In anticipo sulle previsioni, la Banca centrale europea ha rivisto il proprio target di stabilità dei prezzi, fissando un obiettivo di inflazione simmetrico del 2%. Le conseguenze della scelta e le differenze con la strategia messa in atto dalla Fed.
L’obiettivo simmetrico
Con un certo anticipo rispetto al previsto la Banca centrale europea ha rivelato i dettagli della sua nuova strategia di politica monetaria. Il nuovo regime riconosce un approccio implicitamente già perseguito nell’era Draghi: la Bce definisce l’obiettivo di stabilità dei prezzi come un tasso di inflazione del 2 per cento, specificando formalmente che deviazioni da questo target, sia al di sopra che al di sotto, vengono considerate ugualmente non desiderabili.
Un esplicito obiettivo numerico per il tasso di inflazione, per qualsiasi banca centrale, non richiede che il tasso di inflazione effettivo sia esattamente in linea col target in ogni istante di tempo. Ciò che conta, per una gestione efficace delle aspettative, è che l’inflazione sia al 2 per cento in media. Vale a dire, indipendentemente dal fatto che il tasso di inflazione ecceda il 2 per cento di mezzo punto percentuale (inflazione corrente al 2,5 per cento) o lo manchi della stessa misura (inflazione che scende al 1,5 per cento), imprese e famiglie devono aspettarsi che la banca centrale agisca con uguale decisione per riportare, entro un orizzonte temporale ragionevole, il tasso di inflazione effettivo di nuovo in linea con l’obiettivo. Quindi l’ipotetico target del 2 per cento può, nel tempo, essere avvicinato sia “dal di sopra” che “dal di sotto”, a seconda dello stato corrente (e/o previsto) dell’economia.
Il target di inflazione della Bce era invece (fino ad oggi) asimmetrico intorno al 2 per cento. “Vicino ma al di sotto del 2 per cento” indicava che l’obiettivo stesso potesse, in linea di principio, essere raggiunto solo dal basso. Aspetto ancora più importante, ciò implicitamente suggeriva che convergere al 2 per cento “dal di sopra” non fosse considerato desiderabile. Con la nuova strategia, la Bce formalizza la propria completa neutralità rispetto a deviazioni dal target. Il 2 per cento cessa di essere un limite superiore, e diventa il target intermedio di una banda.
I perché della decisione
Rendere simmetrico il target di inflazione della Bce è giustificato da almeno tre motivi. Primo, un target simmetrico aiuta a ridurre la probabilità di insorgenza del limite zero sui tassi di interesse. È quello che la Bce definisce “inflation buffer”. Con un obiettivo simmetrico la Bce avrà più spazio per tollerare tassi di inflazione al di sopra del target, allontanandosi più frequentemente dalla zona di pericolo di deflazione.
In secondo luogo, con inflazione bassa e persistente (come negli ultimi anni), ed aspettative di inflazione che tendono al ribasso, un impegno esplicito a un obiettivo di inflazione simmetrico aiuta a rialzare le aspettative di inflazione, perché dà il segnale che la Bce è disposta a tollerare tassi di inflazione superiori al 2 per cento nel futuro, pur in coerenza con una traiettoria dell’inflazione che converga al 2 per cento “dal di sopra”.
In terzo luogo, un obiettivo di inflazione simmetrico rafforza la credibilità della strategia di forward guidance della Bce. In un certo modo, il regime Bce 1.0 (con obiettivo di inflazione asimmetrico) era logicamente in contrasto con una strategia di forward guidance, poiché segnalava implicitamente che future deviazioni (in eccesso) dell’inflazione dal target, anche se temporanee, non sarebbero state tollerate. Ma fare forward guidance significa proprio promettere oggi di accettare relativamente più inflazione in futuro (per alzare, oggi, le aspettative di inflazione, ridurre quindi i tassi di interesse reali e, si spera, stimolare l’attività economica). Con un target asimmetrico, questa promessa risultava poco credibile.
