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Dove si può tagliare davvero la spesa pubblica?

Negli ultimi due anni, la spesa pubblica primaria è diminuita in termini nominali. Non accadeva da 60 anni, ma non è ancora sufficiente per abbassare la pressione fiscale. Finora di spending review si è parlato molto ma non si è fatto nulla, bisogna rivedere i programmi di spesa.
DATI E PREVISIONI DI SPESA
Provando ad abbandonare per un momento le questioni dell’Imu e dell’Iva, che stanno monopolizzando il dibattito  sulla politica fiscale, chiediamoci quali spazi effettivi sono ipotizzabili per una riduzione della pressione fiscale nel medio periodo. Le proiezioni ufficiali più recenti, quelle del Documento di economia e finanza dello scorso aprile, di fatto l’ultimo atto del governo Monti, non sono confortanti: danno una pressione fiscale nel 2015 al 44,1 per cento, sostanzialmente invariata rispetto al livello del 2012 (44,0 per cento). A fronte di questo dato, vi è per la spesa primaria la previsione di una riduzione di 1,5 punti di Pil, dal 45,6 del 2012 al 44,1 per cento del 2015. Questi valori dovrebbero generare un avanzo primario crescente (4,1 per cento nel 2015 dal 2,5 del 2012). Anche così, tuttavia, la crescita del rapporto debito pubblico/Pil si interromperebbe solo a partire dal 2014, consegnandoci nel 2015 un debito comunque ancora di poco superiore al 125 per cento del Pil (nel 2012 era al 127 per cento).
La reazione più diffusa a questo quadro è che non sono stati compiuti sforzi dal lato della spesa, che finora l’aggiustamento del bilancio è stato fatto soltanto aumentando le imposte e che se qualche taglio di spesa c’è stato si è concentrato negli enti locali. Se solo si volesse sarebbe abbastanza agevole tagliare la spesa, soprattutto quella dell’amministrazione centrale, liberando così spazi per ridurre la pressione fiscale. Vediamo se le cose stanno effettivamente così. Iniziamo dalla dinamica del passato recente, concentrandoci sulla spesa primaria corrente: gli interessi sono un dato esogeno e la spesa in conto capitale non può essere messa sul banco degli imputati dato che dal 2009 al 2012 è diminuita del 30 per cento in termini nominali. La spesa primaria corrente nel biennio 2011-2012 è rimasta sostanzialmente stabile in termini nominali (anzi, è leggermente diminuita). Può darsi che questo sia un risultato insufficiente ma esso non va sottovalutato. Una diminuzione della spesa in termini nominali non ha precedenti negli ultimi sessant’anni. Per dare un elemento di confronto, nel decennio 1997-2007, quando vi era comunque una consapevolezza del problema, la spesa era cresciuta a un ritmo del 2 per cento l’anno in termini reali; superfluo ricordare che nei decenni precedenti, quando quella consapevolezza non c’era,  la crescita era stata ben superiore.  La diminuzione registrata negli ultimi anni – 3,5 miliardi in due anni – è nell’insieme certamente modesta. Bisogna tuttavia tener conto di come nel triennio la spesa per pensioni sia aumentata di 12 miliardi. Le spese correnti diverse da interessi e pensioni sono quindi diminuite di 15,5 miliardi, ovvero del 3,6 per cento, in due anni (tabella 1). Si può fare certamente meglio ma non è poco, soprattutto alla luce dell’esperienza precedente.
Tabella 1 Spesa primaria 2009-2015 (miliardi di euro)
pisauro1
Fonte: Istat e Def 2013.
Per farsi un’idea più precisa, si può dare un’occhiata alla tabella 2, che mette a confronto la crescita della spesa pubblica primaria totale (corrente e in conto capitale) distinta per sotto-settore fino al 2009 e negli anni seguenti.
Tabella 2.  La dinamica della spesa pubblica primaria per sotto-settore (tassi di crescita)
pisauro2
