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La discesa dell’inflazione? Non dipende dai tassi Bce

La riduzione dell’inflazione potrebbe essere dovuta non tanto al rialzo dei tassi, quanto alla fine della spinta iniziale del caro energia. La politica monetaria andrebbe allora corretta rapidamente perché così com’è avrebbe effetti solo recessivi.

Il problema della Bce

Negli ultimi due anni la Banca centrale europea ha dovuto affrontare per la prima volta nella sua storia il problema di un’inflazione rapidamente crescente e, in seguito, elevata. Anche se la fase acuta del problema si è manifestata nel corso del 2022, con la crisi del gas russo, il tasso tendenziale d’inflazione dell’Euroarea aveva raggiunto il 3 per cento già a luglio 2021 e il 5 per cento a dicembre, un valore decisamente più elevato dell’obiettivo del 2 per cento.

A luglio 2022, quando la Bce ha deciso il primo dei dieci aumenti consecutivi dei suoi tassi, l’inflazione era quasi al 9 per cento, per poi raggiungere il picco del 10,6 per cento in ottobre. Nei dodici mesi trascorsi da allora si è tuttavia continuamente ridotta sino ad attestarsi a ottobre 2023 al 2,9 per cento, il valore di agosto 2021. Ma in quel mese, con l’inflazione in crescita già da un anno e una persistente buona dinamica del Pil, il tasso principale Bce era allo 0,5 per cento, mentre ora, con l’inflazione in rapida discesa e la crescita economica completamente scomparsa, col Pil reale al livello di un anno fa, il tasso è al 4,5 per cento, quattro punti al di sopra.

Due domande

Questi numeri fanno sorgere due domande, la prima prospettica e la seconda retrospettiva.

La prima è se la politica monetaria attuale non sia eccessivamente restrittiva, generando o rischiando di generare costi consistenti in termini di recessione rispetto ai limitati o inesistenti benefici di un’ulteriore pressione anti-inflattiva.

La seconda domanda è se l’inflazione sia effettivamente rientrata nel corso del 2023 per effetto della politica monetaria restrittiva e non per l’esaurirsi della spinta iniziale generata dai prezzi all’import dei beni dell’energia. È possibile che la politica monetaria sia stata così rapidamente e sorprendentemente efficace?

La prima questione non sembra essere presente nelle valutazioni del board della Bce, espresse dopo la riunione di Atene di fine ottobre. La Banca centrale mostra infatti di temere tuttora l’inflazione e, pur non valutando necessario insistere ulteriormente in senso restrittivo, ritiene che i tassi attuali siano a un livello tale che, qualora “mantenuti per una durata sufficientemente lunga”, potranno dare “un importante contributo” ad attenuare il fenomeno inflattivo. Pertanto, l’avvio di una discesa dei tassi nel breve termine è categoricamente escluso. Nel frattempo, le economie reali dei paesi dell’Eurozona languono, con il Pil dell’area fermo al livello di un anno fa e quello della grande economia tedesca preceduto dal segno meno.

Riguardo alla seconda questione, lo stesso capo economista della Bce ha spiegato ad Atene che, in base ai modelli macroeconomici utilizzati, il pieno manifestarsi degli effetti della politica monetaria è atteso in un arco biennale e dunque entro il 2025. L’affermazione è coerente con la vasta letteratura sui ritardi della politica monetaria e la loro variabilità, avviata a partire dai contributi di Friedman degli anni Sessanta. Ma, se gli effetti devono ancora manifestarsi, che cosa è accaduto sinora? Siamo certi che l’inflazione recente non sia un fenomeno molto differente da quello combattuto per lungo tempo negli anni Settanta e Ottanta, un evento “one shot” quest’ultimo, mentre l’altra era un’inflazione di lungo periodo, alimentata dalla spirale prezzi-salari e all’epoca contrastata da politiche monetarie restrittive, efficaci proprio in quanto protratte per molto tempo?

