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La sfida all’inflazione sulle due sponde dell’Atlantico

A giugno Fed e Bce hanno preso decisioni diverse sui tassi. Se l’azione della prima lascia qualche dubbio, la seconda paga i ritardi nell’avvio della fase restrittiva e si trova a gestire una situazione complessa con alta inflazione ed economia debole.

Cosa succede negli Stati Uniti

Dopo una sequenza di dieci rialzi consecutivi, nel suo ultimo meeting di giugno 2023 la Federal Reserve ha deciso di mantenere i tassi di interesse invariati. La decisione sembra aver lasciato più dubbi che risposte. Perché fermarsi quando è stata segnalata chiaramente l’intenzione di continuare con rialzi futuri dei tassi, a cominciare dalla riunione del prossimo luglio?

L’inflazione core è al di sopra del 5 per cento e portarla dal 5 al target del 2 per cento sarà molto più difficile rispetto a quanto sia stato portarla dal 10 al 5 per cento. La disoccupazione è ancora molto bassa e in generale l’economia americana ha mostrato una tenuta che ha sorpreso molti osservatori.

I tassi di interesse reali, cioè depurati per l’inflazione, sono tuttora bassi; ma sono questi ultimi quelli rilevanti per le decisioni di spesa e investimento e per giudicare se la politica monetaria sia in modalità espansiva o restrittiva. Oggi, quindi, nonostante tassi nominali oltre il 5 per cento, la politica della Fed è solo moderatamente restrittiva.

In questo contesto di inflazione “core” molto resistente e di bassa disoccupazione, la pausa della banca centrale americana nel rialzo dei tassi appare poco comprensibile. Soprattutto perché un rialzo futuro (a luglio) è già praticamente annunciato. Che significato ha la battuta d’arresto? Una possibile interpretazione è che la Fed voglia aspettare per raccogliere più evidenza sull’andamento dei prezzi e sull’effetto che il ciclo restrittivo ha avuto finora sull’economia. Ma anche se così fosse, è difficile immaginare che il quadro possa essere molto più chiaro fra un mese. La confusione è giustificata: quali dati che non sono disponibili oggi permettono alla Fed di mettere in programma un rialzo a luglio? Sicuramente per i mercati sarebbe stato più comprensibile un rialzo oggi accompagnato dall’annuncio di una pausa nel meeting di luglio.

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E cosa succede in Europa

La Banca centrale europea ha invece deciso di continuare con il proprio sentiero rialzista. Il quadro in Europa sembra però deteriorarsi con maggiore velocità. Nel primo trimestre del 2023 l’attività economica europea ha segnato una flessione, seppur leggera, ma indice di un rallentamento evidente dell’economia. L’inflazione rimane oltre il 6 per cento ed è attualmente più alta che negli Stati Uniti, sia nell’indice di inflazione headline (più generale) che nel più ristretto indice core. È chiaro che con tassi di interesse nominali di poco sopra il 3 per cento la politica della Bce rimane solo moderatamente restrittiva. Ciononostante, lo spazio per un aumento dei tassi, per quanto necessario, si fa sempre più stretto e costoso. Da tutti i dati, infatti, l’economia europea appare più fragile di quella americana e molto più vicina a scivolare in una recessione. In altri termini, i prossimi mesi saranno di difficile gestione per la Bce, alle prese con un’inflazione che rimane “troppo alta e troppo a lungo” (parole della presidente Christine Lagarde) in un quadro economico che va deteriorandosi rapidamente.

Per la Bce stanno venendo al pettine i nodi di una strategia restrittiva che si è attivata con molto ritardo. Il rialzo dei prezzi in Europa è iniziato con lo shock energetico e con la spinta derivante dall’eccesso di domanda post-Covid. Ma è oramai chiaro che il processo si è consolidato attraverso il meccanismo delle aspettative. Quando ciò accade l’inflazione tende ad auto-alimentarsi: è sufficiente che gli operatori economici si aspettino più alta inflazione in futuro per spingerla al rialzo già nel presente.

I motivi sono principalmente due. Innanzitutto, lavoratori e sindacati, aspettandosi più alta inflazione in futuro e quindi nel periodo del contratto di lavoro sottoscritto oggi, attuano rivendicazioni tese a proteggere il potere d’acquisto dei salari lungo la durata del contratto stesso. Salari più alti oggi spingono in alto il costo del lavoro per le imprese, e quindi i prezzi.

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Inoltre, le imprese vogliono proteggere il prezzo dei loro beni relativamente ai concorrenti: aspettandosi prezzi generalmente più alti domani, li aumenteranno già da oggi. In altri termini, se una singola impresa si aspetta che tutte le altre imprese aumenteranno i prezzi, riterrà conveniente aumentarli a sua volta, perché in tal modo potrà incrementare i ricavi senza indurre una diminuzione della domanda (i consumatori non si muoveranno da un’impresa all’altra visto che tutte stanno rialzando i prezzi).

