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Parità di genere e Pnrr: un’occasione persa?

La parità di genere è un obiettivo trasversale del Pnrr. Lo sforzo è apprezzabile, ma qualche perplessità resta. Per raggiungere i traguardi previsti serve comunque un costante controllo sulla effettiva applicazione dei criteri stabiliti dalle leggi.

Norme per la parità di genere

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza la parità di genere è considerata un obiettivo trasversale, insieme alle pari opportunità generazionali e ai divari territoriali. Il Piano prevede misure per condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne. In particolare, è previsto l’inserimento nei bandi di gara di specifiche clausole in cui sono indicati – come requisiti, necessari o aggiuntivi, premiali nell’offerta – criteri orientati verso tali obiettivi.

L’art. 47 del decreto legge 77/2021, convertito nella legge 108/2021, prevede infatti che almeno il 30 per cento della nuova occupazione creata dai progetti del Pnrr sia coperta da donne o da giovani. Secondo il decreto 7/12/2021, le imprese che partecipano alle gare devono aver stilato il Rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile. Mentre il Dl n. 50 del 18/4/2016 (Codice appalti) è stato modificato dal primo maggio 2022 per includere un meccanismo premiale per le imprese in possesso di certificazione di genere (Uni 122/2022).

A livello europeo il Pnrr italiano è stato considerato, insieme a quello della Spagna, il più improntato verso il raggiungimento della parità di genere. Solo quattordici stati (Belgio, Danimarca, Germania, Estonia, Spagna, Italia, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Austria, Polonia, Lettonia, Slovenia e Slovacchia) hanno preso in considerazione la parità di genere come obiettivo da raggiungere. Lussemburgo, Cipro, Estonia, Germania, Polonia e Slovacchia l’hanno inglobata nel più ampio concetto di raggiungimento delle uguali opportunità per tutti.

La situazione in Italia

L’Italia parte da una condizione di disparità di genere molto elevata. Il Gender Equality Index nel 2022, come già discusso, su lavoce.info, si colloca ancora sotto la media dei paesi europei. Il tasso di inattività delle donne è passato dal 49,5 per cento del primo quadrimestre del 2005 (fonte Eurostat: solo Malta con il 62,9 per cento aveva un tasso più elevato) al 43,3 per cento del secondo quadrimestre 2022: il più alto di tutta l’Ue. Il tasso di disoccupazione delle donne nel secondo quadrimestre 2022 è pari al 9,3 per cento; solo Spagna e Grecia ne registrano uno più alto dell’Italia.

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In questo contesto, un piano di ripresa nazionale non poteva ignorare la assoluta necessità di politiche volte al riequilibrio in termini di genere.

Nonostante l’apprezzabile sforzo, rimangono alcune perplessità sull’efficacia del Piano nel raggiungimento dell’obiettivo “parità di genere”. In generale, l’intero impianto del Pnrr cerca di incrementare l’occupazione femminile in settori in cui sono già segregate. Nel Piano- Missione 1 è scritto che le riforme della pubblica amministrazione possono favorire l’ingresso delle donne; lo smart-working aiuterà la conciliazione vita-lavoro, mentre il potenziamento dell’offerta turistica genererà significative ricadute occupazionali per le donne. Occorrerebbe domandarsi se un paese che si caratterizza per uno squilibrio settoriale elevato in termini di genere cresca di più e più velocemente rispetto a uno caratterizzato da minore segregazione di genere. Inoltre, il settore turistico crea occupazione “low skilled”, poco resiliente e per lo più stagionale. Oltre che sulla collocazione settoriale, andrebbe fatta una attenta analisi sulle tipologie di lavoro create dal Piano.

Le Missioni che contengono il maggior numero di investimentivolti al raggiungimento della parità di genere sono la Missione 4-Istruzione e Ricerca e la Missione 5-Inclusione e Coesione, a cui sono destinati rispettivamente il 16,12 per cento e il 10,34 per cento del totale delle risorse. In particolare, si cerca di stimolare la partecipazione al mercato del lavoro delle lavoratrici madri attraverso misure quali l’aumento di asili nido, l’estensione del tempo pieno nelle scuole o l’incremento di attività extra-scolastiche. Si promuove lo studio da parte delle ragazze delle discipline Stem, si incentiva l’imprenditoria femminile e si implementa l’housing sociale.