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I limiti del tasso tendenziale

Ciò che è certo è che la misurazione dell’inflazione basata sul tasso tendenziale era adatta a quell’epoca, in quanto applicata a un fenomeno che perdurava senza subire svolte repentine. Risulta invece inadeguata a registrare il cambiamento di tendenza quando si verifica in un breve volgere di tempo. Il tasso tendenziale ci dice di quanto sono cambiati in percentuale i prezzi in dodici mesi, ma non ci informa su cosa è avvenuto esattamente nel periodo: sono cresciuti di più nei primi mesi e poi si sono fermati, o stanno persino diminuendo, oppure è ora che corrono?

Emblematico al riguardo è il caso dell’inflazione italiana, misurata attraverso l’indice Nic dell’intera collettività: a settembre il tendenziale era al 5,3 per cento, ma in ottobre è crollato, portandosi all’1,8 per cento. Ciò che è avvenuto durante l’anno non richiedeva il dato più recente per essere interpretato. Infatti, l’ultimo consistente aumento dei prezzi è stato a ottobre 2022, pari al 3,5 per cento sul mese precedente, nei successivi undici mesi i prezzi non sono più cresciuti, totalizzando un +1,9 per cento complessivo, meno di due decimi in media al mese, una velocità in linea con l’obiettivo del 2 per cento della Bce. Dunque, come rispondiamo alla domanda se l’inflazione era alta nei mesi scorsi? Guardando il tendenziale era alta, però usare solo il tendenziale è sbagliato. In realtà già negli ultimi undici mesi l’inflazione italiana è stata bassa, benché si sia dovuto attendere il dodicesimo affinché il tasso tendenziale se ne rendesse conto.

Anche la Bce si affida al tendenziale per misurare l’inflazione e decidere le sue politiche. Così facendo, però, si comporta come un medico che misuri la temperatura dei suoi pazienti con un particolare termometro, in grado di attestare se nell’ultimo mese c’è stata febbre, ma non di datarla, di dire se si è verificata quattro settimane fa e poi è scomparsa oppure se è attualmente in corso. E dunque come si può essere certi di somministrare la medicina adatta nei tempi e nelle dosi corrette?

Se vogliamo conoscere l’effettivo andamento dei prezzi dobbiamo osservarne la traiettoria precisa, ricavando un trend segmentato dall’osservazione del loro numero indice (in alternativa usando tassi mensili annualizzati purché calcolati su un indice destagionalizzato). In base alla figura 1 vediamo allora che negli ultimi quattro anni i prezzi al consumo nell’Euroarea hanno viaggiato a velocità molto differenti in quattro differenti sottoperiodi, ognuno di durata diversa:

  1. per tutto il 2020, primo anno del Covid, e sino a febbraio 2021, l’indice dei prezzi è rimasto fermo;
  2. da marzo 2021 i prezzi riprendono a crescere, e sino gennaio 2022, mese antecedente l’invasione russa dell’Ucraina, viaggiano a un tasso annualizzato di poco superiore al 5 per cento. Durante questo periodo non vi è stata alcuna modifica dei tassi Bce;
  3. da febbraio 2022 l’inflazione accelera e nei nove mesi che terminano nell’ottobre successivo i prezzi al consumo aumentano complessivamente del 9,3 per cento, corrispondente a un tasso annualizzato del 12,6 per cento. In questo periodo, i tassi Bce restano fermi sino a luglio, mese in cui il tasso principale è portato dallo zero allo 0,5 per cento, per poi salire in settembre all’1,25 per cento;
  4. nei successivi dodici mesi la velocità di crescita dei prezzi si riduce drasticamente, con inizio a novembre 2022, e scende al 3,5 per cento annualizzato nel primo dei due semestri e al 2,3 per cento nel secondo, valore compatibile con l’obiettivo del 2 per cento della Bce.
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Figura 1 – Indice dei prezzi al consumo armonizzato Hpci nell’Euroarea

Negli ultimi dodici mesi, tuttavia, la politica monetaria restrittiva della Bce si è intensificata e il tasso principale è salito al 2 per cento a novembre 2022 e poi, in tre tappe successive, al 3,50 per cento di marzo 2023 e infine, in altre quattro tappe, al 4,5 per cento di settembre scorso. I due terzi dell’incremento complessivo nel tempo sono stati decisi dalla Bce quando ormai la velocità di crescita dei prezzi si era drasticamente ridotta e il fenomeno inflattivo stava rientrando spontaneamente nei binari della normalità.