In Europa è molto chiaro che il meccanismo si è messo in atto dopo la spinta iniziale sui prezzi derivante dal costo dell’energia, e che la Bce è intervenuta con ritardo per arrestarlo. Ciò rende l’inflazione oggi molto più persistente rispetto alla dinamica dei prezzi dell’energia, che dopo la salita iniziale nel 2021-2022 sono ritornati ai valori antecedenti la guerra in Ucraina.

La sfida per la Bce è quindi solo agli inizi. Si tratterà di aggredire la componente sottostante e persistente dell’inflazione che si alimenta con i rinnovi salariali e attraverso le aspettative delle imprese. Ma il sentiero è sempre più stretto: la fragile tenuta dell’economia renderà le scelte di Francoforte politicamente sempre più difficili.

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Il Punto

  1. Savino

    Non sembra una preoccupazione dei Governi combattere l’inflazione, soprattutto in Europa, qualcosa in più dovrebbe aver fatto l’Amministrazione USA. Non vengono controllati i prezzi, non si tengono basse le tariffe di pubblico dominio, non ci sono meccanismi automatici di recupero del potere d’acquisto e la concorrenza è surlcassata dai monopoli. Il rialzo dei tassi serve a scoraggiare investimenti nel superfluo. Non è tempo di comprare la casa al mare e la BCE lo ricorda a qualcuno con la testa sulla Luna.

  2. Jacopo Tramontano

    E che dire dell’inflazione da profitti? Ci sono ormai vari studi a riguardo, e non si può dire che è solo un tema di aspettative se non facendo una forzatura. Quale politica industriale e di concorrenza va messa in atto?

  3. Roberto Convenevole

    L’intervento del prof. Monacelli è molto bello. Direi che è esemplare per chiarezza. Sul Sole 24 Ore Donato Masciandaro tiene una rubrico intitolata “Falchi e colombe”. In solo 20 minuti, il tempo di digitare ogni articolo, Masciandaro scrive una nuova puntata sempre astenendosi dal tirare qualche conclusione! Monacelli è più esplicito e potrebbe fregiarsi del titolo di “Super Falco”. Infatti, si capisce molto bene che per lui oggi la disoccupazione è troppo bassa e non c’è alternativa ad accrescerla ulteriormente! Peccato che domenica scorsa sia apparso sul quotidiano della Confindustria un articolo molto preciso e puntuale che mostra come nel frattempo, con la crescita dei tassi di interesse i Profitti delle Banche italiane siano cresciuti in modo geometrico rispetto all’inflazione! Monacelli obietterebbe che questa evidenza empirica dimostra a fortiori la necessità di stroncare l’inflazione. Ma il fatto che la storia si ripeta, giacché anche negli anni Settanta del secolo scorso le Banche fecero extra-profitti giganteschi portando al collasso un pezzo rilevante dell’industria italiana dovrebbe far riflettere Monacelli sul fatto che la Medicina non può mai essere peggiore del male perché può portare alla morte del paziente. La regressione culturale in atto dagli anni Ottanta, che ha portato a ritenere Keynes un incidente della Storia, non consente di capire che il principale conflitto distributivo nel sistema capitalistico non è quello tra capitale e lavoro, come si riteneva nell’Ottocento, bensì quello tra capitale finanziario e capitale industriale.
    L’intervento di Monacelli è un piccolo trattato di filosofia monetaria slegata dall’economia reale fatta di imprese e lavoratori. Per Monacelli sono rilevanti solo le speculazioni dei Mercati. Ma nella rincorsa tra FED e BCE chi alla fine godrà sarà la Cina che non adotta una politica che porta alla distruzione del sistema industriale come invece fanno le due grandi Banche Centrali occidentali.

  4. Angelo

    Da più parti ho letto che il grosso della spinta inflattiva arriva dal secondo motivo descritto anche dall’autore di questo articolo. Per quanto riguarda il primo non riesco a capirlo bene. Quali sono i contratti collettivi di lavoro che si stanno negoziando e le cui richieste sono aumentate negli ultimi mesi a causa dell’inflazione? Quali sono quelli chiusi con aumenti maggiori ottenuti a causa dell’inflazione? Mi sembra che spesso i contratti di lavoro vengono rinegoziati anche con anni di ritardo rispetto alla loro scadenza naturale e spesso con indennizzi di “vacanza contrattuale” irrisori. L’ultimo contratto del settore commercio è stato firmato nel 2015 e lo scorso anno non si è riusciti a firmare altro se non un “accordo ponte” in attesa di una rinegoziazione definitiva. Siamo sicuri che anche l’aumento dell’inflazione sia colpa dei sindacati e dei lavoratori? Non metto in dubbio le innumerevoli colpe dei sindacati, ma dare a loro la colpa anche di questo aumento dell’ inflazione mi sembra improprio.

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