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L’immigrazione tra dati e narrazioni

Il Dossier statistico sull’immigrazione permette di riflettere sul tema a partire dai dati, smentendo molte posizioni anti-immigrati. Soluzioni pragmatiche ed efficaci esistono. Ma serve la volontà politica di estenderle a un numero più ampio di migranti.

I dati del Dossier immigrazione

È uscito di recente il Dossier statistico immigrazione, che ogni anno fornisce dati essenziali a chi voglia discutere del tema con cognizione di causa, contrastando le narrazioni tossiche.

Prendo qui uno spunto per una riflessione su una delle più insistite polemiche del dibattito pubblico, quella che riguarda le persone che entrano in Italia sbarcando dal Sud del Mediterraneo, o eventualmente mediante la rotta balcanica: il bersaglio principale del fronte anti-immigrati. Coloro che arrivano spontaneamente, perché non hanno altro modo di farlo, sono definiti insistentemente come immigrati illegali, se non “clandestini”. Ebbene, il Dossier immigrazione ci informa che tra quanti di questi presunti “immigrati illegali” hanno presentato una domanda di asilo in Italia (gli altri, per quanto si sa, cercano semplicemente di attraversare il paese), più della metà ottiene una forma di protezione legale. Ossia si vede riconosciuto uno status di rifugiato. Per la precisione, nel 2022 su 53.060 decisioni in primo grado, i dinieghi sono stati poco più della metà (51,6 per cento), mentre 25.680 hanno ottenuto un esito positivo: 7.610 lo status di rifugiati pleno iure ai sensi della Convenzione di Ginevra; 7.205 la protezione sussidiaria, ossia quella relativa alla provenienza da un paese in guerra o all’appartenenza a una minoranza perseguitata; 10.865 la protezione speciale. Se però chi ha ricevuto un diniego riesce a presentare un ricorso, e quindi a esporre il suo caso di fronte a un giudice terzo, con l’assistenza di un avvocato, i risultati cambiano: su 19.355 decisioni assunte in seconda istanza, il 72 per cento ottiene un esito positivo. Nel 2022 13.980 persone hanno potuto così raggiungere l’agognato permesso per rimanere in Italia legalmente.

Di conseguenza, dovremmo sempre tenere presente che tra i volti che vediamo scendere stremati dalle navi dei soccorritori, in realtà oltre la metà appartengono a persone che verranno riconosciute meritevoli di ricevere protezione legale dalle nostre istituzioni. Bollarli come immigrati illegali è un sopruso che si aggiunge a quelli che hanno subito prima della partenza e durante il viaggio.

Certo, il governo in carica ha già provveduto a restringere drasticamente la presunta generosità del sistema normativo vigente, in realtà allineato con le medie europee, quasi abolendo la protezione speciale. Ma si tratta appunto di una scelta politica, che dovrà dimostrarsi capace di reggere al vaglio della Corte costituzionale italiana e dell’Alta Corte di Strasburgo. Produrrà non una riduzione degli ingressi, ma un aumento degli sbandati, e quindi della povertà visibile e dell’insicurezza. Lo si era già visto con i decreti sicurezza del 2018, voluti da Matteo Salvini, che avevano abolito quasi del tutto la protezione umanitaria. Negare l’asilo senza avere la capacità di rimpatriare aumenta soltanto sofferenza ed emarginazione, con inevitabili ricadute sulla vita urbana. Anche in questo caso però definire come illegali dei potenziali rifugiati rimane una scelta concettuale grave e ingiustificata.

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I numeri dei rimpatri

È necessario poi domandarsi che cosa succede in caso di mancato accesso alla protezione legale. Il Dossier statistico ci fornisce i dati: nel 2022 è stata intimata l’espulsione a 36.770 cittadini stranieri (si badi: non solo richiedenti asilo diniegati, ma residenti irregolari in generale, compresi i condannati per qualche reato). Una quota inferiore al 10 per cento rispetto ai circa 500 mila immigrati in condizione irregolare stimati. Ma quelli effettivamente rimpatriati sono stati appena 4.304, pari all’11,7 per cento, e meno della metà di quelli trattenuti nei Cpr.