Se la cura non ha preceduto la guarigione ma, come sembra, l’ha in gran parte seguita, non può esserne stata la causa. Com’è possibile, infatti, che la medicina monetaria abbia cancellato la malattia dell’inflazione in soli quattro mesi dall’inizio della somministrazione, avvenuta a dosi molto blande da luglio 2022, quando tutti gli studi sui ritardi della politica monetaria indicano tempi che sono dei multipli? La teoria qui suggerita che la politica monetaria della Bce sia stata eccessivamente restrittiva e intempestiva richiede approfondimenti che vanno ben oltre questa breve nota. Tuttavia, essi sono doverosi, considerando che qualora la medicina fosse ormai priva di rimedi utili per la non più esistente malattia che dichiara di curare, avrebbe importanti effetti collaterali in termini di recessione economica, probabile disoccupazione e crescita dell’onere dei debiti, privati e pubblici, evitabili solo con un pronto ripensamento della attuale politica monetaria.

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10 commenti

  1. Savino

    Le politiche dei governi andrebbero indirizzate nel senso di combattere il caro-vita e il caro-mutui: adeguamenti salariali con automatismi e rinnovi contrattuali, più concorrenza nei vari mercati, tariffe di utilità pubbliche abbassate (non biglietti aerei per le isole maggiori che costano mezzo stipendio e non incremento dei biglietti dei mezzi pubblici), più flessibilità sui mutui, soprattutto quelli per la prima casa.

    • polo

      Ha dimenticato solo una cosa: investimenti, investimenti, investimenti. Un grande piano di edilizia pubblica per mettere a posto scuole, ospedali e aumentare le case a prezzi calmierati; investimenti massicci sulle infrastrutture, sulla ricerca, sull’educazione, sulla sanità.

      L’unione europea sta affrontando l’ennesima crisi con politiche di fatto procicliche, prima o poi si toccherà il fondo.

  2. Nicola Vassalini

    Buongiorno
    In linea di principio sono d’accordo sull’intempestività dell’intervento, a dimostrazione di ciò è possibile portare l’esempio della banca centrale statunitense: intervenuta con molta più solerzia. Certo, quell’istituzione è espressione di uno stato federale e non di una comunità di 27 stati.
    Avrei un paio di domande:
    – se non sbaglio il dato dell’inflazione di ottobre 2023 è molto basso poiché paragonato al dato di ottobre 2022 (picco inflazionistico dovuto alle minacce russe), possiamo comunque considerare l’inflazione in controllo?
    – pur considerando l’intervento della bce tardivo e non risolutivo, nella stessa situazione avrebbe considerato l’idea di non alzare i tassi? Anche considerando l’inflazione trainata da una situazione eccezionale (pandemia, guerra, caro energia, ecc.), questa all’epoca era molto concreata, avrebbe continuato a rilasciare sui mercati liquidità?
    Grazie per l’attenzione e buona giornata

  3. Roberto

    Sia la bce che la fed, seppur in misura minore, si sono dimostrate dietro la curva in termini di politica monetaria. Ritengo però sia molto più grave l’aver atteso troppo nell’aumentare i tassi quando il 2% di inflazione si è superato nel secondo semestre del 2021 rispetto alla prudenza odierna. Considerando inoltre che ci si trovava in una situazione anomala con tassi a 0% da parecchi anni, questo poteva essere un altro motivo per riportare la politica monetaria a livelli normali. Il ritardo di un anno nel primo aumento dei tassi è stato quindi totalmente ingiustificato ed ha amplificato la fiammata dell’inflazione. Adesso siamo in una situazione di incertezza quindi è ancora giustificato l’attendismo della bce, naturalmente le riflessioni di questo articolo saranno valide se l’inflazione dovesse scendere costantemente sotto il 2% nei prossimi mesi e la bce rimarrà ferma (situazione opposta al 2021).

