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Sale in cattedra l’università telematica

Il Rapporto Anvur sul Sistema della formazione superiore e della ricerca mette in luce i cambiamenti registrati nell’ultimo decennio nell’università italiana. I più evidenti sono due: l’ampliarsi del divario Nord-Sud e l’affermarsi degli atenei telematici.

Il divario geografico nel Rapporto Anvur

L’ultimo Rapporto Anvur sul Sistema della formazione superiore e della ricerca, pubblicato a giugno 2023, fornisce una descrizione accurata dello stato attuale del sistema universitario italiano e ne mette in luce i cambiamenti registrati nell’ultima decade. Limitandosi alla formazione e agli studenti, tra i risultati presentati, emergono almeno due peculiarità. La prima deriva dal confronto tra le aree geografiche del paese, riassunto in tabella 1; la seconda deriva dal confronto tra università tradizionali e università telematiche, riassunto in tabella 2. 

Il divario geografico rappresenta un fenomeno noto che ha continuato ad allargarsi nel corso dell’ultimo decennio a svantaggio delle regioni del Sud. Al contrario, il notevole miglioramento delle performance delle università telematiche rappresenta un dato di assoluta novità.

Il divario Nord-Sud risulta particolarmente grave qualora si consideri il numero di iscritti totali: sono aumentati considerevolmente al Settentrione, mentre sono addirittura diminuiti quasi nelle stesse proporzioni nel Meridione (dall’anno accademico 2011-2012 all’anno accademico 2021-2022 il numero di iscritti nelle università del Nord-Ovest aumenta del 17,2 per cento e si riduce del 16,7 per cento per quelle del Sud). Una simile tendenza contrapposta si osserva nel numero degli immatricolati (aumentano del 15,7 per cento nelle università del Nord-Ovest e si riducono del 2,2 per cento per le università del Sud). Gli atenei del Sud si trovano a fronteggiare una domanda fortemente ridotta nonostante gli sforzi compiuti nella diversificazione dell’offerta formativa – come si evince dall’incremento del numero di corsi di studio che raggiunge il valore massimo del +13,7 per cento al Sud contro il +9,3 per cento al Nord-Ovest – e nonostante il miglioramento del rapporto “numero studenti-numero docenti” registrato in questa macroarea, a cui ha contribuito l’incremento nel numero di professori e ricercatori reclutati rispetto alla riduzione del numero degli iscritti (un valore non elevato del rapporto “numero studenti-numero docenti” concorre a determinare una più agevole interazione fra le due figure).

Il caso delle università telematiche

Allo stesso tempo, si assiste a una riduzione del divario tra università tradizionali e università telematiche. Queste ultime crescono, e crescono molto più di quelle tradizionali, soprattutto per numero di iscritti (+410,9 per cento per le telematiche e +0,1 per cento per le tradizionali), di immatricolati (+444 per cento per le telematiche e +11,49 per cento per le tradizionali) e di offerta formativa (il numero di corsi di studio proposti aumenta del 113 per cento per le telematiche e del 10,18 per cento per le tradizionali). Una tendenza opposta si osserva in merito al rapporto studenti-docenti, indicatore che tuttavia per natura stessa delle università telematica potrebbe avere minore rilevanza.

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È poi interessante notare come, nonostante la distribuzione per fascia d’età degli iscritti nelle università telematiche sia speculare rispetto alla stessa distribuzione nelle università tradizionali — con la maggiore percentuale di iscritti concentrata nella fascia di età “31 anni e oltre” nelle prime contro la maggiore percentuale di iscritti concentrata nella fascia di età “fino ai 23 anni” nelle seconde, anche tale asimmetria stia iniziando ad assottigliarsi. Le università telematiche vedono ridursi la percentuale di iscritti più adulti a favore di un aumento della percentuale di più giovani. Il riproporzionamento segnala l’evoluzione del bacino di utenza di queste università, che attraggono una quota crescente di neodiplomati.