Nel periodo 2002-2009 la spesa pubblica è cresciuta del 39,3 per cento, nel triennio 2010-2012 è diminuita dell’1,8 per cento. Guardando ai sotto-settori, si nota subito come la crescita della spesa in tutto il periodo sia superiore alla media per gli enti di previdenza e per gli enti sanitari locali (ovvero pensioni e sanità). Per inciso, la spesa delle amministrazioni centrali, delle Regioni (esclusa la sanità) e dei Comuni si muove in modo tutto sommato analogo. I dati non suffragano, quindi, la tesi secondo cui il peso dell’aggiustamento dal lato della spesa negli ultimi anni sia ricaduto soprattutto sugli enti territoriali. In realtà, l’onere è stato sopportato in egual misura dalla spesa per consumi e investimenti pubblici di amministrazioni centrali e locali. Le eccezioni sono la sanità (consumi pubblici delle regioni) e i trasferimenti previdenziali.
Cosa accadrà nei prossimi anni, secondo le proiezioni ufficiali? La maggiore spesa primaria corrente nel 2015 rispetto al 2012 sarà di 26,7 miliardi, di cui 19 miliardi sono ascrivibili alle pensioni. Resta un aumento di 7,7 miliardi (ricordiamo, in termini nominali) distribuito tra sanità e altre spese.
Insomma, se si escludono interventi sulle pensioni in essere, anche se si riuscisse a mantenere invariata in termini nominali la spesa corrente restante, si libererebbero da qui al 2015 risorse pari soltanto a 7,7 miliardi, vale a dire mezzo punto di Pil. Questo è il massimo che si può ottenere mantenendo le politiche attuali. Ciò non sarebbe comunque indolore: richiederebbe sforzi importanti, come protrarre indefinitamente il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici e accomodare a spesa invariata gli aumenti dei prezzi dei beni e servizi acquistati.
Spazi ulteriori? Possono derivare solo da una discontinuità nelle politiche pubbliche. Discontinuità che può essere molto profonda, mettendo in discussione la dimensione dell’intervento pubblico in settori come la sanità, l’istruzione o la previdenza, spostando quindi il confine tra pubblico e privato in questi settori. L’opinione di chi scrive è che non è affatto detto che le prospettive di crescita del paese guadagnerebbero  da uno spostamento dell’istruzione o della sanità dal pubblico al privato.  Ma di questo si può discutere altrove.
COME FARE UNA VERA SPENDING REVIEW
C’è comunque un’altra strada che non è mai stata seriamente percorsa ed è quella di una manutenzione straordinaria dei programmi di spesa, che con un’espressione ormai entrata nell’uso comune è nota come spending review. Se ne è parlato molto in questi anni ma, nonostante i proclami, in pratica non si è fatto nulla. C’è anche un provvedimento di legge, il d.l. n. 95 del 6 luglio 2012, noto come spending review, ma si tratta di un nome usurpato: di fatto quel provvedimento ripropone  la tecnica dei tagli lineari. Come mai ai proclami non è seguito nulla? Perché nessun governo ha mai compreso che una revisione della spesa è un’operazione straordinaria che richiede tempo (almeno un anno) e risorse (diciamo, un centinaio di analisti qualificati). Si tratta di elaborare una sorta di piano industriale per ciascun settore dell’amministrazione.  Al contrario, si è preferito seguire la strada dei facili annunci, affidando questo compito a singoli o a gruppi molto esigui, senza risorse, se non quelle ordinarie degli uffici che normalmente si occupano del controllo della spesa, e senza sostegno politico. Si può anche comprendere che a cavallo tra 2011 e 2012 le necessità dell’emergenza finanziaria siano prevalse su tutto. Ora la situazione è diversa, lo stato del conto economico pubblico (entrate e uscite dell’anno) in Italia è tra i migliori, se non il migliore, dei paesi avanzati. Siamo in una recessione talmente grave da sconsigliare qualsiasi ulteriore intervento fiscale di segno restrittivo (semmai bisognerebbe fare il contrario). Se si comincia subito, c’è tutto il tempo. Ma bisogna avere la consapevolezza di cosa si deve fare: non basta sventolare uno slogan ma investire risorse umane e capitale politico in un’operazione mai iniziata.

