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Una buona accoglienza è possibile, per tutti

I paesi europei hanno accolto i rifugiati ucraini, garantendo il diritto di protezione umanitaria. Ma la crisi non ha portato a un cambiamento della politica comunitaria sull’asilo. Servirebbe invece una accoglienza diffusa, condivisa e di qualità.

L’accoglienza dei profughi ucraini

La guerra della Russia contro l’Ucraina ha provocato l’esodo di più di 8 milioni di persone nel giro di pochi mesi (Unhcr). A un anno dall’inizio della crisi umanitaria scoppiata nel cuore dell’Europa, è possibile fare una analisi e un raffronto delle politiche dell’Unione in tema di accoglienza e asilo degli sfollati. Gli esodi forzati nel mondo, e attorno all’Europa in particolare, potrebbero aumentare nei prossimi anni, a causa dell’aggravarsi di situazioni di insicurezza, violenza, violazione dei diritti umani e civili, disastri naturali e degli effetti della crisi climatica.

I profughi ucraini si sono riversati per lo più nei paesi limitrofi, ovvero Polonia (1.563.386), Repubblica Ceca (481.047), Bulgaria, Slovacchia, Romania e Moldavia (dati aggiornati a febbraio 2023). Ne deriva la necessità di un coordinamento per la condivisione delle responsabilità nella gestione e accoglienza dei rifugiati fra i paesi di prima accoglienza e gli altri stati.

I rifugiati fuggono all’improvviso e senza preparazione in paesi vicini e hanno diritto a trovare una ricollocazione strutturata e sostenibile. I paesi riceventi dovrebbero quindi dotarsi di una politica chiara e prevedibile di ricollocamento dei rifugiati. Oggi nella Ue non è così: l’ultimo accordo prevede ancora una solidarietà “volontaria”, eventualmente anche in termini di contributi finanziari, mentre il gruppo dei paesi Visegrad continua a dichiararsi contrario a meccanismi strutturati di solidarietà.

Degli 8 milioni di sfollati dall’Ucraina, poco più di due milioni non sono cittadini ucraini, risiedevano tuttavia nel paese al momento dello scoppio della guerra. Per gli ucraini è stato immediatamente garantito un diritto diffuso di protezione umanitaria temporanea, mentre, a causa dell’opposizione di alcuni stati membri, lo stesso diritto è stato negato ai cittadini di paesi terzi, pur se residenti in Ucraina. Ciò mette in luce il doppio standard del diritto di asilo in Europa, che dipende dal paese di origine dei rifugiati. Ciò comporta un problema di “svilimento” del diritto di asilo, che secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani vale per ogni individuo. E comporta anche un problema di accesso discriminatorio alla protezione internazionale.

D’altra parte, nonostante lo status automatico di protezione temporanea, circa la metà degli sfollati ucraini ha fatto ritorno a casa. Dunque, le politiche migratorie o di asilo disegnate nei paesi di destinazione non necessariamente costituiscono un fattore di attrazione: la decisione di dove vivere, realizzarsi e crescere eventualmente i propri figli dipende da un sistema complesso di elementi, che comprende in primo luogo le aspirazioni individuali e ciò che si lascia all’origine, combinato con le opportunità offerte nel paese di destinazione. Fra queste ultime, per un rifugiato sono cruciali i servizi offerti dal sistema di accoglienza, ovvero dal trampolino di lancio che dovrebbe trasformare una persona (emotivamente e fisicamente) sradicata improvvisamente dal suo habitat in un/a cittadino/a autonomo. In Italia, per esempio, un sistema di accoglienza organizzato e strutturato ancora non c’è. Manca una politica di accoglienza e integrazione stabile sul territorio che garantisca uno standard qualitativo dei servizi offerti, ma soprattutto manca una cultura dell’accoglienza che concepisca le persone come una risorsa e non come un costo.

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Peraltro, lo status temporaneo di protezione umanitaria riconosciuto agli ucraini, insieme ad altre misure di agevolazione sui controlli ai confini e la creazione di corridoi di evacuazione, ha fatto sì che dopo le prime settimane, il traffico di frontiera si stabilizzasse e non si registrassero eccessive congestioni. Dunque, uno scenario totalmente diverso rispetto alle code apocalittiche viste ai confini dell’Ue durante la crisi siriana, e lontano anche dalle politiche di respingimento (con la forza) al confine con la Bielorussia o con la Turchia. Tuttavia, i respingimenti dei richiedenti asilo alle frontiere esterne dell’Unione e la politicizzazione sia degli arrivi sia della protezione internazionale sono ancora all’ordine del giorno in Ue, dovuti a politiche tanto comunitarie quanto nazionali. Ne è un esempio l’indifferenza verso i migranti e richiedenti asilo che arrivano lungo la rotta del Mediterraneo centrale. 

