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Redditi finanziari nella delega fiscale: novità e un’occasione persa

La delega fiscale contiene alcune importanti novità per la determinazione della base imponibile dei redditi finanziari. Resta invece la differenziazione delle aliquote. E si è persa un’occasione per la riforma della tassazione della previdenza complementare.

La tassazione dei redditi finanziari  

Sulla tassazione dei redditi delle attività finanziarie, la delega fiscale contiene, da un lato, alcune importanti novità per la determinazione della base imponibile, che andranno tuttavia attentamente valutate dopo la stesura dei decreti legislativi. Dall’altro, mantiene l’attuale differenziazione delle aliquote, anziché prevedere il loro auspicabile allineamento. A ciò si affianca un’importante occasione mancata per la riforma della tassazione della previdenza complementare.

L’uniformità delle basi imponibili  

Attualmente, a seconda del regime a cui sono sottoposti (regime della dichiarazione, del risparmio amministrato e del risparmio gestito), i redditi finanziari vengono tassati al momento in cui maturano o al momento del realizzo. La differenza rileva in particolare per le plusvalenze, tassate alla maturazione solo nel regime del risparmio gestito e nella fase di accumulo della previdenza integrativa. Diverse, a seconda del regime scelto e del tipo di reddito (“reddito di capitale”, cioè interessi e dividendi, e “reddito diverso”, tipicamente le plusvalenze), sono anche le possibilità di compensazione delle perdite e dei costi inerenti. Da decenni si discute di come razionalizzare i vari sistemi, per quanto riguarda sia il superamento della distinzione fra redditi di capitale e diversi, sia l’uniformità del timing di tassazione (al maturato o al realizzato). La legge delega mantiene il regime vigente di imposta cedolare sostitutiva dell’Irpef e relative addizionali e opta decisamente per il criterio del realizzo: sarà tassato il risultato netto realizzato annualmente, senza più distinguere fra redditi di capitale e redditi diversi e consentendo la deducibilità delle perdite e dei costi inerenti. Come mostra l’ampio e approfondito dibattito che su questi temi si è sviluppato nell’ultimo ventennio, i problemi che i decreti delegati dovranno risolvere, dato il testo in più punti generico della delega, sono molteplici e delicati. In particolare: a) la delega non chiarisce come il nuovo sistema di tassazione per cassa conviverà con gli attuali regimi della dichiarazione, del risparmio amministrato e di quello gestito. Il testo, di per sé, è compatibile con il loro mantenimento. Tuttavia, solo nel primo regime (che però è il più complesso) sarà possibile una piena e diretta compensazione dei risultati positivi e negativi e dei relativi costi. Negli altri regimi, nel caso in cui il risparmiatore intrattenga rapporti con più intermediari o gestori, sarà necessario istituire un flusso informativo per conoscere le diverse posizioni e definire le modalità di compensazione dei risultati conseguiti in ciascuno di questi rapporti; b) la tassazione di un risultato complessivo netto dei redditi di natura finanziaria realizzati annualmente, con riporto in avanti delle eccedenze negative, comporterà inevitabilmente, a parità di altre condizioni, una perdita di gettito che sarà tanto più consistente quanto più integrale sarà la compensazione di perdite e costi e lungo il periodo di riporto delle eccedenze negative (la delega non specifica in proposito alcuna restrizione); c) dall’ampia letteratura sull’argomento è ben noto che riconoscere in modo generalizzato la compensazione di spese, minusvalenze e altre perdite con qualunque tipologia di provento finanziario, secondo un criterio di pura cassa, incentiva i risparmiatori ad adottare strategie di gestione dei portafogli volte a posticipare il prelievo, causando problemi nei flussi erariali, distorsioni rispetto all’efficiente allocazione dei capitali (lock in effect) e al corretto funzionamento dei mercati; d) la tassazione per cassa consente di mettere in atto facili strategie elusive, attraverso la strumentale realizzazione di minusvalenze per compensare altri proventi finanziari positivi (come interessi e dividendi), annullando l’imposizione su questi ultimi. Il tutto, tramite operazioni simultanee di vendita e acquisto dello stesso titolo (allo stesso prezzo), che lasciano invariato il valore del patrimonio. La legge delega, grazie a un emendamento parlamentare, specifica l’importanza di contenere gli spazi di elusione e di erosione connessi alla riforma prospettata, ma non indica gli strumenti per farlo. Su questo, come sugli altri profili, occorrerà attendere i decreti delegati.  

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Le aliquote  

Oggi, per una persona fisica che non esercita attività di impresa, i rendimenti finanziari (dividendi, interessi e plusvalenze) sono tassati generalmente con l’aliquota sostitutiva del 26 per cento. Tra le principali eccezioni ci sono i titoli di stato e assimilati (titoli emessi da organismi internazionali o stati esteri white list e il risparmio postale), che sono tassati al 12,5 per cento, e i Pir (Piani individuali di risparmio), che sono completamente esenti da tassazione. I redditi derivanti dall’impiego del capitale in attività finanziarie sono poi discriminati rispetto ad altri impieghi del capitale, in particolare nel settore immobiliare, ove le aliquote possono scendere al 21 per cento e al 10 per cento (a seconda che il canone sia libero o concordato). La delega fiscale non solo non interviene su queste disparità, che hanno poche giustificazioni economiche, ma addirittura le amplia, delineando la possibilità di estendere il regime della cedolare secca alle locazioni di immobili adibiti a uso diverso da quello abitativo. Da questo punto di vista, la delega fiscale del governo Meloni si scosta significativamente dal precedente Ddl di riforma fiscale del governo Draghi, che raccomandava di procedere verso una uniformità di aliquote tra i diversi impieghi del capitale, sia mobiliare che immobiliare. Il Ddl Draghi, almeno nella sua versione originaria, indicava un modello impositivo coerente, organico, ampiamente discusso e apprezzato nella letteratura e tra esperti e adottato anche in altri paesi: un modello “compiutamente duale”, dove tutti i redditi da capitale, da un lato, e da lavoro, dall’altro, sarebbero stati tassati in modo uniforme all’interno della loro categoria. La differenza di trattamento sarebbe stata fra categorie (imposta proporzionale sui redditi di capitale e progressiva sui redditi di lavoro e pensione), ma non all’interno di ciascuna di esse. La nuova delega non si ispira a nessun modello impositivo; conferma invece e rafforza le disparità di trattamento esistenti.  