Leggi anche:  Una spending review riservata ai comuni

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33 commenti

  1. Federico B

    It was high time, si direbbe. L’Italia deve fare Benchmarking ed efficienza. Da un mero raffronto by Cofog con la Germania emerge in termini relativi, un differenziale di 2.5 punti di PIl, o 40 miliardi di euro pa. Un enormità. Spesa pubblica disaggregata 2010: servizi generali Ita 16.5; francia 12.2; Germania 12.7. solo la Grecia è al 22.1…In percentuale al PIL: Ita vs DE: 2,2 punti in più in servizi generali, 0.3% in difesa e 0.3% in più in ordine pubblico, 0.1% in più per l’ambiente (ma i risultati non si vedono, peraltro), 0.4% in sanità, 0.2% per cento di istruzione (con esiti parimenti non efficienti). complessivamente 2.5% in più rispetto alla Germania. A disparità di servizi, sono sprechi, inefficienze, o quant’altro. Aiuterebbe anche una maggiore pubblicità e trasparenza di dati, bilanci, ed una seria lotta contro la corruzione.

  2. Ivan Berton

    Con i proclami la gente non mangia e paga solo più tasse.
    Tutti hanno la soluzione ma nessuno la applica, questa è l’unica verità che conosco … tasse tasse tasse.

  3. Federico B

    fuor di polemica, mi sembra un editoriale anodino il tema, mi pare sia semmai se si debba razionalizzare la spesa pubblica, all’esito di un benchmarking con I Paesi più virtuosi. La riposta, by Cofog, è affermativa. Cordiali saluti

  4. marco

    Se si vuole uscire dalla crisi la ricetta c’è ed è una sola: aumentare la spesa pubblica; gli stati devono avere la possibilità di tornare a fare spesa pubblica per rilanciare l’economia- Questa verità scientifica è stata ampiamente dimostrata da Keynes e dalla storia del mondo: crisi del’29, Seconda guerra mondiale ecc. ecc. La spesa pubblica può essere anche efficientissima ma se è scarsa, come accade adesso in Italia e negli Stati Europei a causa del limite di deficit imposto del 3% o addirittura dal pareggio di bilancio l’economia non si riprenderà mai; ricordo solo che negli USA, ai tempi del New Deal si pagavano persone per scavare inutilmente buche, in modo da poter distribuire stipendie aumentare la domanda aggregata! – Non a caso tutti i paesi europei sono in crisi; la stessa Germania che ha imposto la sua moneta a tutto un continente ricavandone vantaggi enormi e che viene celebrata per la sua efficienza è un paese che non cresce più perchè non sa più a chi vendere i suoi prodotti – Stiamo parlando di una crisi sistemica da una errata impostazione macroeconomica all’interno della zona euro – Diminuire la spesa pubblica per tagliare le tasse sarebbe una cosa alquanto inutile; tenere in tasca 100 euro in più al mese ma poi dover spendere 5000 euro di tasse universitarie all’anno o dover pagare maggiormente le spese sanitarie non creerebbe ricchezza per i cittadini se non limitatamente per alcuni a danno di altri – La crisi è stata causata dalle politiche economiche neoliberiste fallimentari e noi pensiamo di uscirne con la stessa ricetta? Per uscire dalla crisi bisogna che la BCE crei soldi che gli Stati possano spendere per creare occupazione e far ripartire l’economia e i consumi

    • StepTb

      I problemi che ha l’Italia “oggi” sono gli stessi che ha da vent’anni. Non è una crisi ciclica, è un fallimento strutturale a cui la crisi mondiale ha dato un’improvvisa accelerata.

    • Maurizio Cocucci

      800 miliardi di spesa pubblica in Italia le sembrano pochi? Quando Keynes individuò quale soluzione alla crisi dell’economia privata l’aumento della spesa pubblica, riferendosi alla grande depressione del 1929, il contesto sul quale elaborò tale teoria era ben diverso da quello in cui ci troviamo ora. Le riporto il testo originale in inglese dei valori di spesa pubblici negli USA da inizio secolo al termine della II guerra mondiale tratto dal sito US Federal Spending: “Federal spending began the 20th century at less than 3 percent of GDP per year. It jerked above 24 percent as a result of World War I and then declined in the 1920s to 3 to 4 percent by 1929. Federal spending started to increase after the Crash of 1929, and rose above 10 percent in the depths of the Great Depression.”
      Di fronte ai dati di oggi (circa 45% in Italia) credo che anche Keynes direbbe che “c’è un limite a tutto, anche alla spesa pubblica”.

      • Luca Orso Maria Pesacane

        Bisogna anche vedere cosa comprendeva quel 30% di pil (pensioni, sanità, educazione, welfare, spese su interessi..). C’è un pregiudizio su spesa pubblica e tassazione che appaiono sempre e comunque smisurate. A titolo di esempio, sempre negli USA, tra gli anni 30 e gli anni 80 l’aliquota massima di tassazione andava dal 60 fino a oltre il 90%! Quindi la “normalità della tassazione” in quei 50 anni era ben altra rispetto ai tempi odierni. http://taxfoundation.org/sites/taxfoundation.org/files/docs/fed_individual_rate_history_nominal_adjusted-2013_0523.pdf
        Bisogna andare oltre e chiedersi se, quando, come e a chi convenga una spesa pubblica più o meno elevata, non rigettare a priori l’ipotesi.
        Esistono Stati dove spesa e livello di tassazione sono altissimi ma redditi e qualità di vita sono pure altissimi e viceversa. Io cercherei di pensare oltre il mantra tassa&stato=male che conviene realmente solo a determinate categorie sociali (che sono quelle hanno costruito – anche involontariamente – questo pensiero automatico possedendo la quasi totalità di giornali, TV, case editrici, media in generale, università, thinktank etc).

