In una situazione di confusione e in assenza di un reale coordinamento tra stato e regioni, slitta nuovamente la riapertura delle scuole superiori. Ma un’analisi mostra come il vero nodo sia rappresentato dal trasporto pubblico locale.
Il governo ha deciso di rinviare la riapertura delle scuole superiori all’11 gennaio, una decisione che segue l’annuncio di Veneto e Friuli di tenere le scuole chiuse fino alla fine del mese e della Campania di procedere con aperture graduali a partire dalla scuola primaria. Ancora una volta, a dispetto degli annunci, il governo sembra rinunciare ai meccanismi di coordinamento garantiti dallo stato di emergenza nel quale il paese si trova dal 31 gennaio scorso. Anche a livello nazionale è peraltro lecito attendersi un ulteriore rinvio. Mai come in questa fase serve programmazione e adeguata comunicazione. Programmazione peraltro non facile, anche se qualche segnale nella giusta direzione c’è: perlomeno si è iniziata la discussione – non è chiaro quanto seriamente visto quanto successo – su come organizzare al meglio orari e trasporti pubblici. È infatti dell’inizio di dicembre il documento con il quale la Conferenza stato-regioni ha fissato una serie di condizioni per riorganizzare il Tpl. Dopo di allora, sono i prefetti che dovrebbero aver lavorato alla riapertura a seconda delle esigenze dei singoli territori.
La carenza di dati
Il punto di partenza per prendere una decisione dovrebbe essere, ancora una volta, un’analisi precisa dei canali che consentono la diffusione del virus e della loro importanza relativa. Analisi che ancora manca largamente, anche a causa della povertà dei dati diffusi al pubblico: per esempio, non conosciamo la distribuzione dei casi per fasce di età o i contagi di studenti e personale scolastico se non a livello nazionale. Nel caso della normale influenza stagionale, esiste consenso scientifico sul fatto che un terzo dei contagi si verifica nei contatti e nelle interazioni all’interno della comunità, un altro terzo si deve ai contagi all’interno delle famiglie, il 19 per cento avviene sul posto di lavoro e solo il 18 per cento avviene per i contatti che si verificano nelle scuole. Nel caso del Covid-19, mentre si sono fatti confronti a livello internazionale sull’efficacia di alcune politiche quali l’uso delle mascherine o la chiusura delle scuole, molto meno si è fatto in Italia per capire, sulla base dei dati accumulati, da quali fattori – più o meno controllabili – sia influenzato il famoso Rt calcolato doviziosamente dal ministero della Salute.
Da questo punto di vista, l’esplosione della seconda ondata sembrerebbe offrire una occasione unica per imparare qualcosa per arginare la possibile terza ondata. La prima ondata infatti ha avuto origine in una fase in cui non era nemmeno noto che il virus si stesse diffondendo, con la conseguenza che i dati relativi ai contagi non possono essere considerati affidabili (come segnalato da più parti, per esempio qui). Superata la prima fase con il ricorso al lockdown totale, in Italia come altrove abbiamo iniziato a conoscere meglio il virus, arrivando anche a una migliore contabilizzazione dei casi. Non solo: a differenza della prima fase, le regioni sono partite da posizioni molto più simili tra loro (con una differenza importante che riguarda il numero di persone che avevano già contratto l’infezione durante la prima ondata).
La conciliazione dell’apertura delle scuole (e delle altre attività) con le esigenze di contenimento del virus è emersa in modo drammatico proprio tra la fine di settembre e il mese di ottobre, quando in Italia l’incidenza dei contagi è cresciuta in modo molto più rapido rispetto agli altri paesi. Nella programmazione della riapertura di settembre (dopo la chiusura di marzo) gli sforzi sembrano essersi concentrati sul tema del distanziamento dentro le classi, senza occuparsi a sufficienza dell’impatto dei contatti e delle interazioni che il semplice “andare” a scuola genera (si veda per esempio la discussione qui e qui).
