La crisi del sistema bancario americano sembra rientrata, e con essa il pericolo di contagio internazionale. Restano però tre debolezze delle banche regionali Usa, che possono ridurne la redditività e, in qualche caso, metterne a rischio la sopravvivenza.

Le fragilità delle banche Usa

La fase più acuta della crisi del sistema bancario americano sembra essere rientrata, così come la sua capacità di contagio internazionale. Tuttavia, le banche regionali americane presentano ancora tre debolezze che nei prossimi anni ne ridurranno la redditività e, in alcuni casi, ne metteranno in discussione la stessa sopravvivenza.

La prima debolezza riguarda l’ammontare dei loro depositi, che si è fortemente ridotto durante la crisi. Secondo i dati del Fdic (Federal Deposit Insurance Corporation), per le prime trenta banche regionali americane i depositi si sono quasi dimezzati negli ultimi mesi. La gran parte di questo denaro, che era in mano a investitori istituzionali, è ora finita nei Money Market Mutual Fund, ovvero fondi a breve che oggi offrono rendimenti attorno al 4 per cento, invece dello “zero virgola” reso dai depositi bancari. Anche nell’ipotesi, per altro difficile, che le banche regionali riconquistino la fiducia di investitori che non godono della garanzia pubblica, la nuova liquidità costerà loro molto cara. Più probabilmente, molte di loro saranno costrette a ridurre i loro impieghi e investimenti, che tuttavia non sono facilmente liquidabili. Poiché le banche regionali detengono una quota molto alta di impieghi, pari a circa un terzo di quanto erogato dall’intero sistema, l’effetto in termini di credit crunch sull’economia americana potrebbe risultare notevole.  

Più in generale nei prossimi mesi tutte le banche potrebbero subire una certa erosione di ciò che in termini tecnici viene chiamato “deposit franchise”, ovvero la loro capacità nei momenti di restrizione monetaria di contenere la crescita dei tassi pagati sui depositi. Il processo è accelerato sia dal fatto che oggi la digitalizzazione rende più semplice muovere la liquidità, sia perché le banche centrali dei principali paesi hanno avviato un processo di Quantitative tightening (Qt). La graduale vendita di titoli pubblici e privati da parte degli istituti di emissione riduce quasi meccanicamente i depositi delle banche (vedi grafico 1 per gli Usa) e potrebbe indurle ad alzare i tassi sui depositi per frenarne la dipartita.

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Un recente lavoro scientifico mostra come, mentre nei periodi di Quantitative easing (Qe) la dimensione dei bilanci delle banche (come quello delle banche centrali) cresce sia dal lato del passivo che dell’attivo, nei periodi di Qt le banche, che vedono ridursi i propri depositi, fanno più fatica a rientrare dalle loro esposizioni. Così è facile che in questi momenti insorgano crisi di liquidità che poi possono trasformarsi in crisi d’insolvenza. Ecco allora un altro canale, oltre quello del rialzo dei tassi d’interesse, attraverso il quale un veloce rientro da politiche monetarie ultra-espansive può generare crisi bancarie.

Le perdite sui portafogli titoli

La seconda debolezza delle banche regionali ha a che fare con le perdite latenti del portafoglio titoli accumulato nei periodi di tassi molto bassi. Le regole contabili e, in particolare, la possibilità di poterle registrare come held to maturity – e quindi di non contabilizzare le perdite ai valori di mercato – offrono una debole protezione, soprattutto nei momenti di crisi.

Il mercato, a questo punto, aspetta con ansia di leggere nelle prossime trimestrali non solo le perdite effettive, ma anche quelle potenziali per farsi un giudizio più circostanziato sul sistema bancario. Per ora, come riportato dalla stampa specializzata, a fronte di una certa stabilizzazione dei prezzi in borsa dei titoli delle banche regionali, si è registrato un forte aumento del volume delle opzioni a copertura delle loro quotazioni, del loro costo e della loro volatilità.

Per inciso, può valere la pena ricordare che le stesse banche centrali, che avrebbero dovuto vigilare sulle banche, si trovano nei loro bilanci un gran numero di titoli di stato, con cedole molto basse, acquistati durante il Quantitative easing, mentre sono oggi costrette a pagare tassi d’interesse ben più alti sulle riserve/depositi lasciati dalle banche. Così anch’esse registreranno perdite importanti nei prossimi anni e non potranno distribuire dividendi ai governi. Tuttavia, non andranno in default perché possono stampare moneta e godono di una garanzia pubblica illimitata.

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La terza debolezza riguarda la regolamentazione bancaria che, almeno per le banche regionali americane, si farà certamente più stringente. Se nel lungo periodo ciò ne aumenterà la stabilità, nel breve potrebbe limitarne la capacità di manovra e la redditività. Tuttavia, la recente crisi bancaria potrebbe indurre i regolatori a incrementare i presidi sulla liquidità di tutte le banche, chiedendo loro ad esempio di detenere una maggior quota di depositi vincolati o pretendere un innalzamento del valore dei depositi assicurati con un conseguente aggravio dei premi pagati.

In questo scenario, i risk-management delle banche dovranno dimostrarsi particolarmente attivi e le banche centrali particolarmente prudenti nel governare una difficile congiuntura.  

Grafico 1 – Depositi in percentuale del totale attivo per le banche americane grandi e medie

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