  5. Maurizio Cocucci

    La questione andrebbe divisa in taglio della spesa e una riorganizzazione. Personalmente credo che i tagli veri e propri possibili siano sostanziosi, soprattutto se attuati attraverso una lotta agli sprechi, ma ben più redditizia sarebbe una riallocazione della spesa al fine di aumentare la produttività. Quest’ultima è meno evidente se non è misurabile in modo evidente la quantità di output.

  6. Laura

    Si deve e non solo si può diminuire la spesa pubblica!A partire dagli emolumenti delle alte cariche di ogni ordine e grado perché ritengo che nel momento in cui si conta il primo suicidio per motivi di crisi , ci si debba interrogare se siano etici i così alti emolumenti pubblici e privati .
    Non è la sede più idonea,ma ripensare a quale Italia vogliamo avere noi Italiani può significare ad esempio non dare in affitto all’estero i nostri tesori culturali cosicche’ i turisti vedano l’Italia all’estero ma fare in modo che i turisti vengano in Italia a conoscere le nostre ricchezze artistiche tutte anche quelle che conserviamo chiuse per mancanza di spazi espositivi…La cultura come creazione di lavoro per le categorie anagrafiche come gli/le over 50 anni opportunamente formate per musei,mostre,guide turistiche…

  7. Giancarlo Fichera

    Per diminuire la spesa pubblica c’è un solo sistema:informatizzare tutte dico tutte le procedure della P.A. Si potrebbe lanciare un imponente progetto di informatizzazione che occuperebbe tanti giovani laureati, ingegneri gestionali, informatici, economisti aziendali e si otterrebbe un incremento di produttività eccezionale: adesso infatti la produttività della PA è troppo bassa, a livelli scandalosi. Informatizzando ogni 3 dipendenti, normalmente, due vengono risparmiati (da avviare ad attività alternative). A queste procedure così informatizzate si potrebbe applicare un sistema di controllo gestione basato sui costi standard: i risparmi monetari sarebbero enormi. Il sistema che permette di ottenere questi miglioramenti esiste già: si chiama SAP ed è usato da tutte le multinazionali, anche in Italia. Quand’è che questo paese si sveglierà?

  8. Silvestro De Falco

    Chiamare l’esborso pensionistico “spesa” è un errore – peraltro diffuso a tutti i livelli – che può portare a prendere decisioni errate.
    Includere le “pensioni” nella spesa primaria è come includere fra le spese il rimborso del capitale delle obbligazioni emesse dal Tesoro.
    La spesa pensionistica vera e propria è data dalla differenza fra i contributi versati e le pensioni erogate.
    Un esempio di decisione errata?
    Nel decreto SalvaItalia si è finanziata la cancellazione dei contributi assicurativi per gli apprendisti aumentando i contributi previdenziali per i partecipanti alla Gestione Separata, sostituendo di fatto un introito a titolo definitivo con un aumento del debito pubblico, perché quei contributi previdenziali dovranno essere restituiti sotto forma di pensioni.

  9. Silvano

    Ridimensionare la spesa è l’unico modo serio per impedire il fallimento,incipiente, dell’Italia. E’ complicato ma possibilissimo; vero è che la classe politica per motivi vari non vuole. Perchè è inadeguata,e/o succube dei suoi privilegi o delle lobby che la manovrano, paura di perdere consenso e tanto altro ancora.

