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Riglobalizzazione selettiva: un “terzo incomodo” tra Cina e Stati Uniti? *

La spinta verso la globalizzazione “selettiva” non porterà necessariamente i paesi ad aggregarsi sotto la sfera di influenza americana o cinese. Molti stati non vogliono né possono scegliere uno schieramento: potrebbe diventare un fattore equilibratore.

Quando un paese controlla il proprio futuro

Opinione diffusa è che, sotto la spinta di alcune delle grandi economie emergenti, si stia profilando un nuovo ordine mondiale in virtù del quale la globalizzazione non sarà più la stessa. È molto probabile che questo avvenga, ma non necessariamente come molti si aspettano, e cioè attraverso la divisione del mondo tra gli alleati della Cina e quelli degli Stati Uniti. Mentre, infatti, Pechino e Washington cercano di compattare i loro schieramenti, un terzo gruppo di paesi “non allineati” potrebbe avere un importante ruolo equilibratore negli anni a venire.  

La vulgata è nota. In un’era di cambiamenti tecnologici senza precedenti, un paese può essere in controllo del proprio futuro economico e politico solo se ha pienamente accesso alle nuove tecnologie e le sue imprese possono prevalere nella competizione con quelle degli altri paesi solo se le seconde possono essere escluse dalle tecnologie create dalla prime. Inoltre, nella misura in cui le nuove tecnologie possono essere trasformate in prodotti finali soltanto a partire da determinati minerali e beni intermedi attraverso processi produttivi spesso energivori, controllare il proprio futuro vuol dire anche poter contare su catene di fornitura affidabili e resilienti. Approvvigionarsi sulla base del prezzo più basso potrebbe non valere la pena se il fornitore non è affidabile, magari perché sotto l’influenza di un paese ostile. Sborsare di più è il sacrificio richiesto per restare in controllo. Sotto questo profilo, “friendshoring” (rifornirsi da fornitori di paesi amici), “de-risking” (abbandonare fornitori in paesi rischiosi) e “de-coupling” (rendersi indipendenti da fornitori in paesi ostili) sono il prezzo da pagare per difendere la propria “autonomia strategica” economica e politica. 

La spinta verso una globalizzazione “selettiva” porterà necessariamente i paesi ad aggregarsi sotto due principali sfere di influenza – americana e cinese – in competizione per l’egemonia economica, politica e culturale? Non necessariamente: molti paesi non vogliono né possono scegliere nettamente uno schieramento, e ciò sarà origine di frizioni e incomprensioni. Potrà però trasformarsi anche in un importante fattore equilibratore.

Il nodo nevralgico dello stretto di Malacca

In questo senso, i paesi più interessanti si affacciano sulle rotte del commercio via mare che va dalla Cina all’Europa, in particolare Corea del Sud, Giappone, Filippine, Vietnam, Singapore, Malesia, Indonesia, Tailandia e India. Si tratta di economie industrializzate o emergenti, spesso con un altissimo potenziale di crescita. I flussi commerciali tra questi paesi hanno come nodo nevralgico lo stretto di Malacca, che rappresenta un “collo di bottiglia” per gli scambi tra Oriente e Occidente.

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I cosiddetti “colli di bottiglia” del trasporto marittimo globale sono stati per decenni oggetto di considerazioni geostrategiche come punti di passaggio obbligati per il commercio globale. La loro importanza è legata al fatto di non avere alternative marittime economicamente attraenti. In tale ottica, lo stretto di Malacca, che collega gli oceani Pacifico e Indiano, è il collo di bottiglia più importante del mondo: la sua chiusura costringerebbe a dirottare il relativo traffico marittimo su distanze molto più lunghe con la conseguente perdita di tempo ed efficienza.

La figura 1 rappresenta la rotta seguita da un container trasportato via mare dal porto di Xingang nel nord della Cina al porto di Danzica in Polonia. Si tratta di un percorso di cinquantadue giorni in otto tappe, con scali intermedi nei porti di Qingdao (Cina), Gwangyang (Corea del Sud), Ningbo (Cina), Yantian (Cina), Tanjung Pelepas (Malaysia), Algeciras (Spagna) e Bremerhaven (Germania). Il porto di Tanjung Pelepas è situato in prossimità dello stretto di Johor, che separa la Malaysia da Singapore, e dello stretto di Malacca. Rappresentando la principale via di comunicazione tra l’oceano Indiano e l’oceano Pacifico, lo stretto di Malacca è una delle più antiche e importanti rotte marittime del mondo. È un passaggio a tratti molto angusto, se si pensa che nelle vicinanze di Singapore raggiunge l’ampiezza minima di 2,8 chilometri, una vera sfida per la navigazione data l’intensità del traffico navale. La sua importanza è tale da definire uno standard globale per la costruzione di navi. Poiché in alcuni tratti lo stretto raggiunge la profondità minima di 25 metri, il cosiddetto “Malaccamax” è soddisfatto solo da navi le cui dimensioni massime non superano 470 metri di lunghezza, 60 metri di larghezza e 20 metri di pescaggio, per una portata lorda di circa 300 mila tonnellate.

