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Dieci voti per azione: perché potrebbe essere utile

La possibilità di emettere azioni a voto plurimo incentiva le quotazioni perché consente di mantenere il controllo di un’azienda con un più contenuto investimento di capitale. Evita anche la fuga verso altri mercati. L’esempio di tre borse asiatiche.

La proposta del governo

L’11 aprile 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge volto a incentivare la quotazione in borsa, anche al fine di sostenere le imprese che mirano ad accrescere la propria competitività mediante il ricorso al mercato dei capitali.

Proprio in quest’ottica, l’articolo 13 del Ddl interviene sull’istituto del voto plurimo – attualmente disciplinato dall’art. 2351, quarto comma del codice civile – portando da tre a dieci il numero di voti che possono essere attribuiti da un singolo titolo azionario. Se il Parlamento aderisse alla proposta governativa, ogni società per azioni potrebbe dunque emettere azioni speciali capaci di attribuire, al loro titolare, sino a dieci voti in sede assembleare.

La portata dell’innovazione – che, come è già stato sottolineato, pone rimedio a un “eccesso di prudenza” – può essere apprezzata se si considera che l’articolo 127-sexies del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (Tuif) proibisce sì l’emissione di azioni a voto plurimo dopo la quotazione, ma consente alle società quotate di conservare quelle emesse prima di approdare sul mercato regolamentato. Ciò significa che potrebbe essere possibile quotare un’impresa e mantenerne il controllo detenendo soltanto il 9,1 per cento del suo capitale azionario, purché rappresentato dalle sole azioni a voto plurimo in circolazione.

Istintivamente, si tratta di una prospettiva che spaventa, perché in definitiva consente al controllante di risentire solo in minima parte di eventuali scelte imprenditoriali avventate. Vi sono però due fattori da considerare. Il primo è che diversi studi compiuti Oltreoceano mostrano che le società con azioni a voto plurimo – le cosiddette dual-class companies – sembrano più performanti di quelle che hanno emesso unicamente azioni ordinarie, quantomeno negli anni immediatamente successivi alla quotazione. La figura 1 è, al riguardo, piuttosto eloquente.

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Figura 1

Fonte: il grafico è tratto da Yiming Sun, A Hybrid Approach to Sunsetting Dual-class Shares

Evitare fughe verso altri mercati

La seconda considerazione è che consentire di mantenere il controllo con un più contenuto investimento di capitale incentiva le quotazioni, evitando – e questa prospettiva traspare anche da un precedente intervento – che vengano privilegiati altri mercati finanziari a discapito di quello italiano: una politica restrittiva in materia di titoli con voto plurimo rischia cioè di avere l’unico effetto di indurre la società desiderosa di emetterli a incorporarsi o quotarsi altrove.

È proprio per evitare una possibile fuga di massa delle imprese nazionali verso il Nasdaq e il NYSE che Shangai, Singapore e Hong Kong hanno aperto le porte alle azioni a voto plurimo, consentendo per l’appunto l’emissione di azioni con dieci voti. Lo stesso è avvenuto in Svezia, ovvero nel mercato regolamentato europeo che è di gran lunga quello uscito meglio dalla crisi del 2008. D’altronde, dovrebbe far riflettere il fatto che si sia ricorsi ad azioni con dieci voti sia in occasione della quotazione della Google Inc. nel 2004 – quando i due fondatori tutelarono la loro posizione di controllanti attraverso la detenzione di più del 50 per cento dei voti disponibili, pur essendo proprietari di una percentuale inferiore al 10 per cento del capitale sociale – sia nel caso della Facebook Inc., quotatasi nel 2012 con una struttura che vedeva Mark Zuckerberg disporre del 57 per cento dei voti, pur avendo solo il 18 per cento del capitale sociale.

D’altronde, il punto è che il legislatore dovrebbe preoccuparsi solo di non consentire il ricorso a strutture finanziarie che per certo distruggono valore, rimettendo poi ogni valutazione sull’opportunità di investire in una determinata società al mercato, ovvero a un “soggetto” in linea di massima capace di determinare il corretto valore anche di titoli penalizzati sul piano del diritto di voto, come sono le azioni ordinarie in presenza di azioni con voto plurimo.

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Peraltro, si deve anche considerare che la posizione di controllante rimarrà sempre in qualche misura ambita e dunque non consentirne la blindatura attraverso l’emissione di azioni a voto plurimo ha l’unico effetto di spingere chi detiene il controllo a ricorrere ad altri strumenti, quali le piramidi azionarie, che possono rivelarsi ben più deleteri sotto ogni punto di vista.

D’altro canto, parrebbe invece opportuno imporre, dopo un certo un numero di anni, la conversione delle azioni a voto plurimo in titoli ordinari, visto che il vantaggio competitivo di una società con azioni diversificate sul piano del diritto di voto si manifesta soprattutto negli anni immediatamente successivi all’Ipo, per poi scomparire progressivamente. Anche in questo caso, si seguirebbe così la strada imboccata dalle tre borse asiatiche.

