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Una riforma su misura per gli anziani non autosufficienti

Le misure oggi previste per l’assistenza degli anziani non autosufficienti sono da ripensare. C’è un largo consenso su come e dove intervenire. Il disegno di legge delega per la riforma del settore dovrà mettere in pratica i cambiamenti necessari.

Dalla governance agli interventi

Prima dell’estate, il governo presenterà il disegno di legge delega per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza ha formulato le proprie proposte per l’introduzione del Sistema nazionale assistenza anziani (Sna). Un precedente contributo su lavoce.info ne ha discusso la governance: ora, invece, si prendono in considerazione gli interventi da offrire.

I criteri guida

Le proposte del Sistema nazionale assistenza anziani comprendono l’insieme dei diversi interventi previsti nei vari ambienti di cura (domiciliare, semi-residenziale, residenziale). Tutte poggiano su tre criteri.

Primo, la tutela della non autosufficienza va riconosciuta quale responsabilità pubblica. Di conseguenza, lo Sna si fonda su un finanziamento pubblico atto a garantire il diritto all’assistenza, attraverso adeguati livelli essenziali sanitari (Lea) e sociali (Leps) per la non autosufficienza. A tal fine è necessario incrementare le risorse dedicate, in particolare per i servizi alla persona, oggi nettamente inadeguate.

Secondo, lo Sna rispetta l’autonomia degli enti locali e l’eterogeneità dei contesti territoriali. Di conseguenza, per ognuno degli interventi previsti, lo stato indica solo pochi elementi qualificanti, appunto i livelli essenziali. Infatti, non si tratta di “rifare” l’intero welfare per la non autosufficienza, bensì di rafforzarne gli elementi deboli e integrarne le diverse parti. In sintesi: lo stato stabilisce i punti chiave del sistema e ogni territorio compie i passi necessari per adeguarsi, senza chiedere inutili cambiamenti alle realtà che, in tutto o in parte, già li hanno previsti.

Terzo, lo Sna promuove l’utilizzo dell’approccio del care multidimensionale, cioè quello necessario per affrontare la non autosufficienza e condiviso dalla comunità scientifica internazionale. Prevede risposte progettate a partire da uno sguardo complessivo sulla situazione dell’anziano, sui suoi molteplici fattori di fragilità, sul suo contesto di vita e di relazioni.

Di seguito, si delineano i cambiamenti ipotizzati per gli interventi oggi prevalenti.

La nuova domiciliarità

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Quali sono oggi le principali criticità dei servizi domiciliari? Sono “spezzettati” tra comuni e Asl, offrono solo alcune tra le prestazioni necessarie e vengono forniti per periodi troppo brevi. Pertanto, si prevede di:

– assicurare risposte unitarie: si tratta cioè d’interventi erogati in modo integrato da comuni e Asl (cosa che oggi avviene solo per un utente su dieci);

– offrire un appropriato mix di prestazioni: attualmente l’assistenza domiciliare si concentra perlopiù sugli interventi infermieristici e riabilitativi, che sono utili ma non bastano. Pertanto, li si vuole affiancare con quelli di aiuto all’anziano nelle attività fondamentali della vita quotidiana e di supporto a familiari e badanti, così da costruire pacchetti appropriati di risposte;

– fornire assistenza per il tempo necessario: l’Adi delle Asl, il servizio domiciliare pubblico più diffuso, nella maggior parte dei casi si limita a 2-3 mesi, per esempio quelli successivi a una dimissione ospedaliera. Si vuole, invece, garantire l’assistenza per il tempo effettivamente necessario, stabilendone la durata in base ai bisogni di anziani e familiari.

La prestazione universale per la non autosufficienza

Veniamo all’indennità di accompagnamento. La si vuole tramutare nella prestazione universale per la non autosufficienza, confermando gli aspetti positivi della misura attuale e agendo su quelli negativi, nel modo seguente:

– universalismo nell’accesso: questo criterio fondamentale rimane invariato. La prestazione è un diritto da assicurare esclusivamente in base al bisogno di assistenza del richiedente, indipendentemente dai suoi mezzi economici;

– equità nell’importo: non è opportuno che tutti gli utenti ricevano – come ora previsto – la medesima cifra, pari a 529 euro mensili, anche se hanno differenti necessità di cura. Si vuole, dunque, graduare l’ammontare della prestazione in modo che aumenti al crescere dell’intensità dei bisogni;

– appropriatezza nell’utilizzo: i beneficiari possono scegliere se percepire il contributo economico senza vincoli d’uso, come oggi, oppure se impiegarlo per ricevere servizi alla persona (svolti da badanti regolari o da soggetti organizzati). La seconda opzione comporta una maggiorazione dell’importo per sostenere questa scelta, ritenuta più appropriata.

La nuova residenzialità

La permanenza a casa degli anziani rappresenta la priorità dello Sna. Per poter assistere in modo appropriato coloro che non è possibile seguire a domicilio, i servizi residenziali richiedono, in varia misura, un’azione di aggiornamento sostanziale:

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– garantire la qualità degli ambienti di vita, privilegiando modelli architettonici e organizzativi amichevoli, domestici e familiari, la tutela dei diritti e della privacy. Questo punto attiene, in altre parole, all’ampia tematica riguardante la progettazione delle strutture e dei loro spazi;

– assicurare la dotazione di personale necessaria: si tratta di prevedere la presenza di personale numericamente adeguato a rispondere opportunamente ai diversi bisogni, mentre oggi, spesso, così non è. Si devono, inoltre, assicurare le competenze richieste da una popolazione residente sempre più problematica, in particolare per l’elevato numero di ospiti con demenza.

– apertura al territorio: va promossa l’integrazione delle residenze con le comunità locali e con l’intera filiera dei servizi del contesto di riferimento.

Proposte non originali

La cinquantina di organizzazioni del Patto ha trovato un accordo sulle proposte con più facilità di quanto il loro numero non facesse immaginare. L’esito conferma un’impressione diffusa da tempo: l’esistenza di un significativo grado di consenso tra gli addetti ai lavori in merito alla direzione da imboccare per il cambiamento. Le proposte, dunque, non sono particolarmente innovative rispetto al dibattito tecnico degli ultimi anni (in alcuni casi, degli ultimi decenni) su come riformare il settore. Sono fortemente innovative, invece, rispetto alla realtà del welfare italiano perché ne comporterebbero una revisione profonda e un deciso passo in avanti. Detto altrimenti, le cose da fare per risollevare l’assistenza agli anziani nel nostro paese sono note: l’imminente disegno di legge delega del governo sarà finalmente l’occasione per cominciare a farle?

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Sanzionare chi non ha il Pos non basta

  1. Enzo Colombo

    Sarà l’ennesimo tentativo pieno di buoni propositi e termini altisonanti, che porterà pochi risultati?
    La situazione è disperante, se si ha un familiare anziano in condizioni di non autosufficienza e si decide di curarlo a casa propria, a parte una lodevole assistenza infermieristica che fa quel che può con i mezzi a disposizione,e la fornitura di alcuni presidi,per tutto il resto ci si deve arrangiare.
    Un esempio( personale): Asl Biella,Familiare affetto da demenza senile ormai avanzata,tempi di attesa per la convocazione in commissione asl/ inps per Accompagnamento: più di sette mesi. Nel caso di intrasportabilita ( sarebbe questo il csso) per avere la commissione a domicilio tempi ancora maggiori. Quindi, si organizzano trasporti lunghi, colmi di sofferenza ed onerosi. ‘Non ci sono medici…’ è la risposta . Ossia, arrangiatevi e resistete, se potete.

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