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Affitto breve, tassazione bassa

Per chi ha da due a quattro abitazioni destinate all’affitto breve l’aliquota della cedolare secca sale. Minimo il vantaggio per le casse dello stato. Anche perché provvedimenti di questo tipo non risolvono il problema generale delle locazioni in nero.

L’aliquota sulle locazioni brevi

L’aumento dell’aliquota per la tassazione dei canoni degli affitti brevi è stato al centro di un braccio di ferro tra i partiti di governo. Dal periodo d’imposta 2017, i canoni derivanti da contratti di locazione di abitazioni di durata non superiore a 30 giorni sono tassati con l’aliquota unica del 21 per cento. Il governo, con il progetto di legge sul bilancio (art. 18, c. 1 lettera a), ha deciso di portarla al 26 per cento. Con le norme ora vigenti, è possibile utilizzare la cedolare secca, in alternativa al regime ordinario di tassazione, solo ai canoni di un massimo di quattro abitazioni. L’intenzione iniziale del governo era di applicare la nuova aliquota ai contratti di affitto breve di tutte e quattro le abitazioni. L’opposizione di un partito della maggioranza lo ha costretto a restringere il provvedimento: chi affitta per meno di 30 giorni una sola abitazione può continuare a pagare un’imposta del 21 per cento sui canoni percepiti; affittandone due o più si applica il 26 per cento anche sulla prima.

Dai giornali si ricava a volte l’impressione di essere di fronte a un aumento generalizzato “del carico fiscale sul mattone”, anche con titoli altisonanti quali «Affitti brevi, tasse più alte per milioni di italiani: sale la cedolare». In realtà l’aumento interessa solo una parte ristretta del mercato della locazione: una frazione del segmento dell’affitto breve, difficile da quantificare.

Il campo di applicazione

Non è agevole definire il numero di abitazioni disponibili per l’affitto breve e l’ammontare dell’imponibile sul quale applicare la nuova aliquota. Un’associazione dei gestori di questo tipo di locazione (Aigab) ritiene che gli alloggi interessati sarebbero 640 mila, con un valore stimato degli affitti che si attesterebbe su 11 miliardi di euro. Secondo Airbnb, la principale piattaforma di intermediazione per questo tipo di locazione, nei primi venti comuni per quantità, gli alloggi disponibili sarebbero nel complesso circa 130 mila (Claudia Voltattorni, Corriere della Sera, 30 ottobre 2023). L’Agenzia delle Entrate calcola, per l’anno d’imposta 2020 (quello del Covid), in circa 400 mila la differenza tra il numero di abitazioni locate di proprietà privata risultanti dalle elaborazioni sull’utilizzo degli immobili e quello per cui è stato registrato un contratto di affitto. La differenza «potrebbe ascriversi, oltre che a mancati incroci tra banche dati ed errori, alle “locazioni brevi” per i cui contratti non vi è l’obbligo della registrazione». L’Agenzia non stima il contributo di ognuna delle diverse cause su questo scarto.

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Non è stato possibile reperire un calcolo specifico dell’ammontare dei canoni derivanti da contratti di affitto breve, un dato indispensabile per valutare l’impatto del previsto aumento dell’aliquota. Anche per i redattori della relazione tecnica del progetto di legge sul bilancio non è stato semplice stimarlo. Il loro punto di partenza è stato l’ammontare complessivo dei canoni assoggettati a cedolare secca del 21 per cento, attribuendo agli affitti brevi l’importo relativo ai contratti di durata inferiore a 365 giorni. Nell’anno d’imposta 2021 l’importo del canone denunciato al fisco per le locazioni di non più di 30 giorni è stato di 176,9 milioni di euro. L’imposta pagata sulla somma con l’aliquota del 21 per cento è stata di 37,15 milioni di euro. Con la cedolare al 26 per cento sarebbe stata di 45,99, con un aumento del gettito di 8,8 milioni di euro.

La tempesta in un bicchiere di acqua

La relazione sottolinea che questo è il risultato di una “ipotesi prudenziale”. In realtà, l’impatto dell’aumento dell’aliquota potrebbe essere sovrastimato. Nella stima sono stati considerati i contribuenti con più immobili, implicitamente ipotizzando l’applicazione dell’aumento a tutte le abitazioni. Ma potrebbero rientrarvi anche i contribuenti con una sola abitazione destinata alla locazione breve, ai cui canoni non va applicato l’aumento. Anche senza considerare questo caso, l’impatto dell’aumento della cedolare resta modesto.