  4. Virginio Zaffaroni

    Dovremmo allora concludere (forse) che la BCE quando sembrava avere torto aveva ragione. Se ricordo bene, inizialmente il giudizio della BCE era che si trattava di una inflazione passeggera, che sarebbe stata presto riassorbita. Poi la saggezza convenzionale si mise a dire che così non era, che si trattava di un fenomeno non transitorio. La BCE, allora, forse impaurita, si dissociò da sé stessa e inizio una durissima politica monetaria a suon di rialzi dei tassi. Adesso a soli 12-15 mesi l’inflazione è già in forte riassorbimento.
    Dunque, la BCE aveva ragione quando aveva torto?

  5. Firmin

    La politica restrittiva della BCE ricorda la prescrizione di “paracetamolo e vigile attesa” durante il Covid e i salassi dell’Ottocento. Sono provvedimenti puramente sintomatici che non incidono sulle reali cause dei problemi. Eppure la stessa presidente della BCE ha indicato la principale determinante dell’inflazione in un aumento senza precedenti dei margini di profitto unitari (Sintra, 27/6/2023), quindi ci si poteva aspettare una politica che colpisse gli oligopoli. Come il paracetamolo e i salassi, la restrizione monetaria sta avendo (ed avrà ancora più in futuro) effetti secondari negativi e potenzialmente letali. Così impariamo ad istituire una banca centrale che non è solo indipendente ma, per statuto, non deve neanche rispondere a nessuno per le sue scelte.

  6. Carmine Meoli

    Ma ! Mi domando se BCE può adottare una politica che prescinde dalle decisioni della Federal reserve US .
    Sarebbe più elevato il caro energia importata nel caso di un euro il cui corso fosse esposto a pressioni a causa di tassi di interesse divergenti con quelli del dollaro? E i capitali e i connessi investimenti sempre in cerca di migliore remunerazione non “fuggirebbero” verso l’area dollaro ?
    Se altre misure sono possibili per scongiurare la eventuale dipendenza , ben vengano !

  7. Fabrizio Ruggieri

    L’analisi suggerisce una comparazione con gli effetti, egualmente dubbi, della precedente politica del QE. Anche quella, benché protratta per anni e con volumi imponenti, non ha dimostrato la sua efficacia sull’economia reale: ha confortato la contabilità bancaria ma non ha promosso gli investimenti .
    Che l’illusione di poter governare un sistema solo mediante la manovra monetaria sia (finalmente) tramontata?

  8. Alessandro Sebastiani

    Non bisogna considerare solo il contesto europeo. È probabile che la BCE si costretta a seguire i tassi USA per evitare una svalutazione dell’ Euro e di conseguenza un ritorno dell’inflazione, dato che le materie prime si pagano in dollari

  9. simone albanese

    Io penso che ognuno debba fare il proprio lavoro e non dovrebbe essere competenza delle banche centrali frenare l’inflazione ma questo debba essere lasciato fare al mercato, nel senso di una naturale contingenza tra domanda e offerta e soprattutto deve esserci una vigilanza delle autorità garanti che regolino il naturale andamento della libera concorrenza sanzionando ed evitando che diversi operatori che operino sullo stesso settore facciano cartello. Il lavoro delle banche centrali deve essere quello di sostenere sempre e comunque l’economia stampando o emettendo anche in formato elettronico moneta o valuta, guidate dalla necessità di crescita della popolazione mondiale, con l’unico limite di non sostenere la crescita economica di chi investe in armamenti e traffici illeciti di droghe per esempio.

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