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Sui crediti di imposta gli Stati Uniti sono un esempio *

Negli Usa i crediti di imposta cedibili o rimborsabili sono un caposaldo delle politiche di rilancio dell’economia e di sostegno al reddito dei lavoratori poveri. In Italia, invece, reddito di cittadinanza e crediti su bonus edilizi sono malvisti.

Come funziona il programma Eitc

La narrazione prevalente sul Reddito di cittadinanza e sui crediti di imposta legati ai bonus edilizi è che si tratti di provvedimenti poco efficaci, insostenibili per le finanze pubbliche e troppo esposti ad abusi e truffe. Senza entrare nel merito delle due misure, è opportuno sottolineare che i crediti fiscali cedibili sono largamente diffusi in altri campi, come l’industria dello spettacolo, rappresentano uno dei pilastri del recente piano di rilancio dell’economia statunitense noto come Inflation Reduction Act (Ira) e, soprattutto, sono lo strumento principale per il sostegno al reddito degli “occupabili” americani: il programma Eitc (earned income tax credit), che è pressappoco la versione americana del nostro Reddito di cittadinanza. Negli Usa, dunque, sono state elaborate misure di politica economica efficaci e sostenibili proprio partendo da quelli che da noi sono considerati due temi di polemiche.

Il programma Eitc esiste almeno dalla prima metà degli anni Settanta, ma vanta precedenti fin dagli anni Venti e utilizza proprio i crediti fiscali cedibili per integrare il reddito di chi non guadagna abbastanza per vivere in modo dignitoso. Il funzionamento è semplice: per ogni dollaro guadagnato lavorando (anche in proprio), lo stato riconosce un credito di imposta che varia con il livello di reddito e la composizione della famiglia e che si azzera oltre una certa soglia. Visto che è improbabile che i beneficiari possano accumulare oneri fiscali superiori ai crediti riconosciuti tramite l’Eitc, le somme possono essere rimborsate, cedute ad altri contribuenti o monetizzate presso banche e altre agenzie autorizzate (seppure con commissioni non trascurabili).

L’Eitc prevede una fascia di reddito iniziale (phasing in), che a seconda dei carichi familiari va attualmente da circa 10 mila a 15 mila dollari l’anno, nella quale il sussidio cresce in proporzione ai proventi ottenuti direttamente dal beneficiario col proprio lavoro. Ciò stimola la ricerca di occupazioni più remunerative, scoraggiando invece impieghi precari e mal retribuiti, che fruttano sussidi inferiori. L’incentivo non basta a risolvere il problema della “cattiva” occupazione, ma almeno aiuta a combatterlo, al contrario della penalizzazione prevista dal vecchio Reddito di cittadinanza e dal nuovo Assegno di inclusione (con una piccola franchigia) per chi ha una occupazione.

All’area del phasing in segue un intervallo di reddito entro il quale l’Eitc è fisso e infine è prevista una fascia di phasing out, con una percentuale di credito che diminuisce col reddito guadagnato direttamente. Per le famiglie numerose l’Eitc si annulla attorno ai 50 mila euro l’anno.

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Una misura che piace a quasi tutti

Per certi versi, l’Eitc svolge un ruolo simile alle nostre detrazioni per il reddito da lavoro, al bonus “100 euro” e al taglio del cuneo fiscale, ma con due importanti differenze.

La prima è che il nostro sistema prevede una no-tax area (al di sotto degli 8.714 euro) che non genera alcuna “capienza” per eventuali sconti fiscali e quindi non consente di integrare il reddito dei più poveri tramite sconti fiscali. La seconda è che i nostri bonus e gli ultimi tagli fiscali presentano forti discontinuità al variare del reddito, che portano al paradosso che i percettori di un reddito lordo superiore a determinate soglie finiscono per incassare redditi netti inferiori a chi guadagna redditi lordi inferiori, ma integrati dai bonus. Ciò comporta disincentivi perversi (e sostanzialmente casuali) a incrementare il proprio reddito.