Un esercizio di analisi
Per cercare di capire qualcosa di più sul ruolo di questi altri fattori abbiamo analizzato la diffusione dei contagi a livello provinciale nel periodo che va dal 1° settembre al 14 ottobre attraverso un semplice esercizio di analisi di regressione multivariata. Questa metodologia ci consente di superare, almeno in parte, un limite di molte analisi sul tema, quello di non considerare adeguatamente che i fattori potenzialmente associati alla diffusione del contagio sono molteplici, sono tra loro correlati e possono interagire l’uno con l’altro. Il periodo è particolarmente interessante per diversi motivi. Innanzitutto, comprende la fase di più rapida crescita nel numero di nuovi contagi. Secondo, inizia con un primo periodo in cui, assorbito in buona parte l’effetto-vacanze, il livello di diffusione del virus era contenuto e relativamente omogeneo sul territorio nazionale. Terzo, è un periodo per il quale il monitoraggio del numero di nuovi casi può ritenersi affidabile. Infatti, il 14 ottobre è stato l’ultimo giorno in cui, a livello nazionale, il rapporto tra test positivi e numero di tamponi è risultato inferiore al 5 per cento, soglia oltre la quale l’Oms ritiene non sia possibile garantire un adeguato controllo dell’epidemia.
Per misurare la diffusione del contagio abbiamo utilizzato due variabili misurate a livello provinciale: il numero giornaliero di nuovi casi per 100 mila abitanti (in logaritmo, “log casi” nei grafici che seguono) e l’indice Rt (stimato utilizzando la stessa metodologia adottata a livello ministeriale).
I fattori associati alla diffusione del contagio considerati nell’analisi sono: (a) misure della probabilità di incontrare persone e di trasmettere il virus, quali la densità abitativa e la temperatura massima giornaliera (per cogliere la probabilità di interazione all’aperto e/o in locali aerati), ma anche la percentuale di persone in età da lavoro che usano il trasporto pubblico per ragioni di lavoro e la percentuale di persone in età scolare che lo usano per ragioni di studio, nonché una variabile che tiene conto dell’apertura delle scuole; (b) una misura della probabilità di trasmettere il virus, quale la mortalità in eccesso nei mesi di febbraio-agosto (calcolata rispetto alla media dello stesso periodo 2015-2019); (c) una misura della capacità di risposta del sistema sanitario regionale all’aumento dei contagi, quale la differenza percentuale tra i tamponi effettuati in una certa data/regione e i tamponi medi coerenti con il livello di contagio in quella data/regione. Abbiamo poi incluso effetti fissi regionali e di giorno della settimana e un trend giornaliero interagito con la variabile che tiene conto della apertura delle scuole; nel modello con il numero dei casi abbiamo anche incluso un trend giornaliero quadratico. Le variabili di controllo sono state inserite con un ritardo di sette giorni nel caso dei contagi e di due giorni nel caso dell’indice Rt per tener conto del tempo mediano di incubazione (rilevante solo per l’analisi sul numero di nuovi casi) e del ritardo nella pubblicazione dei dati (ma la scelta del numero di ritardi ha un effetto marginale sui risultati).
I risultati
I risultati delle stime relative al numero di nuovi casi e all’indice Rt danno evidenze compatibili tra loro, anche se non sempre coincidenti in termini di significatività statistica. Le Figure 1, 2 e 3 riportano il valore puntuale dei coefficienti stimati per le diverse variabili e i relativi intervalli di confidenza. Quello che appare chiaramente (Figura 1) è che il trasporto pubblico svolge un ruolo importante nella diffusione del contagio: le province dove i lavoratori usano più intensamente il trasporto pubblico hanno un maggiore livello di contagio; lo stesso vale per l’utilizzo del Tpl da parte degli studenti quando le scuole sono aperte. Per esempio, un aumento dell’1 per cento di persone in età da lavoro che utilizzano il trasporto pubblico per andare al lavoro è associato con un 2 per cento in più di casi per 100 mila abitanti (per quanto non significativo) o un aumento di 0,02 dell’Rt. A scuole aperte, un aumento dell’1 per cento di persone in età scolare che utilizzano il trasporto pubblico è associato con un aumento del 3 per cento dei casi per 100 mila abitanti (mentre l’effetto sull’Rt non appare significativo).