La riforma della tassazione della previdenza complementare: un’occasione persa

Che la tassazione della previdenza complementare avesse bisogno di essere riformata è cosa nota tra gli esperti. Il sistema vigente corrisponde a un modello del tipo ETT, dove E sta per esenzione, T per tassazione agevolata e la sequenza ETT indica le tre fasi di vita del fondo. Nella fase iniziale (E) i contributi versati sono deducibili dal reddito del contraente (nel limite di 5.164,57 euro); nella seconda fase, di accumulo, i redditi finanziari maturati in capo al fondo sono tassati con l’aliquota agevolata (T) del 20 per cento (12,5 per cento sui titoli di Stato); nella terza fase, della prestazione, i proventi derivanti da contributi a suo tempo dedotti sono tassati all’aliquota agevolata del 15 per cento, che può scendere, a seconda della durata di permanenza nel fondo, fino al 9 per cento. Il regime ha molti difetti: riduce l’accumulazione nel fondo, è poco equo e risulta persino più favorevole di un sistema EET, che prevede l’esenzione dei contributi versati e dei proventi prodotti dal fondo, che possono dunque essere interamente cumulati, e la piena tassazione delle pensioni integrative (con le normali aliquote sui redditi personali). Il sistema EET è quello di riferimento nella maggior parte dei paesi europei e sarebbe stato quello più logico a cui tendere, anche per facilitare la portabilità dei fondi fra diversi paesi. La legge delega mantiene invece il sistema ETT, con la sola differenza di applicare la tassazione in fase di accumulo sul risultato realizzato netto annuale della gestione, anziché sul risultato maturato. Si tratta di una importante occasione di riforma persa.  

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Il Punto

  1. Savino

    La strada è corretta solo parzialmente. E’ importante, a mio avviso, che si riconosca la maggiore tassazione di proventi che sono diversi dalla remunerazione dei fattori produttivi tradizionali. Più che di redditi finanziari, però, sarebbe necessario parlare di patrimonio quale componente rilevante per la base imponibile, mentre, come è indicato nell’articolo, si lascia spazio a tutta una serie di sfumature di bilancio che appiattiscono l’aperura inizialmente fatta.

  2. Marco

    I redditi finanziari sono molto discriminati rispetto ai redditi immobiliari perché se l’inflazione fa aumentare i valori, avremo che il maggior valore delle azioni sarà tassato al 26% mentre quello degli immobili avrà un’aliquota zero se viene venduto un immobile acquistato da più di 5 anni o anche meno se nel frattempo ci si è andati ad abitarvi perché c’è l’esenzione della plusvalenza (in pratica l’esenzione di tassazione della plusvalenza o in caso di immobili ereditati è un sussidio a favore del consumo del suolo).
    Per non parlare dei casi in cui l’aliquota media irpef è vicina alla zero come quando si affitta un terreno agricolo perché si dichiara il reddito agrario e non il canone o negativa come quando si acquista un immobile, lo si ristruttura e lo si vende tenendosi le detrazioni.
    Poi i redditi finanziari sono discriminati nelle modalità di opzione per la tassazione normale, infatti per il 2023 occorreva comunicarlo alla banca entro il 31.12.2022, cosa che implica prevedere i redditi futuri, cosa assai difficile, mentre se si stipula un contratto di locazione ad es. il 30.11.2023 si sa già calcolare se conviene la tassazione normale o la cedolare, per cui la tassazione al 26% è penalizzante per chi nel 2023 avrà redditi negativi, nulli o bassi come possono essere quelli di chi perde il lavoro o chiude l’attività o muore, violando così il principio della capacità contributiva.
    Per quanto riguarda la previdenza complementare, considerando che in futuro la riduzione delle pensioni sarà notevole per l’applicazione in toto del sistema contributivo, effetto amplificato dai bassi salari e precarietà, imporre una tassazione del 15 % sarà penalizzante per molti rispetto ad una tassazione irpef ordinaria.

  3. Sull’uniformità della tassazione ci sono pro e contro. Il voler per forza di cose uniformare può esser la classica semplificazione che non riconosce il fatto che ci possano esser obiettivi diversi. Es. la cedolare secca sugli immobili è fatta per ridurre il frequente fenomeno dell’evasione fiscale (mentre è pressoché impossibile evadere le tasse sui redditi da investimenti). La cedolare agevolata ha lo scopo sociale di mantenere “bassi” gli affitti. Cambiare la tassazione sui titoli di stato oggi diventa più difficile perché l’obiettivo è aumentare la quota detenuta dai risparmiatori italiani.

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