Alla vigilia di elezioni presidenziali decisamente incerte, in Turchia si discute parecchio della controversa politica di Erdogan. Tra mala-gestione delle emergenze e scelte economiche poco ortodosse, il paese si trova sull’orlo di una profonda crisi.
Le elezioni del 14 maggio
Domenica 14 maggio in Turchia si terranno le elezioni per il rinnovo del parlamento e l’elezione del presidente. Dopo vent’anni di mandato per Recep Tayyipp Erdogan, che ha governato in maniera autoritaria il paese, distaccandosi dalla visione occidentale, la guida della Turchia potrebbe essere affidata a un altro leader. Si parla, infatti, delle elezioni più incerte degli ultimi vent’anni, perché i sondaggi sulla presidenza danno molto vicini Erdogan e il suo principale oppositore, Kemal Kilicdaroglu. Quest’ultimo è il capo delle opposizioni, scelto proprio per contrastare la rielezione di Erdogan. È un economista e leader del Partito popolare repubblicano (Chp) dal 2010: ha una visione nettamente più democratica e, nonostante ci siano ancora titubanze da parte degli elettori su una figura come la sua, che unisce diverse visioni politiche, sembra avere buone possibilità di vittoria.
Erdogan, le sue scelte e il malcontento
Erdogan ha ricoperto la figura di primo ministro turco dal 2003 al 2014, quando ha assunto la carica di presidente. Negli anni del suo governo, ha lentamente ma costantemente abolito le tutele democratiche, instaurando gradualmente un regime autoritario. Assoggettamento dei media al governo, incarcerazione di oppositori politici, instaurazione di una oligarchia sempre più evidente sono stati solo alcuni dei passi che hanno evidenziato il suo autoritarismo.
Anche le scelte economico-finanziarie di Erdogan in questi anni non sono state particolarmente ortodosse e hanno portato la Turchia sull’orlo di una profonda crisi: l’altissima inflazione di cui soffre il paese, a differenza di quanto è avvenuto da altre parti, non ha ricevuto risposte adeguate. La banca centrale è alle dipendenze di Erdogan da tempo e nei fatti non sono state attuate le misure di politica monetaria volte a contrastare l’aumento dei prezzi. L’incremento dei tassi di interesse avrebbe infatti impedito di raggiungere l’obiettivo principale del presidente turco: la crescita del paese a ogni costo, grazie a tassi tenuti forzatamente bassi per stimolare l’economia. Tutto questo ha causato una cronica debolezza della lira turca, che secondo Erdogan è una condizione ottimale per incentivare le esportazioni. Il risultato finale è stato un impoverimento della popolazione e del suo potere d’acquisto.
Il malcontento dei turchi deriva anche dalla gestione dell’emergenza pandemica, in cui è mancato un chiaro piano d’azione, e del terremoto dello scorso 6 febbraio. Per quest’ultimo caso, la popolazione ha denunciato la negligenza del governo sui regolamenti edilizi: la mancanza di controlli ha portato migliaia di cittadini a morire sotto le macerie di strutture inadeguate, per cui per anni non si era volutamente fatto nulla, a causa degli alti costi.
Le mosse degli ultimi mesi
Proprio per mitigare il malcontento dilagante, nel corso degli ultimi mesi il governo di Erdogan ha messo in atto alcune ulteriori scelte economiche e finanziarie populiste, che si sono rivelate presto controproducenti.
A dicembre, il presidente turco ha abolito per decreto l’età pensionabile, introducendo una riforma particolarmente generosa, che consente a 2,25 milioni di turchi in più di accedere alla pensione. In assenza del limite di età, che prima era di 58 anni per le donne e 60 per gli uomini, chiunque abbia iniziato a lavorare prima di settembre 1999 e abbia maturato tra i 20 e i 25 anni di contributi ha diritto alla pensione. I requisiti per fuoriuscire dal mondo del lavoro, quindi, da tre sono passati a due.
Anche a ridosso delle elezioni, Erdogan ha tentato di recuperare consenso, dichiarando di voler aumentare ulteriormente (del 45 per cento) il salario minimo degli impiegati del settore pubblico, che era già stato ritoccato sei mesi fa, in contemporanea con la riforma delle pensioni. A dicembre, l’incremento registrato era stato del 100 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022 e aveva portato il salario minimo a 8.500 lire turche, con l’ultima riforma, sale a 15 mila lire. Non sono misure adeguate in un contesto inflazionistico, perché nel tentativo di attenuare la perdita del potere d’acquisto della popolazione si alimenta l’aumento dei prezzi.
I costi sociali che derivano dall’introduzione di queste riforme sono altissimi: per esempio, il ministro del Lavoro aveva stimato il costo del nuovo sistema pensionistico in 100 miliardi di lire turche all’anno. Il paese risulta essere sempre di più vicino a un tracollo, visto che le nuove iniziative non sembrano sostenibili nell’attuale scenario turco.
Le elezioni, quindi, sono molto importanti non solo perché potrebbero decretare la fine dei vent’anni di governo di Erdogan, ma anche perché la Turchia è sull’orlo di una grave crisi economica e sociale che solo un’inversione di rotta potrebbe evitare.
Le prospettive future
All’orizzonte si riesce a intravedere una Turchia che potrebbe finalmente aprirsi a visioni più democratiche, avvicinandosi così a quelle occidentali. Se il leader dell’opposizione dovesse effettivamente vincere, potremmo aspettarci cambiamenti sia interni al paese sia nei suoi rapporti con l’Unione europea.
In primo luogo, Kilicdaroglu ha promesso un miglioramento sul fronte dei diritti civili e una ripresa dal punto di vista economico, accennando alla cooperazione con stati occidentali quali Europa e Stati Uniti.
Infatti, con Kilicdaroglu in carica, le tensioni decennali tra Turchia e Ue potrebbero finalmente sciogliersi, riavvicinando il paese all’Europa e allontanandolo dall’alleanza con Russia, Cina e Iran.
Se, al contrario, Erdogan – che non ha mai accennato a voler abbandonare le sue politiche controverse – dovesse rimanere in carica per un altro quinquennio, la strada verso la crisi economica e finanziaria apparirebbe più vicina che mai, accompagnata da mancanza di meritocrazia e polarizzazione del paese.
Sembra essere soprattutto la fascia di popolazione più giovane ad avere un ruolo fondamentale in queste elezioni. La Turchia è uno dei paesi più giovani d’Europa e si stima che il 14 maggio andranno al voto 6 milioni di nuovi elettori. Sono proprio i giovani a essere più consapevoli della grave situazione economica e sociale del paese, criticando le difficili condizioni di vita, l’alta disoccupazione e il basso livello di educazione. Una ricerca condotta da OBC Transeuropa ha permesso di rilevare come sia proprio la generazione Z ad avere una visione più liberale e a opporsi al ruolo (e all’interferenza) del governo nella vita quotidiana, che limita enormemente la libertà di espressione.
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