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Quando la geografia istituzionale frena lo sviluppo dei territori

I bacini istituzionali si rivelano molto più piccoli di quelli utilizzati quotidianamente dalla popolazione e dalle imprese. Il riassetto istituzionale dovrebbe riguardare l’intero sistema dei poteri locali, compresa la galassia di società partecipate.

Il peso della geografia istituzionale

Il deficit di qualità istituzionale del sistema italiano certificato dal rapporto dell’Istat, dalla relazione della Commissione europea sulle politiche di coesione e da molte relazioni dei presidenti dei tribunali amministrativi dipende in certa misura dalle criticità dell’assetto istituzionale.

In una situazione ideale dal punto di vista dell’efficienza, la dimensione demografica del governo locale è strutturata in modo da rispecchiare le caratteristiche socioeconomiche territoriali e da consentire lo sfruttamento di economie di scala (le prestazioni vengono prodotte al minore costo unitario possibile) e la massima coincidenza tra utilizzatori e finanziatori dell’offerta territoriale di prestazioni pubbliche. In queste condizioni, tutti i servizi vengono erogati secondo adeguati standard qualitativi e quantitativi, poiché raggiungono la soglia minima di domanda sufficiente, i cittadini sono in grado di esercitare il massimo controllo sull’operato dei propri amministratori.

Invece i sistemi locali del lavoro dimostrano inequivocabilmente che i bacini istituzionali non rispecchiano l’assetto e le esigenze della mobilità, del lavoro, della società, della produzione e il sistema di relazioni economiche e sociali, poiché si rivelano molto più piccoli di quelli utilizzati quotidianamente dalla popolazione e dalle imprese.

Di fatto, la realtà istituzionale, definita dai confini amministrativi, non coincide con quella vissuta da cittadini e imprese, delineata dai flussi di pendolarismo, dalla geografia delle attività produttive, delle residenze e dei luoghi di lavoro. Le relazioni socio-economiche sono fluide e in continua evoluzione e richiedono flessibilità e capacità di adattamento da parte delle politiche pubbliche e degli assetti istituzionali, mentre i confini amministrativi producono rigidità, frazionamento istituzionale e criticità decisionali.

I piccoli enti non raggiungono la dimensione minima necessaria a conseguire economie di scala e di scopo nella produzione dei servizi, ad abbattere i costi fissi di erogazione delle prestazioni e a garantire lo svolgimento efficiente delle funzioni di loro competenza. Finiscono così per sostenere oneri elevati per fornire a cittadini e imprese servizi inadeguati. Non a caso gli ultimi rapporti della Corte dei conti certificano che sempre più enti locali non sono in grado di offrire prestazioni pubbliche adeguate agli standard qualitativi e quantitativi prescritti e di garantire i diritti essenziali dei cittadini.

In alcune realtà territoriali, peraltro, la ridotta dimensione demografica si accompagna alla presenza di altri fattori critici: bassa densità abitativa e caratteristiche morfologiche sfavorevoli del territorio, che comportano una lievitazione dei costi di esercizio di alcune funzioni (trasporto pubblico, istruzione, sanità e assistenza), presenza di “motori economici” deboli, progressivo spopolamento dei piccoli comuni, scarsa presenza della popolazione giovanile e forte incidenza di quella anziana, che rende necessaria l’attivazione di servizi assistenziali che gli enti più piccoli difficilmente riescono a sostenere, a causa delle scarse risorse disponibili e degli elevati costi di gestione (distribuiti tra un numero di utenti ridotto che non consente di raggiungere risultati di economicità ed efficacia).

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La competizione nazionale e internazionale, ma anche l’articolato strumentario di target e milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza e delle politiche di coesione, impongono servizi altamente qualificati nel campo della ricerca e dell’innovazione, delle grandi infrastrutture di trasporto e comunicazione, settori che contribuiscono all’attrattività dei territori e richiedono in genere una soglia di domanda elevata per poter essere economicamente sostenibili.