Se dunque c’era una aspettativa di cambiamento nella politica comunitaria in materia di migrazione, accoglienza e asilo a seguito della crisi ucraina — cambiamento nella direzione di misure prevedibili, applicabili, solidali e capaci di fornire soluzioni strutturali – è andata delusa.

Il compito delle istituzioni

Si potrebbe facilmente argomentare che la vicinanza geografica della guerra e gli stretti legami culturali ed etnici in Europa possono aiutare a spiegare il diverso trattamento dei profughi ucraini rispetto ad altri. Ma ci sono almeno due ragioni per cui non possiamo considerarla una spiegazione sufficiente. Primo, il diritto di asilo e protezione internazionale, come sancito anche nella nostra Costituzione, non è una aspirazione o una aspettativa che si basa sulla generosità o spirito umanitario degli stati ospitanti, ma è un diritto fondamentale al quale chiunque deve poter avere accesso. La negazione dell’accesso a tale diritto è di fatto un respingimento verso potenziali situazioni di oppressione, persecuzione, violenza, discriminazione o altro, ovvero una violazione dei diritti umani. Secondo, la diversità e multiculturalità è un aspetto oggettivo della nostra società globale, che descrive l’esistenza di una varietà che può essere compresa e gestita. Numerosi studi mostrano che la varietà può costituire una significativa risorsa per l’innovazione, la crescita e lo sviluppo economico, sociale e culturale.

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Come l’anno scorso, dopo gli applausi iniziali, le insegnanti e gli alunni di migliaia di scuole italiane si sono dovuti impegnare per favorire l’accoglienza e l’integrazione di più di 20 mila studenti ucraini nelle classi, così enti locali, nazionali ed europei devono dotarsi di volontà politica e buone pratiche per promuovere l’integrazione nelle comunità locali e una migliore comprensione della varietà di background ed esperienze. Ostacolare il lavoro delle associazioni che accolgono immigrati e richiedenti asilo, per esempio, non fa altro che alimentare paura e diffidenza nella popolazione locale. Le percezioni e le paure rispetto ai flussi migratori, tuttavia, sono spesso alimentate da pregiudizi e convinzioni errate, a loro volta basate su stereotipi e disinformazione. Tocca alle istituzioni investire su una accoglienza diffusa, condivisa e di qualità, che comprenda sia la formazione dei nuovi arrivati sia l’educazione e l’interazione interculturale nelle comunità. Se c’è una cosa che l’esperienza ucraina mostra è che ciò è materialmente possibile.

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  1. Nicola

    Rifugiati che vedono il loro futuro nel nostro paese e rifugiati in transito per quell’arco temporale di tornaconto . Tipologie che nel breve trovano destinazione ai margini della società con quasi nulle possibilità di invertire la direzione , sia per la schizofrenia amministrativa che di carenti strumenti di integrazione . Il distinguo tra le due dovrebbe incentivare quell’aspirante italiano con iniziative volte alla formazione dell’educazione civica , lingua , salute , mestiere o professione attraverso un definito percorso che lo renderà pronto e consapevole di questa collettività di accoglienza . Iniziative nelle corde di moltissimi cittadini pronti a suonare i cui direttori d’orchestra , purtroppo, han i flessori compromessi

  2. mahmoud

    L’accoglienza ai cittadini ucraini, oltre ai legami culturali ed etnici, è dovuta al fatto che l’Ucraina risulta l’unico Paese del Mondo in cui attualmente vi è un conflitto generalizzato che insiste sull’intero territorio (in Siria ad esempio non tutte le zone del Paese ne sono significativamente interessate).

    Non esiste nessun doppio standard con cittadini di altri Paesi residenti in Ucraina se non cittadini ucraini: non è che se io, cittadino marocchino, mi fossi trovato in Ucraina allo scoppio della guerra sosterrei per questo di avere diritto di recarmi a inseguire i miei sogni e le mie aspirazioni in Svizzera, Giappone o USA senza rispettare le locali leggi in tema di flussi migratori gestibili, rimanendo cittadino di un diverso stato dove adesso non c’è alcun conflitto e dove quindi posso tranquillamente ritornare senza pericolo per la mia vita.