Figura 1 – Effetto del trasporto pubblico sulla diffusione del contagio (intervalli di confidenza del 90 per cento).
Per quanto riguarda le altre variabili (Figura 2), le stime sembrano indicare che province con maggiore densità abitativa (dove è più probabile incontrarsi) o che hanno subito meno la prima ondata (dove il numero di persone potenzialmente infettabili è maggiore) sono associate a maggiori livelli di contagio. Al contrario, una maggiore temperatura massima e sistemi sanitari regionali più abili nel processare tamponi sembrano essere associati con un minor livello di diffusione del contagio.
Figura 2 – Altre determinanti della diffusione del contagio (intervalli di confidenza del 90 per cento).
Anche la variabile “scuole aperte” non appare significativa (Figura 3), confermando i risultati relativi ad altri paesi; il risultato va però interpretato con cautela per via dei controlli sul trend dei contagi.
Figura 3 – Effetto dell’apertura delle scuole sulla diffusione del contagio (intervalli di confidenza del 90 per cento).
La pochezza dei dati disponibili (e quindi anche la numerosità del campione) rende questi risultati molto meno che perfetti, ma crediamo possano servire come spunto per una discussione basata su evidenze su quali siano i fattori che favoriscono l’accelerata del contagio. Quello che sembra essere confermato è che il trasporto pubblico locale è davvero il nodo da risolvere, come del resto si discute da molti mesi senza però particolari risultati concreti. Molte scuole sembrerebbero già in grado di garantire entrate scaglionate e di ridurre al minimo gli assembramenti (per esempio utilizzando più uscite, accorciando il tempo-scuola e integrando la didattica in presenza con quella a distanza), ma questi sforzi rischiano di essere vanificati se poi gli studenti sono costretti ad “assembrarsi” sugli autobus o sulle metropolitane; su questo, non mancano dati anche precisi (si veda per esempio il documento congiunto Inail-Iss fornito al Comitato tecnico-scientifico lo scorso dicembre) per prendere le decisioni che servono avendo a cuore l’importanza della scuola e dell’investimento in capitale umano.
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Luca Neri
1. Il tempo di incubazione della patologia è tale che per osservare un incremento significativo dei casi o dell’Rt è necessario un follow up più lungo di un mese (i.e. avete stimato l’effetto della prima e forse seconda settimana di lezione, quando presumibilmente l’attenzione per le misure di sicurezza era maggiore). 2. Il tasso di positivi/test è un proxy molto poco informativo dell’information bias diagnostico perchè il tasso di asintomatici tra i bambini e i ragazzi più giovani è certamente superiore all’80% e superiore al 60%-70% tra gli under 40, una larga quota dei genitori di questi bimbi. Ergo, senza uno screening di massa le misure di esito che avete usato non sono molto informative. 3. Una OLS non sembra la tecnica più appropriata per questo tipo di analisi. Quale quota di varianza è spiegata dal modello nel suo complesso?
bob
aldilà dei vostri numeri e dei vostri compiti rispettabili ma sempre numeri e compiti, credo che ci sia un problema a monte molto più serio: come si può minimamente pensare di far funzionare un Paese grande come un soldo di cacio impostando le programmazioni su lo strumento folle della Conferenza Stato- regioni? Come è possibile che possa essere funzionale una programmazione dove un sistema Paese devo confrontarsi ogni volta con 20 Pro -Loco? Perché questo sono le Regioni. Per il bene di tutti mi auguro che un movimento trasversale, privo non solo di inutili ideologie ma anche di beceri localismi ritrovi un pizzico di “onestà intellettuale” di buon senso. Non solo nel rispetto dell’intelligenza dei singoli, ma anche nel rispetto dei nostri figli e della generazione futura, che pagherà questo scempio culturale in maniera drammatica.