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  1. firmin

    Qual è l’interesse generale cui va incontro il voto multiplo? Esistono già le azioni di risparmio, che non prevedono diritti di voto e consentono così di ridurre l’entità del pacchetto di controllo. Inoltre il maggiore azionista può contare anche sul diffuso assenteismo dei piccoli azionisti, che rende ancora più esigua la quota necessaria per il controllo della società. Francamente non capisco perchè incoraggiare i risparmiatori ad effettuare investimenti rischiosi senza un’adeguata contropartita in termini di garanzie e di rendimneto. Se l’azionista di maggioranza vuole conservare il controllo…se lo paghi, oppure taccia per sempre. Non mi sembra un interesse da tutelare il fatto che il timore di perdere il controllo possa frenare investimenti ed innovazione. Un imprenditore pavido è meglio che cambi mestiere.

    • Carlo Emanuele Pupo

      Innanzitutto mi scuso per il ritardo nella risposta, impegni professionali e personali mi hanno assorbito completamente.
      L’interesse generale è ad evitare che imprese italiane prediligano i mercati organizzati esteri e a fare il possibile affinché le imprese straniere scelgano di collocarsi sulla borsa italiana.
      Per il resto rilevo solo che notoriamente l’appeal delle azioni di risparmio è davvero modesto.
      Per

    • Carlo Emanuele Pupo

      Mi scusi per il ritardo nella risposta.
      Lei ha ragione, la figura 1 viene proposta priva di riferimenti necessari perché possa essere apprezzata pienamente, ma deve considerare che lo spazio a disposizione era limitato. Posso però qui aggiungere che è stata realizzata avendo come riferimento due gruppi di 538 imprese, quotatesi negli Stati Uniti in un arco temporale che va dal 1980 al 2017.
      Per quanto riguarda Facebook Inc. i progetti concernenti il metaverso hanno iniziato a delinearsi 6 anni dopo la quotazione, e ciò parrebbe dunque confermare le conclusioni cui sono giunto.

  2. Carlo

    La figura 1, senza alcun tipo di contestualizzazione né di controllo statistico, significa molto poco.

    In sostanza si tratta di poter controllare una società pur possedendo solo una quota di minoranza.
    Cui prodest? A quali esigenze (di chi?) andrebbe in contro e perché? L’articolo non entra in alcun dettaglio.

    Come si può fare l’esempio di Facebook, senza ricordare che proprio quella struttura di controllo ha consentito al fondatore di bruciare miliardi in un progetto (il metaverso) in cui nessuno sembra più credere?

    Siamo sicuri che sia auspicabile avere più casi simili, consentire cioè a chi detiene una minoranza di compiere scelte azzardate e distruttive senza che gli altri investitori possano fermarlo?

  3. Marco Bigelli

    Le imprese nazionali non vanno al Nasdaq o al Nyse o a Singapore, ma ad Amsterdam, dove sono andati già il gruppo Fiat, Mediaset e Campari.
    Perchè? Perché hanno loyalty shares che arrivano a 5 voti dopo 5 anni e 10 voti dopo 10 anni.
    L’Italia gli corre purtroppo dietro come ha fatto con l’introduzione delle Loyalty shares quando ha capito che se ne andava il gruppo Fiat. Con le multiple shares a 10 voti e le continue espropriazioni degli azionisti di minoranza che ne verranno, equivale a condannare a morte il mercato azionario italiano nel lungo periodo.
    Le imprese americane multiple voting non sono affatto paragonabili a quelle che stiamo per introdurre noi. Hanno la sunset covenant. Se i fondatori muoiono o vendono o sono dichiarati “insane”, tornano ad avere un’azione, per cui hanno durata limitata e volta a tenere al vertice di comando i fondatori supercapaci quando continui aumenti di capitale li farebbero diluire e perdere il controllo a favore di soggetti più scarsi. Le hanno infatti inventate i VC per tenere fondatori come Brin e Page o Zuckenberg al controllo delle loro imprese. Quando però il fondatore muore, il controllo non va al figlio o al nipote o al pronipote. magari incapace, come accadrà da noi, e la società torna ad essere una public company scalabile dal miglior offerente. Il fatto che le multiple US performino di più è trainato dal sottoinsieme di poche tech, perché ad inventarle le multiple con sunset covennar è stata Google, le ha copiate Facebook, LinkedIn, Zynga, Groupon, ecc. e quindi la extra performace di queste imprese tech influenza in positivo la media dell’insieme delle multiple shares.
    Le nostre sono paragonabili alle multiple shares dei paesi nordici. Ma da loro la giustizia funziona molto velocemente (non in 20 anni o con prescrizione) e le espropriazioni degli azionisti di minoranza sono alquanto rare in quanto chiunque, anche con una sola azione può esperire un’azione di responsabilità verso gli amministratori, i quali sono responsabili anche per colpa lieve. In tutte le misurazioni, quei paesi hanno il massimo livello di law enforcement contro il livello minimo del nostro. Noi non ce le possiamo permettere…
    In presenza di regulators nazionali ed europei ahim’ short termist, penso che la via del Nasdaq e del Nyse non la prenderanno le imprese italiane ma i risparmiatori italiani…

    • Carlo Emanuele Pupo

      Buonasera Professore, mi scusi per il ritardo nella risposta.
      Come ha potuto vedere, nella ultime righe dell’articolo anche il sottoscritto sottolinea l’opportunità di imporre l’adozione di sunset clause, anche se per ragioni di sintesi il riferimento è unicamente alle clausole basate sul dato temporale.
      Per il resto non v’è dubbio che permane in ogni caso la necessità di fare quanto possibile affinché nel nostro Paese si addivenga a una significativa riduzione dei possibili benefici privati del controllo.

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