Dei rimpatriati, più della metà proveniva da un solo paese, la Tunisia. La capacità di espellere non solo è scarsa, ma riguarda i pochi paesi disposti a collaborare almeno in parte, e con costi di trasferimento non troppo elevati: oltre alla Tunisia, Egitto, Marocco, Albania. Di conseguenza, la negazione dell’asilo si traduce perlopiù o in attraversamento delle Alpi o in permanenza sul territorio di persone senza documenti legali e senza la possibilità di guadagnarsi legalmente da vivere. Se si discutesse dell’argomento a partire da questi dati, forse avremmo un’opinione pubblica più consapevole e magari anche decisioni politiche migliori.

Soluzioni da estendere

Ci si può domandare quali soluzioni suggerire al dramma dei rifugiati, pensando anche a evitare i rischiosi attraversamenti terrestri e marittimi e a tagliare i profitti dei passatori. Le soluzioni in realtà esistono, ma non sono adeguate in volume alle dimensioni del problema. La prima sono i reinsediamenti: da un paese di primo asilo, in genere fragile (il 70 per cento dei rifugiati internazionali sono accolti dai paesi confinanti), a un paese più sviluppato. Sono circa 100 mila all’anno, ma le domande accolte dall’Unhcr superano il milione.

La seconda soluzione riguarda le sponsorizzazioni private o miste. In Canada sono state introdotte nel 1978 e nel tempo hanno consentito l’arrivo nel paese di 300 mila rifugiati, tra cui, negli ultimi anni, circa 40 mila siriani. L’Ue e alcuni governi nazionali, come quello tedesco, solo di recente hanno previsto questa possibilità. Altre soluzioni complementari si rivolgono a specifici segmenti della popolazione dei rifugiati, come i “corridoi universitari” per gli studenti, quelli per gli sportivi o i ricercatori (i programmi “scholars at risk”). Anche qui, il problema è la scarsa disponibilità di posti rispetto alle esigenze. Da ultimo vale la pena di ricordare i “corridoi umanitari”, introdotti in Italia dalle Chiese cattolica e valdese, grazie a un accordo con il governo: il progetto riguarda i richiedenti asilo che provengono dai campi profughi, arrivano in aereo, sono ricevuti da gruppi locali di volontari e accompagnati nel processo d’inserimento, senza oneri per lo stato. In Italia circa 5 mila persone sono state accolte in questo modo, altre 1.500 in altri paesi europei (Francia, Belgio, Germania) che hanno mutuato il progetto.

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Quando i richiedenti asilo arrivano spontaneamente, bisognerebbe pensare a soluzioni pragmatiche, già esperite dai maggiori partner europei: da una parte ci sono datori di lavoro alla ricerca di manodopera, dall’altra persone giovani, atte al lavoro, in cerca di un futuro. Una passerella normativa che consentisse il transito dal canale dell’asilo a quello del lavoro risolverebbe due problemi in un colpo solo.

Resta sullo sfondo un regolamento di Dublino sempre più irrealistico e disfunzionale. I rifugiati hanno progetti, aspirazioni, legami sociali. Costringerli a rimanere nel primo paese di approdo non fa che prolungare situazioni opache, sfruttamento, intermediazioni illecite e onerose, esposizione a circuiti illegali.

Quindi le idee non mancano, le finestre normative neppure. Ciò che difetta è la volontà politica di estenderle.

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Il Punto

  1. Grazia Maria

    La maggior parte dei clandestini in arrivo in Europa sono musulmani, che quasi mai o difficilmente riescono a integrarsi con usi e costumi europei. La disastrosa situazione sociale degli immigrati musulmani nei Paesi del Nord Europa, dove pure tantissimi sforzi sono stati fatti per favorirne l´integrazione, fa da cartina tornasole a questa realta. Sono sicura che esista una statistica sul livello di integrazione degli immigrati di fede musulmana, rispetto ad esempio agli immigrati di fede ortodossa dall´Europa dell´Est. Mi piacerebbe sapere dal Professor Ambrosini perche non abbia considerato questo fattore nel suo dossier, e in che modo influenzi la lettura dei dati. E´davvero soltanto una questione di accesso al mondo del lavoro per questa gente?

    • bob

      per dirla con una battuta basterebbe che tutti gli Stati Europei fossero fermamente Laici . La Religione è una esigenza personale. Hai libertà di Fede per carità ma lo Stato ha le Sue leggi le Sue regole e devi rispettarle. La Religione di Stato non è cosa da Paese civile

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