  10. Silvano

    Ecco alcuni esempi:1) ritiro delle missioni dall’estero, se siamo sull’orlo del fallimento, possiamo atteggiarci a potenza regionale? 2) Abbiamo un numero di generali e gradi elevati, costosissimi, più dell’esercito degli Stati Uniti, come si giustifica ciò? Perchè spese militari così elevate, siamo a rischio di invasione? 3) Accorpamento dei comuni più piccoli passando dagli attuali 8500 circa a 5000. Attuazione dell’accorpamento delle provincie previsto da Monti in attesa di eliminarle. 4)Accorpamento delle forze di polizia: in altri stati ne esiste una sola. 5) Costo standard in tutte le spese statali, specie nella sanità.6) Drastica diminuzione delle spese per la politica, molto più di quanto previsto. 7) Con revisione della Costituzione: eliminazione del cnel del tutto inutile. Senato dei territori partecipato gratuitamente da rappresentanti regionali, dell’anci ecc.Dimezzamento degli onorevoli.Riportare gli stipendi dei dipendenti della Camera e Senato e organi Costituzionali in genere ai livelli di tutti gli statali. Ridimensionare le spese di funzionamento di tutti gli organi costituzionali. Eliminazione di tutte le regioni a statuto speciale; accorpamento delle regioni portandole ad un numero di 14 + Trentino e Alto Adige i cui accordi internazionali a tempo debito andranno ridiscussi. A cosa servono le costosissime e clientelari e familistiche autority? Attraverso una legge temporanea di rilevanza costituzionale mettere un tetto agli stipendi dei menager statali, delle pensioni alte. Tassazione dei menager privati oltre un certo importo (cinquecento mila euro anno) del 75%. Vietato oltre lo stipendio altre voci tipo stock option e similari. Lotta senza quartiere alla malavita organizzata che, vincente, oramai si sta impadronendo di tutta la nazione: leggi più severe per la confisca dei patrimoni. In altre parole lotta a tutti gli sprechi. Perchè noi, in grave difficoltà, da accordi capestro fatti da politici debosciati, regaliamo all’Europa 4 miliardi anno? Perchè abbiamo deprivato il mercato interno, in crisi da domanda e da tasse elevate, di 65 miliardi negli ultimi tre anni per aiutare gli altri stati dell’euro in difficoltà e così sprofondare anche noi? che razza di costruzione europea è questa? Questi sono solo alcuni esempi di quanto si potrebbe fare: ma fare da chi, da questa classe politica?

  11. Alessandro La Spada

    Come sempre una posizione argomentata e ragionevole.
    Rifiuto nettamente l’idea che non si possa più intervenire sulle pensioni, perché c’è ancora un piccolo gruppo di privilegiati che riscuote ogni mese le cosiddette pensioni d’oro, tagliando le quali si risparmiano *domani* oltre 8 miliardi di euro/anno.
    L’argomento dei ‘diritti acquisiti’ ha il peso che gli si vuol dare. Il diritto acquisito esiste per legge, in forza di legge lo si esclude. Oppure si introduce un’aliquota del 99% sulla parte di pensione che supera i 4.000 euro/mese, se non supportata da reali versamenti. Insomma, se si vuole fare si fa.
    Il problema è che non si vuole fare.
    Riguardo al discorso più generale della revisione della spesa, credo che già applicare veramente il criterio dei costi standard per qualsiasi acquisto (ogni PA potrebbe pagare un bene o servizio non più del miglior prezzo ottenuto da qualsiasi altra PA per fornitura analoga) determinerebbe una forte riduzione degli sprechi.
    Naturalmente il criterio dei costi standard presuppone che il cliente paghi puntuale, altrimenti non può avere il miglior prezzo, dato che il fornitore deve incorporare i costi del ritardo.
    Lo Stato dovrebbe quindi risolvere il suo atavico problema dei pagamenti tardivi, ma proprio le risorse liberate dai minori prezzi di acquisto potrebbero essere usate almeno in parte per supportare pagamenti rapidi.

  12. Piero

    Il federalismo con i costi standard era la soluzione del problema, poniamo i il problema perché Monti ha bloccato tutto?

    • ecomostro

      Il federalismo è parte del problema, non parte della soluzione.
      Si sono semplicemente moltiplicati i centri di spesa (ognuno con il proprio sottobosco di clientele locali da foraggiare con appalti), moltiplicate le sovrapposizioni (es. i ridicoli uffici commerciali all’estero di varie regioni e città) e distrutte economie di scala.
      La prima cosa da fare sarebbe abolire le regioni.

      • Piero

        Il federalismo non aumenta la spesa, avvicinare i centri di spesa al cittadino, avvicina il controllo, il federalismo e’ già praticato nei comuni, poi vi sono i costi standard ne fanno giustizia degli sprechi, e’ inconcepibile che un posto letto nel nord costi la metà di quello del sud.
        Togliere le regioni, si può, io preferisco le provincie, vi devono essere due livelli locali, basta scegliere.