Si tratta di interventi che, se pur meritevoli, non affrontano il problema della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro nella sua interezza, con un approccio che dovrebbe includere non solo la dimensione economica, ma anche quella sociale e culturale. Se da un lato considerare la parità di genere come obiettivo trasversale sottende l’idea di una multidimensionalità del fenomeno, dall’altro, ancora una volta, si cerca di proporre soluzioni frammentate.

Un tentativo efficace di raggiungere l’obiettivo è invece fornito dalla Strategia nazionale per la parità di genere che individua una serie di misure e di traguardi, molto spesso trasversali.

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I controlli sui bandi

Molti degli investimenti proposti dal Piano, e indicati come volti a favorire la parità di genere, raggiungeranno il loro obiettivo solo in presenza di vincoli cogenti nei bandi.

Si prenda come esempio la M1C1|1.2 Abilitazione e facilitazione migrazione al Cloud il cui obiettivo è la migrazione delle 16.547 amministrazioni pubbliche locali verso il Cloud. I bandi di attuazione finora disponibili riguardano i comuni e le scuole. Per quel che riguarda i primi, nei bandi si definisce Full Migration la migrazione di un certo numero di servizi, che varia da un minimo di 7 a un massimo di 21 in relazione alla dimensione del comune. Il 66 per cento della popolazione italiana vive in comuni con una dimensione fino a 50 mila abitanti: vedranno migrare verso il Cloud un numero massimo di servizi pari a 14, tra i 96 ammissibili, e la scelta è a completa discrezione degli amministratori/amministratici locali. Tra i 96 servizi ammissibili, nelle classi Istruzione, formazione & sport, Lavoro, e Servizi socio-assistenziali e sanitarisolo novepotrebbero contribuire a favorire la diminuzione dei divari di genere.

Senza alcun vincolo, c’è il rischio che i servizi che favoriscono la parità di genere non siano tra quelli in migrazione verso il Cloud. 

Il Piano rappresenta una opportunità per il nostro paese per riequilibrare i divari di genere. Affinché possa considerarsi un obiettivo raggiungibile – e non una occasione persa – occorre una costante vigilanza da parte degli organismi competenti sulla effettiva applicazione dei criteri stabiliti dalle leggi e dal Piano, non solo a livello centrale ma in tutte le fasi e a tutti i livelli della sua realizzazione. Occorre pertanto un controllo attento dei bandi e delle procedure di affidamento. Ultimo, ma non per importanza, occorre una minuziosa raccolta dei dati per genere. Solo così il fenomeno potrà essere misurato in modo esatto.

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  1. Savino

    In Italia la parità di genere e l’inverno demografico li risolvono a chiacchiere. Ci sono Comuni incapaci o impossibilitati a garantire la refezione scolastica in scuole materne per non meglio precisate ragioni di spazio o per problemi tecnici legati alle gare d’appalto quando siamo arrivati a novembre.

  2. Luca Neri

    Il gender equality index è una misura priva di qualsiasi validità scientifica. Ad esempio, per la dimensione salute, l’aspettativa di vita ha lo stesso peso della salute percepita per cui finisce che gli uomini, che hanno una aspettativa di vita inferiore e hanno minore accesso ai servizi sanitari, rappresentano circa il 97% dei morti sul lavoro, il 95% degli infortuni invalidanti e il 75% dei suicidi, risultano avvantaggiati, secondo Gender Equality Index, perchè si lamentano di meno.

    Rispetto alle quote di genere. Credo l’obiettivo di avere un 30% di assunti tra le donne e i giovani sia il solito balzo in avanti del tutto privo di fondamento tecnico-scientifico. Le donne in Italia sono meno occupate degli uomini non perchè discriminate dai datori di lavoro ma perchè sono inattive (ovvero non fanno parte della forza lavoro non avendolo cercato attivamente nelle due settimane precedente la rilevazione). Agire sulla domanda di lavoro in questa condizione è un esercizio solamente retorico, essendo il problema principale sul lato dell’offerta.

    Nei settori come l’edilizia o nell’industria pesante ci si aspetta che si reclutino le donne casa per casa? Perchè allora non facciamo un bel draft e allochiamo le donne forzosamente nei settori dove sono minoritarie? Mi sembra più efficiente e molto meno ipocrita.

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