Sono diverse le modifiche introdotte dal governo sul meccanismo di gestione del Pnrr. Rendono più compatta la catena decisionale e più omogenea la gestione di ambiti, deleghe e risorse. Solleva dubbi l’incertezza sui tempi di attuazione di alcune norme.

Le modifiche alla governance

Il 24 febbraio è stato pubblicato il decreto legge n. 13 del 2023 che, confermando quanto annunciato da tempo, ha riformulato la governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano secondo l’impostazione del governo Meloni. Si tratta di un significativo cambiamento del meccanismo di gestione e non già del cambio del Piano in sé: una specificazione da sottolineare, perché in più occasioni il dibattito pubblico sembrava indicare proprio quest’ultimo come quasi immediato, quando invece, come già rilevato su queste colonne, è estremamente difficile da realizzare.

Il Dl 13/2023 – che in buona parte ha modificato il Dl n. 77 del 31 maggio 2021, fino a oggi architrave del funzionamento del Piano – si occupa di differenti aspetti legati al Pnrr, prevede alcuni interventi di veloce realizzazione e altri che necessitano tempi più lunghi.

Le principali novità riguardano la nascita di due nuovi uffici: la Struttura di missione Pnrr a Palazzo Chigi, attiva sino al 31 dicembre 2026 e l’Ispettorato generale per il Pnrr costituito al ministero dell’Economia e delle Finanze.

La Struttura di missione (art. 2 del decreto) diventa il principale strumento di funzionamento del Piano: assorbe i compiti della segreteria tecnica e coadiuva l’autorità politica delegata (il ministro Fitto) per funzioni di indirizzo e compiti di coordinamento dell’azione di governo sull’attuazione generale del Pnrr. Diventa anche il soggetto incaricato di essere il punto di contatto nazionale con la Commissione europea per il Pnrr (compito sino ad oggi svolto dal ministero dell’Economia e delle Finanze).

L’Ispettorato generale per il Pnrr (art. 1 punto “e” del Dl) è invece incardinato alla Ragioneria generale dello stato e sostituisce il Servizio centrale, di cui continua a svolgere i compiti di primaria importanza per l’attuazione del Piano, compresi la responsabilità del fondo di rotazione, dei flussi finanziari e la gestione del monitoraggio. È specificato che l’Ispettorato, seppure dal Mef, fornisce supporto diretto all’autorità politica delegata (figura 1).

Rispetto al tema del monitoraggio, connesso con la piena entrata a regime del sistema Regis e al coordinamento delle banche dati, vi è anche la necessità di consentire una lettura più agevole proprio di target e milestones e la verifica del disallineamento tra questi e l’avanzamento della spesa, come già avviene per la politica di coesione. È uno dei punti più critici del Piano italiano che, come richiamato recentemente da Leonzio Rizzo, Riccardo Secomandi e Alberto Zanardi, vede un basso livello di spesa reale effettivamente sostenuta, pur avendo raggiunto gli obiettivi considerati nel cronoprogramma dei lavori. Rendere più “trasparente” la gestione delle risorse del Pnrr e un effettivo monitoraggio aiuterebbero non poco anche sul versante del miglioramento della efficienza della spesa e dell’impatto del Piano.

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Altre novità, che riguardano la dimensione centrale dell’amministrazione, sono: a) la soppressione (art. 1 comma 4) del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale con le sue funzioni trasferite alla cabina di regia a cui d’ora in poi parteciperanno – nelle riunioni specificamente dedicate – i rappresentanti di enti e organizzazioni che già componevano il Tavolo; b) la chiusura dell’Agenzia per la coesione e il trasferimento dei suoi compiti al Dipartimento per le politiche di coesione di Palazzo Chigi (art. 50); c) la possibilità per le amministrazioni titolari di interventi del Pnrr (i ministeri) di riorganizzare le proprie strutture con cui gestiscono il Piano (art. 1 commi 1-3); d) il potenziamento dello “spazio” per l’esercizio dei poteri sostitutivi con riduzione, tra l’altro, da 30 a 15 giorni del termine per provvedere (art. 3).

Vi sono inoltre alcuni aspetti che riguardano le amministrazioni periferiche coinvolte nel Piano come soggetti attuatori, ciò avviene attraverso due misure di rafforzamento delle strutture degli enti locali: la possibilità per i comuni che gestiscono progetti Pnrr di aumentare il numero di dirigenti (art. 8 commi 1-6) e la possibilità di stabilizzare personale già assunto a tempo determinato in progetti del Piano (art. 4). Da segnalare infine anche gli articoli 6 e 12 che si occupano di semplificare le procedure per la gestione delle risorse del Pnrr e delle modalità di funzionamento del portale unico del reclutamento per tutte le amministrazioni di ogni livello.

Figura 1 – La nuova governance del Pnrr

Vantaggi e dubbi

Da una rapida analisi emergono due opposte valutazioni.

La prima, “di dubbio”, è riferita ai tempi attuativi: oltre ai 60 giorni dedicati alla conversione in legge del decreto (a conti fatti, un terzo del primo semestre 2023 che vedrà impegnata l’Italia a raggiungere i 27 obiettivi concordati con la Commissione), vi sono alcune norme di attuazione che non hanno tempi definiti. Inoltre, il decreto prevede possibili cambiamenti anche in tutte quelle amministrazioni centrali titolari di interventi del Pnrr che, tramite regolamento, possono riorganizzare la loro struttura preposta alle attività di gestione monitoraggio e controllo degli interventi, e modificare di conseguenza anche gli incarichi dirigenziali. Forse in una fase delicata del Pnrr, con l’avvio di molti progetti, la possibilità di riorganizzazione delle amministrazioni centrali poteva essere rimandata, anche considerando che le attività da dedicare all’alto numero di decreti attuativi di provvedimenti normativi dei governi precedenti e le ulteriori norme di riorganizzazione degli uffici rischiano di ingolfare la macchina amministrativa.

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La seconda invece è una valutazione positiva. La struttura della nuova governance sembra essere un ulteriore passaggio di un disegno più largo che, nel complesso della politica di coesione unitaria, da un lato compatta ancora di più la catena di decisione e dall’altro omogeneizza la gestione di ambiti, deleghe e risorse tra loro vicini e comunicanti, ma finora formalmente separati, con il rischio di generare mancanza di uniformità, regia unica e visione d’insieme necessaria per (tutti) i fondi europei. Ciò assume ancora più valore in un contesto in cui il rapporto con le istituzioni Ue (oggi più forti e centrali nei meccanismi di decisione) necessiti di un interlocutore politico unico. Un disegno che ha visto il primo tassello alla nascita del governo Meloni con la centralizzazione in un’unica autorità politica, incardinata alla presidenza del Consiglio dei ministri, delle deleghe Affari europei, Pnrr, Politiche per la coesione e Mezzogiorno, assegnate al ministro Raffaele Fitto.

La scelta di cambiare il meccanismo di governance del Pnrr, a differenza del cambio del Pnrr, era nella piena disponibilità del governo, che ha infatti deciso di esercitare l’opzione. I tempi di attuazione, da un lato, e la capacità di mantenere il passo attuativo di target e milestone, dall’altro, decideranno la riuscita o meno della “messa a terra” del Piano italiano che, con il suo valore economico da 191,5 miliardi di euro, è il più importante tra tutti quelli dell’Unione europea e determinerà in modo significativo se il Next Generation EU ha funzionato o meno.

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