  13. Luigi Di Porto

    L’articolo mi sembra un po’ troppo generico, mi piacerebbe vedere delle proposte pratiche con indicazione degli effetti previsti. Nelle aziende private la riduzione dei costi, effettuata a partire dagli anni ’90, è stata feroce e ha permesso a molte aziende di restare sul mercato. Prendendo esempio da quanto fatto nel privato sarebbe interessante capire l’incidenza di interventi tipo:
    – Centralizzazione e unificazione di tutte quelle operazioni che non riguardano la specificità di ciascun ente: operazioni amministrative, sistemi informatici, acquisti, personale ed altri.
    – Semplificazione dei processi (non informatizzazione ma revisione, con eliminazione di tutto quanto non serve).
    – Vendita (soppressione se non le vuole nessuno) di tutte le società partecipate, con eccezione di quelle che erogano servizi vitali (utilities).
    Questi sono solo esempi, sarebbe interessante avere, da chi conosce i bilanci pubblici, esempi pratici di intervento con indicazione degli effetti attesi.
    Io, da profano, ogni volta che passo in un pubblico ufficio mi faccio l’idea che si potrebbero ridurre i costi alla metà migliorando al contempo il servizio.

  14. Andrea Marini

    Di sprechi da eliminare e tagli da fare c’è ne sarebbero tanti, ma come a detto un’altro commentattore, la risposta dei nostri politici, i grandi riformisti della grande coalizione è solo e sempre tasse, tasse, tasse, aggiungo per i soliti pagatori: Dai numeri forniti dall’articolo si evince chiaramente che l’unico modo per ridurre la spesa pubblica da subito sarebbe quello, con il mese prossimo, di smettere di pagare tutti gli importi di pensione sopra i 3000 euro.
    Cordiali saluti

    • nicolas

      più che accettabile sarebbe quella di calcolare anche le pensioni in essere con il sistema contributivo invece che retributivo oppure, per attenuare l’impatto, almeno quelle per importi superiori a xxxx,xx

  15. Piero

    Invece di parlare sempre di pensioni e sanità, analizziamo le altre spese correnti, cominciamo con i tagli, si era detto via le provincie, riduzione dei costi della politica (eliminazione rimborso elettorale, taglio del 50 degli stipendi dei parlamentari, i manager pubblici non possono superare il compenso di un parlamentare).
    Le istituzioni pubbliche devono avere i bilanci che possono essere visionari da tutti i cittadini, in questo modo tutti vedono cosa si spende dentro il governo, dentro il parlamento ecc.
    Le istituzioni locali devono rispettare i costi standard, non si comprende perché una regione spenda più di un’altra per l’organizzazione, potrà cambiare solo servizi, a mio avviso solo i comuni non sprecano il denaro pubblico, essendo le strutture più vicine al cittadino, gli sprechi sono minimi, al contrario più gli enti pubblici sono lontani dal cittadino più occorrono i controlli sulla spesa.
    Basta con la solita sanità e pensioni, naturale dove ci sono gli sprechi della sanità vanno eliminati, ma ciò si sta attuando.

  16. Luca Orso Maria Pesacane

    Non capisco perchè è meglio un taglio alla spesa pubblica ed un aumento di quella privata del contrario. Se occupazione, beni e servizi sono creati dallo stato piuttosto che da privati non è lo stesso? Cosa cambia per la domanda o per il PIL? Ovviamente concordo che sia preferibile spendere con efficienza ma questo è un altro discorso.

    • Federico B

      Cfr. La spesa pubblica in Europa – Ragioneria Generale dello Stato -www.rgs.mef.gov.it/_…I/…s/…1/…/La_spesa_pubblica_in_Europa.pdf, pag. 33 Può trovare tutte le risposte che cerca. “L’Italia, con un valorepari al 51,6%, nel 2009 si collochi tra i Paesi con un elevato rapporto20 tra la spesa pubblicacomplessiva e il PIL, secondo quanto rappresentato nel grafico di Figura I.”Sul piano epistemologico, è invece William of Ockham, prima di ogni fonte tecnica, il riferimento logico. cfr. anche P.Monsurrò, fellow Istituto Bruno Leoni: “Se l’Italia allineasse la propria spesa pubblica, in proporzione al Pil, ai livelli della Germania, si troverebbero le risorse per abolire l’Irap e ridurre del 10-15% l’Irpef”.

      • Giorgio

        Nel 2011 la spesa pubblica italiana al netto degli interessi (spesa primaria) era al 45,9%. Quella tedesca era al 42,8%. Inoltre, in termini procapite, la spesa per la protezione sociale era di 6.215 euro in Germania e di 5.322 in Italia. La spesa sanitaria procapite era di 2.232 in Germania e di 1.913 euro in Italia.
        (si veda http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_OFFPUB/KS-SF-13-009/EN/KS-SF-13-009-EN.PDF)
        Quindi si potrebbe dire alternativamente che con un’evasione fiscale paragonabile a quella tedesca si potrebbero ridurre le imposte sui redditi (fonte Corriere.it: economia sommersa in Italia al 21,2% del pil; 13,5 in Germania).