Figura 1 – Viaggio di un container dalla Cina alla Polonia con il collo di bottiglia di Malacca

Fonte: https://www.maersk.com/local-information/shipping-from-asia-pacific-to-europe/ae10-westbound .

L’Europa e l’Indo-Pacifico

I paesi che gravitano intorno allo stretto di Malacca sono parte dell’Indo-Pacifico, ossia quella grande regione che, nelle parole di Josep Borrell, capo delle relazioni internazionali della Commissione europea, “è il luogo in cui si deciderà il futuro del nostro pianeta e della storia”. Alcuni numeri, riportati da Borrell in occasione dell’Indo-Pacific Forum tenutosi a Bruxelles lo scorso novembre, aiutano a spiegare l’affermazione. L’Indo-Pacifico crea il 60 per cento del prodotto interno lordo globale. È la seconda destinazione delle esportazioni dell’Ue e ospita quattro dei dieci principali partner commerciali dell’Ue. Tra il 2011 e il 2021 il commercio con la regione indo-pacifica è cresciuto fortemente, con un aumento del 64 per cento per le importazioni e del 44 per cento per le esportazioni. L’Ue è il principale partner per gli investimenti esteri diretti (Ide) della regione indo-pacifica: il totale degli Ide nell’area è stato di un trilione di euro nel 2020. Data la crescita dinamica della regione, entro il 2030 la stragrande maggioranza (cioè il 90 per cento) dei 2,4 miliardi di nuovi membri della classe media proverrà da questa regione. Da qui passano le arterie dell’economia globale: un terzo del commercio marittimo globale in volume viaggia attraverso il Mar Cinese Meridionale e il 40 per cento del commercio dell’Ue attraverso lo stretto di Taiwan, quindi in larga parte anche per lo stretto di Malacca. A questo si aggiungono la crescente capacità produttiva, la dinamica demografica e l’abbondanza di risorse naturali, specialmente di quelle necessarie alla transizione ecologica.

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L’Indo-Pacifico è una “terra di mezzo” tra Estremo oriente e Europa, su cui si affacciano sia Cina che Stati Uniti. Per entrambi sarebbe di grande importanza strategica poter contare sulla sua amicizia esclusiva. I paesi indo-pacifici sembrano invece ritenere che sia nel loro interesse non concedere alcuna esclusiva, mantenendosi, laddove possibile, neutrali, in modo da giocare un ruolo pivotale di stabilizzazione del nuovo ordine globale. Una neutralità, tuttavia, di nuovo “selettiva”, da rimodulare a seconda del loro specifico interesse economico e strategico riguardo ai temi di volta in volta sul tappeto. 

* Questo articolo riprende le idee del libro Riglobalizzazione. Dall’interdipendenza tra Paesi a nuove coalizioni economiche, Egea, Milano 2022, le successive riflessioni sviluppate per l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e alcuni contenuti degli interventi fatti nell’ambito del Festival Internazionale dell’Economia 2023 di Torino.

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  1. Savino

    Si troverà bene chi praticherà una politica estera neutrale agli schieramenti già fossilizzati col conflitto in Ucraina, laddove i due nuovi blocchi hanno sostituito i due vecchi blocchi. Si continua a perseverare in una visione manichea dell’ordine mondiale che è assai semplicistica. Nel contesto odierno, dove neanche più la Svizzera fa la parte della Svizzera e dove l’iniziativa vaticana è la più politica di tutte, oltre l’applicazione dei principi dell’etica e della spiritualità, ai singoli Stati, soprattutto se nelle condizioni dell’Italia, è richiesto quasi un isolazionismo buono, il saper diventare uno Stato credibile e affidabile, con tutta una serie di riforme, per farsi apprezzare in ambito globale e cosmopolita.

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