L’Opec allargata ha mantenuto stabili le quotazioni del petrolio durante la pandemia. All’ultima riunione l’incantesimo si è rotto, ma un accordo si troverà. Perché le incognite sono tante e il mercato chiede un’organizzazione solida tra paesi produttori.
La necessità fa l’accordo
Quando, alla fine del 2016, la Russia e un gruppo di piccoli paesi produttori di petrolio iniziarono a collaborare con l’Opec per contrastare l’ascesa dello shale oil statunitense, nessuno vi fece molto caso. Erano i tempi in cui pareva incerto lo stesso avvenire dell’Opec, che l’anno scorso ha festeggiato i 60 anni dalla sua fondazione a Baghdad. Come credere che ci fosse un futuro per un’organizzazione di paesi produttori di petrolio, quando tutto il mondo faceva – e pare fare ancor di più – a gara per rinnegare l’oro nero in favore di fonti di energia più pulite?
Eppure, contrariamente alle aspettative, la pandemia ha riacceso i fari sull’Opec e sui paesi alleati. Perché se di fronte agli sconvolgimenti causati dal dilagare del Covid-19 le quotazioni del petrolio hanno mantenuto una certa stabilità (fatta eccezione per quel terribile 20 aprile 2020, quando il Wti scese sotto zero) è senz’altro merito del lavoro fatto in questi difficili mesi dai paesi produttori, raggruppati in quell’entità internazionale chiamata in gergo OpecPlus, oppure Opec allargata, ma che vorrebbe chiamarsi Onomm (Opec and Non-Opec Ministerial Meeting). Alle cui fondamenta c’è un patto d’acciaio tra Russia e Arabia Saudita, assieme agli altri paesi firmatari della Dichiarazione di cooperazione nel 2017 (Algeria, Angola, Congo, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Guinea Ecuadoriale, Iraq, Kuwait, Nigeria, Azerbaijan, Bahrain, Brunei, Guinea Equatoriale, Kazakhstan, Malesia, Messico, Oman, Sudan e Sud Sudan; Iran, Libia e Venezuela sono esentati dalle quote pur facendo parte dell’Opec, per ragioni di instabilità politica). Con una disciplina ferrea, l’OpecPlus ha contenuto l’offerta petrolifera, consentendo alle scorte petrolifere di tornare alla normalità e alla logistica di respirare.
Il 12 aprile 2020, dopo una lunga serie di negoziati, appoggiati anche dal G20 energia e da Donald Trump, l’OpecPlus decise di ritirare dal mercato ben 9,7 milioni di barili al giorno a partire dal 1° maggio, per un periodo iniziale di due mesi (poi prolungato), prima di tornare ad aumentare progressivamente l’offerta così da stabilizzare il mercato (figura 1), nell’ambito di un accordo valido fino ad aprile 2022, che prevede riunioni ministeriali mensili con puntuali monitoraggi.
I problemi di oggi
Proprio durante l’ultimo di monitoraggio è successo qualcosa che ha rotto l’incantesimo. Iniziato giovedì 1° luglio 2021, dopo quattro giorni di infruttuosi colloqui, il diciottesimo vertice Onomm è stato rinviato a data da destinarsi perché non si è riusciti a trovare un accordo. Ufficialmente non è stata fornita nessuna indicazione sul motivo della rottura. Pare che siano stati gli Emirati Arabi Uniti, da sempre alfieri dell’Arabia Saudita, a rovesciare il tavolo. E che al centro della disputa tra produttori di petrolio non ci fossero le quote da assegnare a ciascun paese (quelle precedentemente accordate dovrebbero scadere a fine luglio), quanto la decisione di prolungare l’accordo a tutto il 2022, con un meccanismo di calcolo delle quote che gli Emirati troverebbero “ingiusto”.
Aldilà di quale sia il vero motivo di rottura, di questioni sul tappeto per l’OpecPlus ce ne sono molte, perché il periodo continua a non essere semplice, nonostante i segnali positivi di ripresa. Il prezzo del petrolio è aumentato, così come è aumentata la domanda di greggio e le sue proiezioni: se solo ad aprile scorso l’Aie (Agenzia internazionale dell’energia) non credeva nel ritorno della domanda a livelli pre-Covid prima del 2023, ora sembra chiaro che quota 100 milioni di barili al giorno si raggiungerà addirittura prima della fine dell’anno prossimo.
Eppure, mentre le quotazioni di Brent e Wti viaggiano spedite verso gli 80 dollari al barile, e c’è chi è pronto a scommettere che potrebbero arrivare ben più in alto, lo spettro dell’inflazione, alimentato dai piani di stimolo delle economie occidentali, torna a fare paura. Così come fanno paura le varianti del Covid-19, che potrebbero portare ad altrilockdown nel prossimo inverno facendo saltare le rosee previsioni sulla domanda.
Verso una nuova organizzazione strutturata
Di fronte alle incognite, elencate con maestria dal presidente di turno dell’Opec, il ministro angolano Diamantino Pedro Azavedo, nel discorso di apertura del 18esimo vertice, è difficile capire quanto grave sia la frattura in seno ai paesi produttori e su cosa le trattative si siano effettivamente arenate. Sembra chiaro, invece, che all’OpecPlus oramai il mercato chiede un cambio di passo se vuole continuare a essere l’ago della bilancia. Che individui un nome, uno statuto e una sede, smettendo di essere l’Opec “allargata”, ma consacrandosi per quello che di fatto è già da cinque anni: una nuova organizzazione internazionale tra paesi produttori. Anche perché è difficile immaginare che si possa tornare indietro, che Russia e Arabia Saudita possano voltarsi le spalle e riprendere a produrre ed esportare senza consultarsi, mentre i governi delle democrazie occidentali fanno al contempo di tutto per emanciparsi dalla dipendenza nei confronti degli idrocarburi. Emancipazione necessaria per raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero al 2050.
È quindi molto probabile che, dopo aver preso più tempo per valutare la difficile situazione macroeconomica e aver soppesato a fondo i complessi equilibri geopolitici, l’OpecPlus riparta con più ancor più vigore con i tagli coordinati (e dunque torni a dettar legge su quando e come riaprire i rubinetti). E che l’estensione del patto tra paesi produttori a fine 2022 non sia più un argomento su cui dibattere o fare prove di forza, perché il monitoraggio congiunto del mercato produttori diventerà la regola, in quella che ha tutte le carte per diventare una sede di discussione permanente.
Come atteso infatti nel pomeriggio di domenica 18 luglio, l’OpecPlus ha trovato finalmente l’accordo sull’aumento progressivo dell’offerta. La produzione crescerà cumulativamente ogni mese di 400 mila barili al giorno, da agosto fino a fine dicembre, con incontri di monitoraggio mensili. A fine anno i tetti assegnati a ciascun paese saranno ulteriormente rivisti. Questa volta infatti non sono state assegnate singole quote come negli ultimi tre mesi, quindi sarà più facile “sforare”. In compenso sono stati calcolati nuovi parametri di riferimento per i tagli, che entreranno in vigore da maggio prossimo. I paesi che beneficeranno di queste baseline più generose sono: Arabia Saudita, Russia, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Iraq. Algeria e Nigeria si sono già messe in fila per ottenere lo stesso trattamento. Emblematica la frase del principe saudita Abdulaziz al termine della riunione: “l’OpecPlus è qui per restare”.
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