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Nuova procedura Ue contro la Polonia

Nonostante un rasserenamento nei rapporti negli ultimi mesi, la Commissione europea ha deferito la Polonia alla Corte di giustizia. È una decisione di notevole importanza sul piano giuridico, istituzionale e politico. E riguarda anche il governo italiano.

L’evoluzione dei rapporti tra Ue e Polonia

Nei mesi scorsi, i tormentati rapporti tra il governo polacco e l’Ue sembravano volgere al sereno. Da un lato, il governo polacco ha accettato di apportare alcune modifiche alle controverse norme emanate sulla giustizia, al duplice scopo di ottenere l’accesso ai finanziamenti straordinari (ben 36 miliardi di euro) messi a disposizione dal piano per la ripresa dell’Europa e di non mettere a rischio le ingenti sovvenzioni ordinarie erogate da vari fondi europei. Dall’altro lato, diversamente dall’Ungheria di Viktor Orbàn, la Polonia ha assecondato le iniziative prese dall’Ue per fornire sostegno all’Ucraina dopo l’invasione russa. Tuttavia, il 15 febbraio scorso la Commissione ha deciso di deferire la Polonia alla Corte di giustizia: è una decisione di notevole importanza sul piano giuridico, istituzionale e politico.

Sul piano giuridico, l’anno scorso, la Commissione ha messo in mora la Polonia, indicando i problemi da risolvere. Ricevute le risposte, le ha ritenute non soddisfacenti per due ordini di ragioni. Innanzitutto, le sentenze della Corte costituzionale polacca che non riconoscono il primato del diritto europeo rispetto al diritto nazionale impediscono l’uniforme applicazione delle norme dell’Ue. Oltre tutto, è stato contestato apertamente il rilievo attribuito dai trattati istitutivi all’impegno a realizzare “un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa”, per il raggiungimento degli obiettivi comuni. La posta in gioco è, quindi, l’impegno a proseguire nella direzione di un’Europa più unita. L’altro ordine di motivi concerne l’indipendenza della magistratura, un pilastro dello stato di diritto. Le gravi irregolarità commesse dai politici polacchi, nel 2015 e nel 2016, nella nomina dei giudici della Corte costituzionale la rendono non indipendente dalla politica. Viene meno, così, un requisito fondamentale per la cooperazione giudiziaria all’interno dell’Ue, giacché un giudice non indipendente può agire con spirito di parte, favorendo la maggioranza al potere.

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La parola alla Corte di giustizia

Sul piano istituzionale, dopo il parere motivato della Commissione, l’ultima parola spetta alla Corte di giustizia. In questo modo, la controversia riguardante la Polonia segue un percorso del tutto diverso rispetto a quello intrapreso dalle istituzioni politiche dell’Ue nei confronti dell’Ungheria. Quest’ultimo, basato sull’articolo 7 TUe, richiede una duplice decisione: una del Consiglio dei ministri, a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, per constatare l’esistenza di una grave violazione dei principi su cui l’Ue si fonda, e l’altra del Consiglio europeo (cioè l’organo di cui fanno parte i capi di stato e di governo), all’unanimità, per applicare le sanzioni previste. Se la Corte di giustizia confermerà i propri precedenti giudizi sull’indipendenza della magistratura, si aprirà anche la possibilità di applicare sanzioni economiche nei confronti della Polonia in caso d’inosservanza.

L’ultimo risvolto della vicenda è quello politico. Per un verso, la procedura giudiziaria intrapresa dalla Commissione esime i governanti nazionali dal prendere posizione. In ciò, giova alla presidente del Consiglio dei ministri italiano, che nel Parlamento europeo è alleata proprio con i conservatori polacchi. Per un altro verso, però, l’iniziativa della Commissione serve a ricordare che tutti gli stati devono rispettare le regole del gioco, incluse quelle sulla concorrenza e sulla libera circolazione. Le forze della maggioranza al governo in Italia hanno deciso di trasgredirle prorogando in modo generalizzato le concessioni balneari. La Commissione non potrà ignorarlo, nella sua veste di custode dei trattati, oltre che in sede di verifica dei risultati raggiunti nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

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  1. firmin

    Non capisco perchè un giudice di Berlino possa mettere in discussione impunemente (e ragionevolmente) le decisioni della Commisisone e della BCE alla luce delle leggi tedesche, mentre uno di Varsavia (seppure dipendente dal potere politico) debba inchinarsi senza esitazioni al primato del diritto europeo rispetto al diritto nazionale.

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