministero dell’Istruzione proprio al fine di progettare, per tempo, le modalità della ripartenza a settembre. 

Un possibile suggerimento per recuperare la perdita di apprendimento può venire da un nostro paper di alcuni anni fa. Quel paper utilizzavano i dati Invalsi relativi all’universo delle scuole nell’anno scolastico 2009-10 per confrontare l’efficacia di alcune prassi di insegnamento utilizzate dai docenti di italiano e matematica nella I media inferiore. La ricchezza dei dati a disposizione ha consentito infatti di identificare una serie di prassi, una delle quali potrebbe essere adottata con maggiore frequenza proprio all’inizio del prossimo anno scolastico. Si tratta della pratica didattica che consiste nell’impiegare del tempo a riprendere e rafforzare la comprensione di argomenti trattati l’anno precedente.

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Con l’aiuto dei dati Invalsi

I risultati del lavoro mostrano come questa scelta si associasse a risultati positivi sull’apprendimento degli studenti. Mettendo in relazione i risultati dei test con l’intensità con la quale i docenti ripassano gli argomenti trattati l’anno precedente, dopo aver tenuto conto delle caratteristiche della classe e per la possibilità che gli insegnanti adattino in maniera endogena le loro strategie alle caratteristiche degli studenti, stimiamo un aumento statisticamente significativo della percentuale di risposte corrette. In termini quantitativi all’incremento di dieci punti percentuali nell’intensità di utilizzo di questa pratica, che corrisponde a circa 1,25 volte la deviazione standard della distribuzione della misura con la quale viene utilizzata la strategia nelle classi, si associa un aumento del 16 per cento della deviazione standard dei risultati ai test Invalsi. 

Ci sono studenti penalizzati dalla didattica online

Sebbene l’effetto medio non fosse molto grande in termini assoluti, l’indicazione più interessante la si ottiene disaggregando le stime per gli intervalli dei voti a scuola, cioè ordinando gli studenti per “livelli di abilità”. Come mostra la figura, i benefici della strategia si concentrano tra coloro che si trovano nella coda sinistra della distribuzione dell’abilità scolastica, con l’effetto stimato che risulta il doppio rispetto a quello medio (circa il 30 per cento di una deviazione standard nei punteggi Invalsi nel primo quinto della distribuzione).

Questo risultato appare molto promettente nell’ottica della riduzione dei divari di apprendimento. Spesso infatti gli studenti che vivono in una situazione di disagio abitativo, di indisponibilità di strumenti informatici o di limitazione dell’accesso a connessioni internet stabili, in sostanza quelli più penalizzati dalla didattica online, sono tra coloro che ottengono i risultati scolastici peggiori e quindi tra quelli che più di tutti beneficerebbero da questa pratica. Non va trascurato anche il fatto che la strategia non produce effetti negativi sugli studenti nella parte alta dei risultati scolastici: questo significa far avanzare gli studenti più deboli senza però “penalizzare” i più bravi. 

Se si concretizzeranno le anticipazioni del ministro Lucia Azzolina sulle modalità di riapertura delle scuole a settembre, la prassi didattica da noi suggerita andrebbe a inserirsi in un contesto più articolato e flessibile con una parte degli studenti in presenza e l’altra a seguire le lezioni da casa. Come proposto da uno di noi un’alternativa potrebbe essere prevedere più turni nell’arco della stessa giornata (o della settimana). Turni che potrebbero essere organizzati andando oltre il tradizionale gruppo classe, per esempio aggregando gli studenti sulla base dei loro bisogni formativi. In questo modo le lezioni sarebbero maggiormente focalizzate sui bisogni del gruppo, con un più intenso utilizzo della prassi didattica del ripetere i concetti studiati l’anno precedente per gli studenti più bisognosi.

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Come sempre “repetita iuvant”

Quanto è plausibile che gli insegnanti si muovano in tale direzione, accettando un’eventuale indicazione ministeriale? Non vi è il rischio che si oppongano a un tale sforzo, visto che l’età media della classe docente in Italia è tra le più elevate nel confronto con quelle dei paesi europei? I dati suggeriscono in realtà un certo ottimismo. Una quota consistente dei docenti, pari a circa i quattro quinti nel complesso degli insegnamenti di italiano e matematica, attua già questa soluzione didattica con una frequenza molto elevata. Inoltre, gli insegnanti italiani già si muovono nel senso di adoperare più frequentemente questa prassi nelle classi con una più alta quota di studenti provenienti da contesti familiari svantaggiati oppure dove è presente una più elevata eterogeneità nelle abilità scolastiche degli studenti. 

Tante altre cose saranno presumibilmente necessarie per una buona ripartenza della scuola, come già detto prima immaginare moduli lavorativi più flessibili al fine di ridurre la contemporanea presenza di troppi alunni in spazi fisici sacrificati, ma una cosa ci sembra si possa dire sin da ora: non dimenticare che repetita iuvant. 

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono degli autori e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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  1. Emiliano

    C’è da capire perché non si è potuto allungare l’anno scolastico fino a fine luglio ripartendo magari da giugno recuperando 2 mesi. Non mi sembrava complicato anche facendo metà tempo cosi da distribuire i bambini nelle stesse aule senza affollarle. Forse a Luglio bisogna pagare dei precari e i soldi non ci sono?

  2. Lorenzo

    In tutta l’Europa stanno riaprendo o hanno programmato di riaprire le scuole prima dell’estate. Credo che solo l’Italia (e forse la Spagna) abbia deliberatamente rinviato (il periodo migliore è proprio l’estate che permette lezioni all’aperto, possibilità di distanziamento etc.) per testare una possibile riapertura a settembre. Mal ce ne incoglierà.

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