Aumentare la qualità dei corsi online

Si riduce quindi la competitività sul piano geografico, ma aumenta la competitività sul piano delle tecnologie di produzione dell’istruzione universitaria, probabilmente favorita dalle mutate abitudini di vita a seguito della pandemia. Occorre allora riflettere su quali possano essere le conseguenze nel medio e lungo termine delle dinamiche in atto.

La riduzione della competitività su scala geografica tra gli atenei potrebbe tradursi nell’inasprimento delle disuguaglianze territoriali e in un ulteriore ostacolo allo sviluppo. Il graduale ridursi del numero di iscritti nelle università del Sud potrebbe infatti riflettersi in un depauperamento del capitale umano e in ridotte potenzialità di crescita per questa area del paese, già alle prese con un preoccupante calo demografico (si vedano su questo i rapporti Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno). Sarebbe dunque auspicabile invertire la tendenza, garantendo un sistema universitario più omogeneo dal punto di vista della qualità della ricerca e della didattica e incentivando la buona governance degli atenei, al fine di rendere le università più attrattive non solo per gli studenti, ma anche per il personale docente da reclutare.

Il rafforzamento della competitività tra università tradizionali e telematiche può essere invece un segnale di evoluzione del sistema nel suo complesso. La disponibilità di corsi di laurea integralmente online contribuisce ad aumentare l’insieme di opportunità a disposizione degli individui (giovani e meno giovani), soprattutto per i lavoratori o per coloro che hanno vincoli legati al luogo di residenza. Tuttavia, i corsi online, essendo privi di interazione personalizzata e coerente tra il docente e lo studente, richiedono agli studenti di fare affidamento su un’elevata capacità di apprendimento autodiretto. La letteratura scientifica sugli esiti dell’istruzione universitaria online (che prescinda dall’adozione di corsi online per far fronte alle emergenze della pandemia) è ancora limitata e si focalizza principalmente su esperimenti condotti negli Stati Uniti. Tende tuttavia a dimostrare come l’istruzione a distanza possa generare una forma di “inclusione predatoria”: aumenta la probabilità di accesso all’istruzione terziaria, ma si tratta di un accesso associato a maggiori rischi per gli studenti, quali ad esempio peggiori risultati accademici nel breve periodo e peggiori risultati economici nel lungo periodo rispetto a studenti con simili caratteristiche che optano per corsi tradizionali (si veda ad esempio qui, qui e qui).

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Quale strada intraprendere allora? Sembrerebbe opportuno incoraggiare la competitività tra università telematiche e tradizionali al fine di garantire le stesse opportunità di accesso all’istruzione terziaria a una più ampia fascia della popolazione. Allo stesso tempo, sarebbero auspicabili interventi che mirino a migliorare la qualità della didattica impartita a distanza e sviluppare metodi di insegnamento online più efficaci per limitarne i rischi, anche in ragione del fatto che corsi di laurea integralmente o parzialmente online potrebbero presto costituire una parte non trascurabile dell’offerta formativa proposta dalle stesse università tradizionali.

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Provaci ancora, Lindner

  1. Firmin

    Qualche lettore ha mai sfiorato da lontano un ateneo telematico? Al confronto la vecchia scuola radio-elettra di Torino era Yale. Solo la spregiudicatezza e la miopia di una serie di ministri dell’istruzione da Berlinguer in poi ha potuto consentire la proliferazione di queste iniziative, spesso ai limiti della truffa nei riguardi degli studenti. Provate a presentarvi con una laurea telematica ad un colloquio di lavoro e vedrete come sarete accolti.

    • Michele C.