Sul versante finanziario, quella combattuta tra i partiti di governo è stata la classica battaglia in un bicchiere d’acqua; conta solo sul versante delle attese elettorali. È difficile venire a capo dell’obiettivo perseguito da chi ha proposto l’aumento dell’aliquota nella versione iniziale: la modestia dell’incremento del gettito non avrebbe avuto nessun sensibile riflesso sul bilancio dello stato e l’aumento dell’aliquota contraddice la promessa dei partiti di governo di non alzare le tasse. Il partito che ha osteggiato l’applicazione dell’incremento del 5 per cento dell’aliquota ai canoni di tutte e quattro le abitazioni assoggettabili alla cedolare secca probabilmente si attende di essere riconosciuto come la forza politica che sempre si opporrà all’aggravio delle tasse sul mattone, dal momento che il numero di contribuenti colpiti dall’aumento era molto limitato. Per avere un’idea di quanto fosse ristretto, si può dividere l’importo complessivo dei canoni, indicato nella relazione tecnica, per quello medio per contribuente di 7.140 euro dell’affitto breve delle abitazioni locate da comodatari e affittuari: l’aumento interesserebbe poco più di 25 mila contribuenti. Un numero molto lontano anche dal più piccolo di quelli visti più sopra circa il numero di abitazioni offerte per gli affitti brevi. Nella differenza si nascondono sacche di canone in nero che è difficile calcolare, benché di recente la guardia di finanza abbia sequestrato 779 milioni di euro a una piattaforma di intermediazione di affitti brevi per avere omesso il versamento di imposte per cinque anni,

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Una questione più generale

L’intenzione del governo di introdurre una nuova aliquota d’imposta sugli affitti brevi ripropone la questione più generale dell’applicazione di una cedolare secca ai canoni di locazione degli immobili residenziali, tanto più perché la delega fiscale ipotizza l’estensione di questa forma di imposizione anche agli immobili non residenziali. Finora, in alternativa alla tassazione ordinaria dei canoni, i proprietari delle abitazioni potevano optare per la tassazione proporzionale con due diverse aliquote, in base al tipo di contratto. Ora si differenzia ulteriormente, con l’aggiunta dell’aliquota del 26 per cento, in violazione del principio di neutralità dell’imposizione fiscale.

Nel caso specifico dei canoni di locazione si può consentire ai proprietari delle abitazioni di derogare dall’applicazione del regime ordinario dell’imposizione, se ciò permette di perseguire una finalità di interesse generale. È questo interesse che giustifica la tassazione con l’aliquota del 10 per cento dei contratti a canone concordato, che prevedono affitti inferiori a quelli di mercato e perciò più accessibili alle famiglie con redditi medio-bassi. La motivazione sociale manca, ovviamente, nel caso dei contratti che prevedono il pagamento di canoni di mercato. Per questi contratti l’applicazione di un’aliquota proporzionale che consente ai locatori, soprattutto a quelli con alti redditi, elevati risparmi d’imposta è sicuramente più difficile da giustificare. Tanto che sembra essere andata delusa la speranza che la cedolare secca portasse alla fine dei canoni in nero.

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  1. Angelo

    Gli affitti brevi sono parte di uno dei bisogni primari: la casa. Al posto di ragionare della questione in maniera generale si pensa ad un piccolo aumento di un aliquota che non si capisce neppure cosa porterà. Hanno qualche ragione gli studenti a protestare per il caro affitti nelle città universitarie? Le giovani coppie riescono a trovare appartamenti, o avere lavori precari non permette di aprire un mutuo e spesso neppure un affitto? Cosa facciamo del patrimonio di case popolari esistenti e siamo sicuri che oggi siano gestite bene? Vogliamo continuare a fare crescere comuni al mare o in montagna dove il turismo è dato da seconde case chiuse la maggior parte dell’anno? Potremmo continua all’infinito e anche sugli affitti brevi ci sono decine di domande. È così utile per la maggioranza dei cittadini avere la possibilità d’affittare per brevi periodi o fare un bb o vorrebbero soluzioni per altri problemi legati alla casa?
    Tutto questo mi fa rimpiangere i democristiani degli anni ’60, di cui possiamo discutere pregi e difetti, ma almeno avevano un minimo di progettualità e facevano delle scelte. Oggi all’ interno del governo e poi con l’opposizione si discute di pochi punti di un’aliquota che non sappiamo neppure cosa porterà.
    P.s. Tra l’altro non ho dati da portare, ma sono sicuro che negli affitti brevi ci sia moltissimo nero. 21 o 26, su tutti gli appartamenti o solo su alcuni, ma di cosa stiamo, scusate, stanno discutendo?

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