E la Fed?
Che cosa differenzia il regime 2.0 della Bce dal nuovo regime della Fed, cosiddetto di “average inflation targeting”? Un elemento sostanziale: quello della credibilità e del cosiddetto commitment.
Nel caso della Fed, quando l’inflazione scende (ad esempio) all’1 per cento la Fed stessa si impegna non solo a riportare l’inflazione al 2 per cento, ma formalmente a tollerare che l’inflazione superi il 2 per cento per un certo periodo di tempo (overshooting), in modo da compensare i precedenti periodi di inflazione “troppo bassa”. Questa strategia di compensazione è un impegno formale a cui la Fed si lega le mani. Quanto più questo impegno è ritenuto credibile oggi, tanto più è in grado di stimolare già nel presente le aspettative di inflazione, e contribuire ad abbassare i tassi di interesse reali, stimolando l’economia. La Fed desidera quindi che le aspettative di compensazione futura siano incorporate automaticamente da parte degli agenti economici.
Nel caso della Bce non c’è alcun impegno formale a compensare periodi di bassa inflazione (sotto il target del 2 per cento) con periodi futuri di alta inflazione (sopra il target). Il vantaggio è che la Bce si tiene le mani libere, ma al costo di gestire la leva delle aspettative in modo più blando. È il risultato di un compromesso con la posizione tedesca, che ha sempre dichiarato contrarietà alla strategia della Fed. Il timore tedesco è che replicare la strategia della Fed renda la politica della Bce troppo accomodante rispetto al rischio di crescita dell’indebitamento pubblico in molti paesi dell’eurozona.
L’inflazione è in rialzo in Europa ma molto di più negli Usa. Uno dei motori della fiammata inflazionistica è la domanda di beni inespressa durante la pandemia che si sta concentrando in un periodo di tempo limitato, con le catene di produzione internazionali che faticano a bilanciare domanda e offerta. Molti beni sono difficili da trovare. Questo effetto è però comune sia a Europa che Usa, entrambe molto inserite nelle catene internazionali del valore; difficile possa spiegare la divergenza dell’inflazione tra i due paesi. È probabile che la diversa dinamica dell’inflazione tra le due economie sia dovuta proprio ai diversi regimi di politica monetaria. La Fed sembra aver avuto successo nel guidare rapidamente le aspettative di inflazione al rialzo, perché gli operatori hanno veramente percepito un cambiamento strutturale nella condotta della politica monetaria.
Ci sono però due elementi inattesi nel regime 2.0 della Bce che vale la pena sottolineare. Innanzitutto la Bce si avvicina alla Fed più di quanto appaia. Seppur non adottando formalmente un regime di average inflation targeting, la Bce suggerisce che in risposta a periodi di deflazione e di limite zero sui tassi di interesse (la trappola della liquidità degli ultimi 12 anni) sia possibile lasciare deliberatamente che l’inflazione superi il target per un certo periodo di tempo. In sostanza: la Fed si prende un impegno formale a farlo, la Bce suggerisce di poterlo fare in modo discrezionale.
In secondo luogo la Bce riconosce in modo esplicito la necessità di distinguere una misura dell’inflazione che rifletta l’andamento dei prezzi dei beni al consumo da una misura che includa la dinamica dei prezzi immobiliari come componenti dell’inflazione. La teoria monetaria studia da tempo l’opportunità per le banche centrali di rispondere in modo esplicito all’andamento dei prezzi immobiliari. La questione di fondo è se la banca centrale debba rispondere sistematicamente alle fasi di boom del credito che tipicamente alimentano la crescita del mercato immobiliare. Gestire in modo efficace le fasi di boom del credito è una delle sfide cruciali per le banche centrali di nuova generazione. In gioco c’è il grande quesito del ruolo della stabilità finanziaria nella condotta della politica monetaria. La Bce 2.0 mostra grande sensibilità su questo tema, in un certo modo superando per la prima volta la Fed in capacità innovativa.
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