Dal Rapporto sull’efficienza e qualità della giustizia in Europa emergono miglioramenti accanto ad alcune croniche debolezze. Per il nostro paese, oltre alla lentezza dei processi, preoccupano i dati sulla fiducia nell’indipendenza della magistratura.
Il Rapporto del Consiglio d’Europa
Nelle settimane in cui la Convenzione europea dei diritti dell’uomo festeggia i primi settanta anni di vita, Róbert Ragnar Spanó, presidente della Corte europea dei diritti umani, ha lanciato un accorato appello per spronare gli stati membri del Consiglio d’Europa a migliorare la qualità e l’efficienza dei propri sistemi giudiziari e accrescere in tal modo la fiducia dei cittadini nei meccanismi della giustizia. Solo assicurando tribunali nazionali forti, indipendenti e imparziali saremo in grado, infatti, di affrontare le sfide che ultimamente, soprattutto in questo periodo di pandemia, arrivano a minacciare lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani. Si pensi, a titolo di esempio, alle tensioni crescenti tra bene comune e dimensione soggettiva, diritto alla salute e limitazioni delle libertà individuali, nonché alla necessità di gestire le devastanti conseguenze economiche e sociali della crisi in corso. Senza dimenticare gli attacchi ai diritti umani che si stanno moltiplicando negli ultimi mesi in Turchia e Ungheria.
In questa prospettiva, il Consiglio d’Europa ha pubblicato il 22 ottobre 2020 l’ottavo Rapporto sull’«Efficienza e qualità della giustizia in Europa»: sotto la lente della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) sono i dati forniti dai sistemi giudiziari di 45 paesi europei relativi al 2018. Dalle 138 pagine del Rapporto emergono, accanto ad alcuni dati che ci fanno ben sperare, anche le conferme di croniche debolezze.
Le buone notizie
È lievemente aumentata la fetta di bilancio che gli stati dedicano alla giustizia, circostanza auspicata da molti studiosi: se nel 2010 la spesa era di 64 euro per abitante all’anno, nel 2018 è stata in media di 72 euro. In Italia è stata di 83,2 euro, con un incremento del 14 per cento, il che tenuto conto del tasso di litigiosità del nostro paese è cosa buona, fermo restando che poi bisognerebbe analizzare quanto ciò determini in termini di maggiore efficienza, ma non vogliamo essere pessimisti. Il rapporto rileva anche come i paesi meno abbienti spendano in proporzione di più per le loro autorità giudiziarie, mentre quelli più ricchi investano di più nell’assistenza legale. Se il numero di donne giudici e pubblici ministeri continua ad aumentare, resta, tuttavia, «saldamente in vigore il tetto di vetro per le posizioni dirigenziali»; confidiamo, se non altro, nel tempo per vedere le prime crepe.
Le conferme
Le conferme riguardano le preoccupanti condizioni in cui versa il nostro sistema giudiziario nazionale. La giustizia italiana si rivela ancora una volta tra le più inefficienti in Europa a causa soprattutto della sua endemica lentezza. Per il settore penale, nel 2018 il tempo medio per pronunciare una sentenza di primo grado è stato di 361 giorni, record negativo tra tutti i paesi membri del Consiglio d’Europa, in cui la durata media è stata di 144 giorni. I dati trovano triste riscontro anche nei successivi gradi di giudizio: in 4 processi penali d’appello su 10 il tempo medio per arrivare a giudizio è stato superiore a 730 giorni.
Ancora più grave il settore civile e commerciale, dove per una sentenza in primo grado si devono attendere 527 giorni contro una media degli altri Stati di 233 giorni, e il settore amministrativo, con 889 giorni rispetto ai 323. Addirittura, in Italia si impiegano in media più di 1.200 giorni per una sentenza definitiva in terzo grado.
Figura 1 – Tempo stimato necessario per definire i contenziosi civili e commerciali (*) in tutti gli ordini tribunali nel 2018 (primo, secondo e terzo grado/in giorni).
Fonte: studio Cepej.
Figura 2 – Tempo stimato necessario per definire le cause amministrative (*) in tutti gli ordini di tribunali nel 2018 (primo e, se applicabile, secondo e terzo grado/in giorni).
Fonte: studio Cepej.
Come evidenziato dal Rapporto, «la quantità di arretrato accumulato gioca un ruolo importante» e il nostro sistema giudiziario «non è stabile e […] non può mantenere un carico di lavoro che supera una certa soglia». Il rischio concreto è che nel sistema italiano il numero di procedimenti che giungono a definizione sia inferiore al numero di nuovi procedimenti che ogni anno arrivano nei tribunali. È evidente l’effetto domino che ne consegue e che rischia di rendere il sistema giudiziario sempre meno in grado di far fronte al carico di lavoro, divenuto sovraccarico.
Figura 3 – Tasso di esecuzione vs durata dei procedimenti penali di primo grado nel 2018.