Rispetto ad altre forme di interventi pubblici, i crediti fiscali lasciano il contribuente abbastanza libero di scegliere quali specifici beni pubblici e “di merito” acquisire (seppure all’interno di categorie ben precise) e soprattutto comportano un indebitamento sull’interno e minori oneri finanziari per lo stato (perché le riduzioni di imposte sono dilazionate nel tempo senza interessi). Non a caso, negli Usa il programma Eitc ha sostenitori sia tra i progressisti, che valutano positivamente i suoi effetti sul livello di vita delle famiglie più povere, sia tra i conservatori, che ne apprezzano il carattere individualistico, con l’eccezione degli ultraliberisti, che contestano la sua natura di sgravio fiscale. Per questo, l’Eitc e il programma gemello riservato alla cura dei figli (Ctc) sono sopravvissuti, con adattamenti e cambi di denominazione, ad amministrazioni di qualsiasi orientamento: da Nixon a Reagan, per arrivare ad Obama e Trump. La misura ha resistito nonostante comporti un tasso di “errori” (non necessariamente dolosi) valutato tra il 20 e il 30 per cento dei casi, ossia molto superiore agli abusi rilevati su bonus edilizi e Reddito di cittadinanza.

La cessione dei crediti

Ma la caratteristica fondamentale del Eitc e degli altri crediti fiscali previsti dal regime fiscale Usa è la loro trasferibilità, anche parziale, ad altri soggetti. Nel 2021, l’Eitc ha distribuito a circa 30 milioni di beneficiari 71 miliardi di dollari e, di questi, 69 sono stati ceduti e monetizzati. Dopo l’approvazione dell’Ira, le condizioni per la cessione sono estremamente ampie: sostanzialmente sussiste l’obbligo di pagamenti in contanti e il divieto di trasferire i crediti a particolari entità (come gli enti pubblici e le parti correlate). Nelle Faq dell’Irs (l’Agenzia delle entrate americana) l’intera materia è condensata in appena 14 punti, per un totale di un paio di pagine. 

La normativa fiscale sulla cessione dei crediti ha consentito lo sviluppo di agenzie che offrono anticipazioni sui crediti a cui si ha diritto (in alcuni casi gratuitamente, soprattutto se il contribuente vi si rivolge anche per la compilazione della propria dichiarazione dei redditi) e di piattaforme per lo scambio dei crediti fiscali. In questo modo, si è sviluppato un mercato per asset molto sicuri (a parte possibili contestazioni e abusi) che offre impieghi interessanti per chi vuole “diversificare il portafoglio di investimenti; promuovere le arti e il cinema, le energie rinnovabili, la riabilitazione storica, gli alloggi a prezzi accessibili o altri settori e cause che si intendono sostenere; raggiungere obiettivi di sostenibilità e requisiti ambientali, sociali e di governance”, come recita la pubblicità di una delle tante piattaforme disponibili sul web.

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La pessima fama di cui godono i crediti fiscali in Italia deriva anche dal loro trattamento statistico ai fini del calcolo dei parametri di Maastricht. Secondo l’Esa 2010 (par. 20.168), in mancanza di cessione, i crediti determinano una riduzione delle imposte pari al solo ammontare che rientra nella capacità fiscale dei beneficiari (ovvero se non eccede i rispettivi oneri fiscali). Il resto diventa un risparmio per lo stato, che però scompare con la cessione, perché si suppone che il cessionario possa sfruttare i crediti interamente (altrimenti non li acquisterebbe). In tutti i casi, lo sconto fiscale viene registrato nell’anno in cui ha origine e non quando diventa effettivamente esigibile, gonfiando automaticamente l’indebitamento negli anni di competenza. Per un paese come il nostro, che viaggia sempre sul limite del 3 per cento di deficit sul Pil, anche questa semplice variazione e redistribuzione degli sconti fiscali nel tempo può fare la differenza. Tuttavia, qualche modesta revisione della norma (per esempio, il tetto di spesa previsto nell’Ira e per quasi tutti i “bonus” precedenti) avrebbe risolto il problema. Invece, col sostanziale blocco delle cessioni, lo stato sta mettendo a rischio la propria credibilità.