      • Luca Orso Maria Pesacane

        Grazie per la risposta, io mi interrogavo più che altro sulla necessità di ridurre la spesa pubblica…

    • kristian ossser

      Finchè la spesa pubblica sarà finanziata dalla tassazione, la prima prevarrà sempre in quanto strumento di arricchimento per la burocrazia statale e le sue clientele. La tassazione rappresenta l’arma più letale che uno Stato abbia nei confronti di chi si deve sudare il denaro.
      Lo Stato questo non lo ha mai fatto… ha sempre prelevato ricchezza da chi la ha prodotta nel nome della equità sociale e della redistribuzione.
      Data la situazione Italiana attuale è evidente che in Italia la spesa pubblica non attua equità sociale (quindi non ha motivo di esistere) e la redistribuzione è effettuata solo su base clientelare a favore di partiti, sindacati, burocrazia statale e comitati di affari vari.
      Lo Stato crea ricchezza solo se finanzia le proprie opere con la propria sovranità monetaria, se invece finanzia a debito, non fa altro che alterare la distribuzione della ricchezza della nazione.
      Di questo Stato Italiano non ne può più nessuno: troppo oppressivo e cleptomane.

  17. kristian ossser

    Come ridurre la spesa pubblica ?
    Modello svizzero di separazione tra capacità di spesa e capacità impositiva.
    Separare i poteri di spesa da quelli di finanziamento della spesa.
    Se chi tassa è anche chi spende, la spesa prevarrà sempre poiché non esiste un vincolo al limite della tassazione.
    Spezzare e invertire il rapporto tra spesa e entrate: sono le entrate a determinare la spesa e non viceversa.
    Bisogna limitare il potere di tassare, a tutti i livelli.
    Come ? Referendum sulle leggi di spesa e di Bilancio, attualmente vietati dall’art. 75 della Costituzione Italiana.
    La Costituzione svizzera prevede il diritto dei cittadini-contribuenti a dire la loro sul livello di tassazione e di spesa.
    Le spese correnti sono sicuramente debiti.
    Gli investimenti possono essere considerati debito pubblico?
    Oppure sono strumento di aumento della ricchezza di una Nazione se correttamente attuati e non un debito?

  18. Federico B

    Segnalo alla vostra attenzione altro contributo dell’Istituto Bruno Leoni. Secondo le stime dell’Autore, si potrebbe tagliare la spesa di oltre 6 punti di Pil nell’arco di una legislatura, con pareggio strutturale del bilancio e abbattimento del peso dello Stato. Il link: http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=12432#sthash.Y2jRmboQ.dpuf. I costi della politica Italiana (circa 15b) sono semplicemente fuori scala ad esempio rispetto alla Francia (> 0.8%del PIl). Mi era parso di capire che si sarebbero volute eliminare le province; ma non vivendo più in Italia non vorrei essermi confuso. Italia: come la pubblicità di Carl Lewis in ‘tacchi a spillo’. Condivido l’assoluta necessità di trasparenza di dati e bilanci, già segnalata da altro lettore.

  19. Federico B

    Solo un P.S. Suggerisco la lettura di D.Taino “puntare il dito non serve a niente”.Corriere della Sera, 25 giugno 2013. “Stabilito che l’idea secondo la quale l’Italia uscirà dalla crisi grazie all’Europa, cioè spendendo più soldi pubblici quando Bruxelles ce lo permetterà, è falsa o, peggio, è una sciocchezza; stabilito che l’unica strada è quella di rifare il Paese dalla base, attraverso riforme radicali e non camomille; stabilito che la politica queste riforme non le farà, si può forse realizzare qualcosa, ognuno secondo le proprie possibilità”. Non è spostando a destra ii punto di equilibrio nella ‘demand curve’ che vi sarà ripresa economica, se poi si mantengono spese inefficienti o sussidi. Ad esempio, altro paese che tra il 2000 ed il 2009 ha raddoppiato la spesa pubblica senza però migliorare la propria posizione è la Grecia, preme ribadire…Il deficit di parte corrente della Grecia è quintuplicato in dollari tra il 2000 ed il 2008 ed è raddoppiato in rapporto al Pil fin quasi al 15% .. eppure.eppure..spero di avere chiarito il mio pensiero. Attenzione agli sprechi, che in Italia valgono almeno 40bn pa.