      La realtà è meno banale di come la dipinge lei

    • davide isidoro pitasi

      sono studente di un’università telematica l’Unitelma Sapienza e posso assicurare che gli esami non sono una passeggiata come alcuni vogliono far credere: anzi per alcuni esami si studia di più rispetto ad una tradizionale…come per tutte le cose si fa tutta l’erba un fascio considerato che in passato ci sono stati scandali che hanno investito università storiche e ve ne sono alcune note per essere esamifici come lo sono alcune telematiche: per cui eviterei generalizzazioni e supposizioni del tipo provate a presentarvi con una laurea telematica ad un colloquio di lavoro e vedrete come sarete accolti poichè non corrisponde al vero: anzi una volta ad una selezione per un master mi è stato detto semmai che le aziende non guardano minimamente dove ci si è laureati, ma bensì il voto e se si è usciti fuoricorso oppure no…tutto il resto è noia degna della società conservatrice che c’è in italia…

  2. Marco

    Non sono preoccupato dell’impatto sui colloqui di lavoro. Sono preoccupato di ciò che ho visto in diversi atenei telematici, che appaiono finalizzati a fornire semplicemente un titolo di studio. Modelli di reclutamento studenti, modelli organizzativi di funzionamento, modelli didattici, (assenza di) rapporto tra didattica e ricerca : tutto appare subordinato allo scopo principale di massimizzare i profitti degli investitori.
    Come giustamente suggerisce l’Autrice, il problema non è l’università telematica in sé (chi conosce la UNED spagnola e il suo lavoro meritorio lo sa): il problema, a mio avviso, è la logica di mero business resa possibile dai successivi interventi legislativi.

  3. PIerluigi

    Che articolo e’ ?
    Tralasciando il tema nord sud non capisco come non si sia scelto di analizzare la qualità delle università telematiche contrapponendole alle università tradizionali senza minimamente fare una analisi sulla collettività degli iscritti e performance degli stessi.
    Tra l’altro vengono menzionate le università telematiche statunitensi che sono ben altra cosa rispetto a quelle domestiche.

  4. Giacomo

    La differenza la farà la scelta etica dello studente, se impara onestamente o se impara a barare, indipendentemente da quanto possa aver pagato nel pubblico o nel privato.

  5. Marco Chiandoni

    Ho frequentato un corso di laurea in scienze politiche, la triennale presso una università pubblica classica, con lezioni frontali e un corso di laurea magistrale presso una università telematica, presso la Guglielmo Marconi.
    Dal punto di vista qualitativo delle lezioni non ho trovato differenze, anzi, in più occasioni ho apprezzato gli spunti di riflessione forniti dai docenti della telematica e le pronte risposte ai quesiti posti via mail, così come le comunicazioni relative a eventuali variazioni di orario o data degli esami. Che presso l’università pubblica invece queste comunicazioni non le forniva con tempestività. Dal punto di vista degli esami pure non ho riscontrato grosse differenze.ho visto più esami farsa presso le università pubbliche, sinceramente.
    La mia esperienza alla Marconi prevedeva due opzioni di esame: scritto con tre domande aperte e un’ora e mezzo di tempo oppure tre domande orali, per una durata di circa 20, 25 minuti.
    Io credo che le telematiche portino una ventata di novità importante, anche per chi non ha avuto modo o voglia di studiare nel tempo “giusto”.
    Trovo importante un controllo di qualità in tutti gli atenei e non dimentichiamo che la media dei voti è in rialzo perché da quello che ho capito gli atenei possono beneficiare di maggiori fondi se gli studenti si laureano in tempo e con medie alte.
    Riassumendo la mia posizione a riguardo: bene la competizione, si a controlli severi e possibilmente divieto di superare gli esami solo con test a scelta multipla (certe telematiche offrono solo questa opzione).
    Sulla qualità non sarei così sicuro che la qualità penda decisamente a favore delle università pubbliche.
    Conta infine non tanto il titolo, ma quanto effettivamente si sia appreso non al fine di superare l’esame ma per spendere la propria competenza nella vita lavorativa e non.
    Grazie per questi dati, che ho trovato interessanti. Forse il tanto declamato diritto allo studio potrebbe trovare una risposta grazie anche alla combinazione di queste due modalità didattiche.

    • davide isidoro pitasi

      esatto: tutti che parlano contro la mercificazione dimenticando che ormai gli atenei hanno autonomia finanziaria e si reggono solo in parte sull’ffo del ministero…per cui o guadagnano oppure chiudono…

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