Sottodimensionamento e frammentazione istituzionale, invece, impongono una barriera burocratica in territori molto integrati dal punto di vista funzionale, ostacolano l’innovazione, escludono i sistemi territoriali da segmenti economici in crescita, perché li rendono inadeguati alle trasformazioni dei flussi turistici e dei settori industriali governati dalle piattaforme elettroniche globali e degli altri fenomeni che condizionano il mercato immobiliare, il tessuto commerciale e produttivo, le esigenze e consuetudini sociali.

Queste criticità dell’assetto istituzionale comportano non solo marginalizzazione e maggiori oneri economici per il sistema produttivo (con conseguente perdita di competitività), ma anche costi ambientali e sociali sempre più pesanti, che gravano soprattutto sui residenti e sugli utenti dei servizi pubblici (congestione da traffico, inquinamento).

In più, l’estrema frammentazione della realtà istituzionale implica la moltiplicazione dei centri di programmazione e di spesa e la frantumazione delle politiche di sviluppo territoriale in una infinità di misure e interventi che assorbono risorse pubbliche senza produrre adeguate prestazioni.

Come riorganizzare l’assetto degli enti locali

Il percorso riformatore innescato dal Pnrr costituisce l’occasione per riorganizzare l’assetto degli enti locali incentrandolo sul criterio della funzionalità, cioè sull’esistenza di esigenze e caratteristiche comuni a più territori, secondo un approccio che consenta di utilizzare in modo strategico le risorse e le potenzialità di ogni contesto, di valorizzarne il potenziale competitivo (capitale infrastrutturale, naturale, produttivo, cognitivo, sociale e relazionale), di attivare sinergie, di strutturare nuove efficienti politiche territoriali e di programmazione (dalla pianificazione strategica alla progettazione partecipata); di individuare limiti di soglia o sostenibilità.

L’obiettivo dovrebbe essere strutturare un sistema di governo locale calibrato sulla base delle specificità territoriali come la compenetrazione urbanistica, la condivisione di servizi culturali e scolastici, lo sviluppo urbano ed economico e le prospettive potenziali di crescita (logistica e portualità, industria ed energia, turismo e servizi d’area vasta) e in grado di favorire la gestione e il consumo razionale e sostenibile del suolo e degli spazi urbani, oltre che di altri beni collettivi come welfare, sanità, ricerca e formazione, acqua, energia, la connessione delle reti urbane e infrastrutturali.

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Il sistema di governo locale deve essere incentrato sul potenziamento delle filiere (scuola-formazione-politiche per l’impiego, pianificazione-paesaggio-tutela ambiente e così via) e della dimensione di area vasta, attraverso la riorganizzazione degli enti intermedi e la promozione di forme associative e di cooperazione e di spazi di concertazione tra gli enti e i soggetti operanti nel territorio, al fine di contenere il consumo di suolo, organizzare la mobilità e i flussi di pendolari e di merci, gestire i servizi su scala adeguata, pianificare gli insediamenti produttivi e di servizio, gestire le politiche ambientali, programmare lo sviluppo locale, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, le reti infrastrutturali.

Bisogna dunque riconfigurare la dimensione istituzionale del governo locale, ma per conseguire gli impegnativi obiettivi di efficienza imposti dal Pnrr e dalle politiche europee, l’accrescimento dimensionale degli enti locali deve essere accompagnato da una riconfigurazione qualitativa delle politiche territoriali, calibrata in ragione delle caratteristiche demografiche e strutturali delle singole funzioni e dei diversi contesti territoriali, della diffusione delle infrastrutture e dei servizi, della densità amministrativa e demografica, della diffusione dell’attività manifatturiera, turistica, del lavoro, e della ricchezza, in modo da individuare la dimensione appropriata degli interventi di sviluppo territoriale e di coesione sociale, della pianificazione e dell’allocazione delle risorse.