    In Italia l’accoglienza oltre che dispendiosa è molto diffusa: tutti i rifugiati ne possono godere, anche chi ancora non è riconosciuto tale ma ha solo fatto richiesta d’asilo (quindi molto probabilmente non lo è) ne gode.

    Le risorse non sono infinite, per questo è doveroso scegliere come allocarle.

    In ultimo, mi permetto di aggiungere anche una mia considerazione personale: lo svilimento del diritto d’asilo è secondo me invece rappresentato dalla moltitudine di persone non rifugiate che fingono di esserlo presentando strumentalmente lo stesso domanda di asilo, ingolfando gli apparati nazionali di ogni Paese, almeno dei Paesi UE. Una preselezione di ammissibilità già delle prime istanze sarebbe un minimo passo nella direzione di rendere più equo il diritto all’asilo, che se fosse un diritto di tutti sarebbe allora sì, davvero, svuotato di qualsivoglia significato.

  3. marco verna

    Quest’articolo utilizza, e non è la prima volta, l’argomento del “ …perché favorite gli ucraini e non trattate tutti i migranti nello stesso modo..” Semplice: è una guerra letteralmente al confine con l’Europa, di un paese che vuole far parte – in maggioranza- dell’Europa. Non sono persone che vogliono vivere stabilmente qui, ma essere protette fino alla fine della guerra e poi tornarsene a casa. Mi pare evidente la differenza.
    Si porta l’esempio della Bielorussia, che per vendetta sull’UE che l’aveva sanzionata per la mancanza di democrazia, nel 2021/2022 ha preso migliaia di migranti dal Medio Oriente, illudendoli, con tanto di agenzie di viaggio, di poter passare e vivere in Ue. Letteralmente scagliando uomini, donne e bambini contro il confine. Si tratta dell’uso strumentale dell’arma migrante da parte di un paese in conflitto con l’Europa. Non è una novità. Marocco e Turchia hanno fatto lo stesso.
    Leggo: “Degli 8 milioni di sfollati dall’ Ucraina, poco più di due milioni non sono cittadini ucraini, ….Per gli ucraini è stato immediatamente garantito un diritto diffuso di protezione umanitaria temporanea, (PPT) mentre.. lo stesso diritto è stato negato ai cittadini di paesi terzi, pur se residenti in Ucraina. Ciò mette in luce il doppio standard ….” Il PPT è stato dato, oltre che a tutti gli ucraini sfollati, anche a chi, non Ucraino, viveva lì prima del 24 febbraio 2022 con un permesso di soggiorno permanente e non poteva ritornare nel proprio paese. Cioè in pratica ai migranti che vivevano regolari e permanenti in Ucraina e, ovvio, a tutti coloro che vi avevano ottenuto Asilo Politico. (D.P.C.M. 28 marzo 2022). Mi chiedo quale sia la fonte da cui si ricava che su 8 milioni di sfollati dalla guerra, addirittura più di 2 milioni non fossero ucraini e siano stati discriminati. Più di 1 su 4, significherebbe che l’Ucraina era piena di migranti non “permanenti” o irregolari? Nel lavoro sull’emergenza ucraina non c’è traccia di questa presenza discriminata, anche come sfollati non ucraini che abbiano chiesto e non ottenuto una protezione. L’Italia al 2 marzo 2023 ha ricevuto domanda e sempre concesso ai cittadini Ucraini -ed assimilati – il PPT nel numero di 172.895, molti sono tornati, a oggi dovrebbero essere meno di 100.000.
    L’Europa invecchia e sbanda, ha bisogno di cittadini giovani e vitali. I paesi terzi sono pieni di giovani e di poveri. .. Quindi dovremmo poterci accordare, un do ut des che è quasi intuitivo. Con accordi concreti e fattibili, non selvaggiamente. Come UE e come stati sovrani, non con le ONG che sostituiscono i Parlamenti. Non con strumentalizzazioni e ricatti. Soprattutto senza che i nostri intellettuali stimolino il senso di colpa occidentale, in salsa woke, senza capire che a gestire le fusioni tra popoli, se non lo si fa razionalmente, ti scoppia tutto in mano.

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