Puccio D'Aniello
Primo: siamo in stato di emergenza, quindi la Conferenza non c’entra, il pallino ce l’hanno in mano la Protezione Civile e la Presidenza del Consiglio: “al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, è affidato il coordinamento degli interventi necessari a fronteggiare l’emergenza sul territorio nazionale” (sito Protezione Civile). Sarebbe ora di finirla col giochino di Conte di procrastinare fino a che i governatori non prendono decisioni per poi dire che abbiamo un problema di coordinamento. Secondo: 20 pro-loco? Un conto è il Molise, un conto la Lombardia che ha tanti abitanti quanti la Svezia o il Portogallo. Un conto è il Lazio o la Campania, che hanno più abitanti dell’Irlanda.
bob
riscontra in nessuna parte del mondo la confusione esistente in questo Paese? Per rimanere nella sua sterile critica La Lombardia può avere gli stessi abitanti della Svezia in un territorio di 25 mila km2 La Svezia ha 450 mila km2. Come è possibile fare programmazione se per fare una pista ciclabile dalla Puglia al Veneto ci sono almeno 100 enti da interpellare? Cosa c’entra “i giochini di Conte”? Conte rappresenta questo misero sistema
Orso B
La Groenlandia, per dire, ha più di 2 milioni di km2 e 56 mila abitanti; è autonoma rispetto alla Danimarca.
Marcello
Vorrei sapere se le scuole vanno tenute aperte per la didattica o per le esigenze dei genitori. I due problemi non coincidono. I dati, nonstante quanto affernato nell’articolo, dicono che la diffusione del virus nelle coorti di età fino ai 19 anni è superioore al peso di queste nella distribuzione della popolazione. I ragazzi sono quasi sempre asintomatici e le segnalazioni sono conseguenti al contagio dei famigliari, chiunque abbia dei figli in età scolare ha verificato questo fatto. Quindi la contabilità dei contagi nelle scuole è per difetto, grande difetto. Sui trasporti c’è poco da aggiungere, ma sulle scuole si. La scienza (lancet giugno 2020) dice che se si porta la distanza a 2 mt e si indossano le FFP2 il rischio di contagiarsi diventa molto basso. Si potrebbero istituire i doppi turni e sospendere il pranzo a scuola e il problema sarebbe ridotto a numeri gestibili. Credo che in questo modo anche i liceali potrebbero fare lezione in presenza. Infine vorrei ricordare che negli anni 70 i doppi turni ale superiori erano la norma.
gabriel04
A me la questione dei doppi turni mi fa ammattire, non capisco perché venga vista come un’ipotesi così assurda: come dice Marcello, io ho fatto la scuola media facendo doppi turni, andavo a scuola alle 14 e uscivo alle 18, e non mi sembrava di fare niente di speciale, ne’ sentivo alcun disagio. L’obiezione che si sente sempre “ma i ragazzi che tornano a casa alle 19 quando fanno i compiti” mi sembra delirante: le ore di scuola, mattina o pomeriggio , quelle sono, faranno come facevamo noi, i compiti la mattina e la scuola il pomeriggio. Boh? Il mio sospetto, da quello che sento intorno, è che nessuno vuole cambiare le proprie abitudini di un centimetro, nemmeno spostare l’ora di pranzo di un’ora. E non parlo dei ragazzi, che secondo me poter dormire un’ora di più la mattina non lo disdegnano..
Paolo Bignami
Buongiorno,ma un serio piano di promozione ed organizzazione per la mobilità ciclopedonale che i ragazzi dai 15 ai 19 anni dovrebbero utilizzare come prima scelta (a meno di non trovarsi a distanze superiori ai 10-15 km dalla scuola) lo possiamo pensare o proprio non ce la facciamo ?
Mens sana in corpore sano.