Qualunque riassetto istituzionale, per rivelarsi efficace, dovrebbe riguardare l’intero sistema dei poteri locali, le strutture periferiche statali e regionali e la vasta galassia di società partecipate, enti e organismi strumentali, agenzie, soggetti d’ambito, unioni, Gal, convenzioni, distretti, consorzi. Ciò consentirebbe di garantire l’effettiva corrispondenza tra costi delle funzioni e risorse, di salvaguardare l’autonomia territoriale e al contempo di offrire ai cittadini e alle imprese un livello adeguato di servizi e prestazioni senza gravare troppo sulle tasche dei contribuenti, razionalizzando il vasto apparato di enti e società regionali che la Corte dei conti ha definito “fuori controllo” ed eliminando duplicazioni e sovrapposizioni di competenze che appesantiscono l’azione pubblica e ne incrementano i costi annacquando le responsabilità.

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  1. Savino

    Anzitutto, l’Italia è una e non è una Repubblica federale, pertanto non si vedono le ragioni per una differenziazione dei servizi tra territori e tra cittadini. Poi, non si vede la necessità di entità intermedie per garantire il servizio, molte delle quali sono fuori da logiche pubblicistiche e costituzionali, quali le società partecipate, le agenzie, i consorzi e perfino le stesse convenzioni. La Costituzione prevede quali enti intermedi i Comuni, le Città Metropolitane, le Province e le Regioni. Quindi, come si dice nell’articolo, sono molti i contesti territoriali impropriamente di qualificazione pubblica che, in realtà, sono luoghi di coordinamento pubblico o cooperazione tra pubblico e privato e che non necessitano, per le loro attività, di gravare sulla spesa pubblica.

  2. enzo de biasi

    Articolo interessante e pienamente condivisibile sul piano di ciò che “si dovrebbe fare”. Quando il giovane ricercatore avrà 70 anni, potrà tranquillamente ri-scrivere il medesimo articolo. Purtroppo il cittadino che prende l’autobus/treno/automobile per recarsi al lavoro, allo studio, a trovare amici e conoscenti oppure il cittadino-imprenditore che fa impresa e business non vuole prendere coscienza e consapevolezza di quanto spreco e dilapidazione di risorse pubbliche sono presente nell’attuale assetto dei poteri locali e loro articolazioni operative. Il cittadino fruitore e il cittadino elettore sono due persone che convivono nello stesso corpo e mente ma non si conoscono ed anche hanno due identità distinte e distanti. La prima che si arrabbia, impreca, si sdegna e si lamenta difronte ai disservizi, la seconda che o non si reca a votare o vota partiti che gestiscono il potere locale e sue articolazioni operative senza esaminare, giudicare, premiare o punire che non ha realizzato quanto promesso. Recentemente la CdC esaminando i conti consuntivi della sanità regionale, per tabulas, ha dimostrato che 16 regioni su 21 hanno i bilanci in rosso . Ebbene successo qualcosa? Nulla. La Fondazione Agnelli nel 1990 in una ricerca pubblicata aveva anticipato le tesi esposte dall’articolo e proposto una revisione dell’assetto istituzionale utilizzando gli stessi criteri del giovane ricercatore. Successo qualcosa a 43 anni data?. Il nulla. Gli italiani restano e resteranno sempre quelli della bottega accanto, del piccolo è bello, importante è la famiglia più o meno allargata; una revisione sistema del sistema istituzionale, cosa è ? Cose da studiosi e quindi non interessanti per il cittadino comune che rappresenta il “grosso” dell’elettorato.

  3. Maurizio Cortesi

    Non c’era bisogno di questo discutibile e certo sopravvalutato Pnrr per accorgersi della disfunzionalita della struttura politico-amministrativa italiana, basterebbe avere una concezione repubblicana cioè effettivamente politica cioè di fare e stare al mondo come funzione della politica e delle sue istituzioni. La funzionalità economica e finanziaria viene di conseguenza se i mitici lavoratori e imprenditori sono innanzitutto cittadini e quindi si guardano intorno con occhi mondani e non parrocchiali.

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