In quest’ottica, i dati più aggiornati sono forniti dal ministero della Giustizia e riguardano la variazione del numero di procedimenti penali pendenti tra il 2018 e il primo semestre del 2020. Mostrano un preoccupante incremento, presumibilmente dovuto alla crisi sanitaria in corso, i cui effetti dovranno essere attentamente monitorati e valutati nei prossimi mesi.
La fiducia nella magistratura
L’inadeguatezza del sistema giudiziario italiano emerge anche dai dati sulla percezione che i cittadini e le imprese hanno del grado d’indipendenza della magistratura: nel 2020 più del 50 per cento dei cittadini e circa il 45 per cento delle imprese l’ha ritenuto «piuttosto insoddisfacente» o «molto insoddisfacente». In altre parole, in Italia solo 3 cittadini su 10 (dato inferiore solo a quello della Slovacchia e a quello della Croazia) e solo 4 imprese su 10 hanno fiducia nell’indipendenza dei magistrati.
Figura 4 – Indipendenza percepita della magistratura da parte dei cittadini (*)
Fonte: Eurobarometro (colori chiari: 2016, 2018 e 2019, colori scuri: 2020).
Figura 5 – Indipendenza percepita della magistratura da parte delle imprese (*).
Fonte: Eurobarometro (colori chiari: 2017, 2018 e 2019, colori scuri: 2020).
Tra le ragioni alla base di queste valutazioni, vi è l’idea che la magistratura italiana sia soggetta a interferenze o pressioni da parte di portatori d’interessi economici (secondo il 36 per cento dei cittadini e il 41 per cento delle imprese) o da parte del potere politico (secondo il 37 per cento dei cittadini e il 41 per cento delle imprese).
Il dato, se forse non sorprende del tutto, deve comunque destare preoccupazione. Il convinto affidamento dei consociati nell’amministrazione della giustizia svolge, infatti, un’importantissima funzione di coesione sociale. Com’e stato autorevolmente ricordato da Glauco Giostra, la riconosciuta legittimazione del procedimento giurisdizionale permette di conseguire un obiettivo irrinunciabile: il disinnesco politico del dissenso delegittimante, scongiurando il ricorso alla vendetta privata e l’affermazione della legge del più forte. A rilevare non è il consenso rispetto alla singola decisione, quanto un diffuso, fiducioso affidamento della generalità dei cittadini nella giustizia amministrata in suo nome.
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Henri Schmit
Molto interessante. Una conferma di quanto sia insoddisfacente la giustizia in Italia. Quello che il lavoro fondato su statistiche e sondaggi non può esprimere è la causa profonda – se esiste – di questa situazione, elemento indispensabile di una svolta vera. Provo a congetturare una risposta: è una questione di mentalità di cui fanno parte delle definizioni sbagliate dei concetti di indipendenza (di facciata), di garanzia formale (degli imputati e degli operatori economici) che corrode le garanzie sostanziali delle vittime e dei cittadini-utenti, consumatori).
Alberto Isoardo
Purtroppo quanto si legge non fa altro che confermare lo sconforto e la sfiducia nel sistema Italia.
Purtroppo la magistratura si adegua perfettamente all’inefficienza pubblica generale ed è parte integrante della casta che forma l’oligarchia che governa l’Italia. Il fatto che poi disponga di un organo di autogoverno politicamente compromesso non contribuisce certo a migliorarne l’immagine.
Inoltre l’obbligatorietà dell’azione penale non viene mai esercitata a tutela del cittadino nei confronti dei poteri pubblici.
Vale il vecchio principio secondo cui cane non mangia cane!
Luciano Pontiroli
Io terrei distinti i dati statistici oggettivi dalle percezioni soggettive degli intervistati che, peraltro, si esprimono a proposito di un quid difficilmente misurabile. Sarebbe interessante conoscere i quesiti posti agli intervistati e, se vi sono, le motivazioni delle risposte; in ogni caso, prima di trarre valutazioni drastiche, si dovrebbe ragionare sull’incapacità del sistema politico e dell’amministrazione di individuare ed attuare riforme capaci di semplificare il processo. Ma poi c’è sempre il fattore umano, ogni giudice è diverso dagli altri, bisognerebbe chiedersi se la riduzione della collegialità abbia giovato alla celerità e alla qualità delle decisioni.
cavaliere
Sarà mai possibile avere, non solo in Italia, una giustizia basata su quanto scrisse qualche secolo fa Montesquieu: “LE LEGGI SIANO POCHE, SEMPLICI E CHIARE, IN MODO CHE NESSUNO, PER CAPIRLE, ABBIA BISOGNO DI NESSUNO”? Avete notizia che qualche “giurista” si sia cimentato nell’arduo compito? Ho l’impressione che, quando si scoperchiano gli “altarini” (caso Palamara), al posto di affrontare i problemi della e sulla GIUSTIZIA, si cerchino rimedi per coprire il caso, fino al… prossimo!