Forse, alla luce dei successi statunitensi, sarebbe il caso di ripensare sia le norme sulla cessione dei crediti fiscali generati dai bonus edilizi, sia quelle sui sussidi per chi, pur essendo teoricamente in grado di lavorare, non trova una occupazione dignitosa. A differenza di ciò che vale a scuola, nel campo delle politiche economiche copiare dagli altri è legittimo e a volte può essere un’ottima soluzione.

* L’articolo riporta esclusivamente le opinioni dell’autore e non coinvolge assolutamente le organizzazioni con cui collabora.

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Il Punto

  1. Savino

    Non va bene nè un’economia basata sui debiti dei privati, nè una fondata sui sussidi assistenziali a pioggia. Per il rilancio, bisogna puntare sull’aumento dei salari, la tassazione delle rendite, l’accessibilità dei prezzi e più concorrenza. Solo queste sono le ricette se si vuole far girare l’economia. Diversamente, gli obiettivi sono altri e sono molto orientati e sbilanciati a favore di alcune parti e contro altre parti e questa non mi pare un’idea di democrazia e di liberalismo corretta.

  2. Paolo

    E’ ragionevole ritenere che il successo delle detrazioni fiscali in USA sia correlato alle loro caratteristiche, ovvero trasparenza, esclusione degli evasori, semplicità del sistema ed effettiva erogazione ai poveri.
    Queste caratteristiche (a parte l’ultima) caratterizzavano anche le detrazioni fiscali per la casa italiane, nelle versioni pre-superbonus, ma con l’emanazione di quest’ultimo sono state invece perdute tutte (opaco in merito agli abusi edilizi, spaventosamente complesso e modificato oltre 30 volte, nonchè grazie alla cessione diretta alle imprese accessibile anche ad evasori totali o semi-totali, oltre che a super-ricchi possessori di ville di castelli).
    Fino a un paio d’anni fa infatti le detrazioni del 50%-65% godevano di giudizi estremamente positivi, essendo un meccanismo win-win dal punto di vista fiscale, oltre che ad elevata materialità. Non parliamo poi del bonus facciate, che sembrava creato apposta per favorire i truffatori.
    Sotto la pressione del disastro contabile il governo ha trovato il coraggio di fermare il dissanguamento, ora deve trovare il coraggio di ripristinare le caratteristiche iniziali nelle detrazioni superstiti, cui far recuperare la credibilità che hanno sempre avuto.
    L’idea di convertire il reddito di cittadinanza in cedole di sconto fiscale cedibili sul modello USA è condivisibile: ciò obbligherebbe gli esercenti che li accettano a versare le tasse sull’introito, costituiendo un’ulteriore forma di lotta all’evasione e generando benefici per tutti.

  3. Giac

    Gli USA sono un paese serio.
    Nulla hanno a che vedere gli Eitc (earned income tax credit) con il RdiC e con altre truffe italiane per fannulloni avvezzi allo scambio di voto.

  4. Enrico Motta

    Da come è descritto in questo articolo, l’Eitc non assomiglia per niente al nostro reddito di cittadinanza. Il primo riguarda i lavoratori a basso reddito, il secondo alcune fasce tra chi non lavora. Bella differenza! Ci credo che al termine dell’articolo sia stato aggiunto l’asterisco.

    • Enrico D'Elia

      Per contrastare la povertà gli Usa ricorrono a vari strumenti che somigliano molto di più al nostro vecchio RdC e sono dedicati a chi non lavora. Nell’articolo ho accennato al CTC per le famiglie con figli, ma esiste anche il TANF (aiuto temporaneo per le famiglie) e ci sono sussidi statali per disoccupati e poveri. Insomma il RdC non è certamente una peculiarità italiana.

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