  20. Massimo Matteoli

    Si deve ringraziare la Voce se si vuole ragiuonare sui fatti e non sugli slogan.
    L’articoloè estremamente interessante, ma ritengo non metta in evidenza il fatto che il tagliuo della spesa corrente c’è stato ed in misura significativa.
    Sulle spese correnti vere e proprie (escluso cioè sanità e pensioni) dal 2009 al 2012 sono oltre 12 miliardi di euro di spese,
    Non mi sembra un risultato da poco.
    Certo ci sranno miriadi di altre spese da tagliare ma l’impressione è che occorre smettere di pensare al “taglio” dell spese pur che sia e pensare a far rendere al meglio quello che si spende.
    La lotta va fatta agli sprechi, non ai servizi, altrimenti per ogni euro “risparmiato” i cittadini ne spenderanno in proprio due in più.

  21. marco

    Se vogliamo uscire dalla crisi dobbiamo aumentare la spesa pubblica e non diminuirla – La storia e le teorie di keynes lo dimostrano inequivocabilmente – Senza le spese belliche della Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti non si sarebbero ripresi dalla crisi del ’29. Aumentare la spesa pubblica significa assumere insegnanti medici poliziotti investire nell’assistenza agli anziani e nell’edilizia sostenibile e nel risparmio energetico ecc. ecc Con che soldi? Semplice spendendo a deficit come fanno gli altri Stati non europei che non hanno il vincolo folle del 3% imposto dalla UE. La gente spenderebbe più soldi aumenterebbe la domanda aggregata e quindi le entrate dello Stato – Lo stato potrebbe spendere 100-150 miliardi di euro in più all’anno per noi-Tagliare la spesa pubblica significa comunque diminuire la domanda aggregata – Il portinaio che non fa niente dalla mattina alla sera in un ente pubblico spende comunque i soldi del suo stipendio e permette al panettiere al fiorista al calzolaio al ferramenta di non chiudere…Se taglio la spesa pubblica e pago meno tasse ma poi devo pagare l’operazione chirurgica per mio padre rischio di rimetterci – In questo momento storico lo Stato dovrebbe diminuire le tasse e aumentare la spesa pubblica e il welfare assumendo e spendendo a deficit…Questo insegna la letteratura economica e alcuni terribili premi nobel dell’economia: Stiglitz, Krugman ecc ecc.

  22. stena

    mi sembra di capire dall’articolo di oggi, 6 luglio di Tito Boeri su La Repubblica che nell’elenco, proposto dallo stesso, sugli interventi che dovrebbero essere messi in atto per ridurre la spesa pubblica, si parli anche della “mappatura degli esuberi nella Pubblica Amministrazione e della mobbilità necessaria per riassorbirli”. La mia ignoranza mi porta a un pensiero forse limitato e malevolo allo stesso tempo. Chiedo :si intende forse taglio del personale e in base a quali criteri vengono stabiliti gli esuberi? la popolazione lavorativa nella PA si avvicina inesorabilmente a superare i 55 anni e oltre, con una maggioranza effettiva di donne (vi ricordate il doppio lavoro femminile?). Gli sprechi sono questi o altro? I servizi dovrebbero essere tutti privatizzati?
    Stena

  23. Adriana

    Ridurre gli sprechi della PA si può, ma deve essere intrapresa dal basso e non dall’alto delle catene dirigenziali. E’ ovvio che chi ha poteri e riconoscimenti li voglia mantenere e difendere.
    Prendiamo l’esempio della Guardia di Finanza. Se si vuole tagliare le sue spese, bisogna parlare con chi vede gli sprechi (sottufficiali e finanzieri) e non con chi li vuole nascondere per il proprio beneficio (ufficiali). A tal proposito non si capisce perchè la Guardia di Finanza debba essere ancora un’istituzione militare, perchè si debbano spendere soldi per formare in 5 lunghi anni degli ufficiali presso l’accademia di Bergamo quando esistono migliaia di sottufficiali, già formati, culturalmente e operativamente superiori ai giovani ufficiali che arrivano al reparto privi di esperienza con il ruolo da dirigente che stride notevolmente con sottoposti marescialli tal volta laureati, preparati e con una grado di esperienza operativa notevolmente maggiore.
    L’attività più incisiva e tecnica della Guardia di Finanza oggi è
    svolta in massima parte dai sottufficiali.

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