Nel Pnrr sono rientrati progetti relativi a interventi già in attuazione e finanziati prima della redazione del Piano. Ora sono in buona parte tra quelli definanziati dalle modifiche accettate dalla Ue. Il confronto con operazioni simili sui fondi europei.

Piani già avviati e inseriti nel Pnrr

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, prima della recente decisione del Consiglio europeo sulla sua modificazione, ammontava a 191,5 miliardi, di cui 139,9 miliardi relativi a nuovi interventi e 51,6 miliardi riferibili ai “progetti in essere”. In quest’ultima categoria rientrano quegli interventi, che vedono molto spesso gli enti locali come soggetti attuatori, in parte in fase di attuazione ancor prima della stesura del Piano, per i quali già esistevano coperture nel bilancio dello stato, poi sostituite dalle nuove risorse del dispositivo di ripresa e resilienza.

I finanziamenti ricevuti dall’Unione europea per il Pnrr sono per 68,9 miliardi sovvenzioni a fondo perduto e per 122,6 miliardi sono prestiti. Ne deriva, dunque, che con l’inserimento di questi progetti nel Piano si è di fatto proceduto a un loro rifinanziamento attraverso nuovo debito, a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato, al fine di liberare le risorse nazionali a loro copertura per nuovi spazi di politica fiscale.

In altri termini, nella misura in cui i progetti in essere siano stati finanziati con i prestiti della Recovery and Resilience Facility, il loro inserimento nel Pnrr ha di fatto aumentato il debito. Non è così solo se per questi progetti era già previsto il ricorso all’indebitamento, che si sarebbe poi evitato grazie a prestiti agevolati della Rrf.

L’operazione ha molte affinità con i cosiddetti progetti retrospettivi (o sponda), largamente utilizzati nei programmi europei per la coesione. Anche in questo caso, si tratta di investimenti originariamente coperti con risorse nazionali, ma che successivamente sono inseriti all’interno di un programma relativo al Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) per essere rendicontati e finanziati con le risorse europee.

I progetti definanziati

Al di là del fatto di porsi in netta antitesi con il principio di addizionalità delle risorse per la coesione, le operazioni perseguite con i progetti retrospettivi hanno sovente contribuito a evitare la perdita di risorse europee, mentre l’operazione dei progetti in essere si è rivelata, per ora, meno efficace. Dalle informazioni oggi disponibili emerge che con la decisione del Consiglio europeo dovrebbero essere stati definanziati interventi per 9,2 miliardi di euro relativi a questa tipologia di progetti, con effetti non secondari sull’architettura generale del Piano.

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Nella tabella 1 sono riportati gli importi, totali o parziali, di definanziamento; va tuttavia specificato che, per quanto riguarda le misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico, la modifica del Piano ne ha lasciata inalterata la dimensione finanziaria, ma ha provveduto a sostituire gli originari progetti in essere con nuovi interventi destinati ai territori dell’Emilia-Romagna, Toscana e Marche colpiti dall’alluvione dello scorso maggio.

Confronto tra le due operazioni

Quali sono i possibili motivi della diversa efficacia delle due operazioni? Innanzitutto, il ricorso a progetti retrospettivi rivestiva carattere di necessità: senza il loro apporto l’Italia avrebbe perso risorse europee che le erano state assegnate. I progetti in essere, invece, sono stati un’operazione discrezionale: il valore complessivo del Pnrr avrebbe potuto essere inferiore, con minori prestiti da restituire, oppure avrebbe potuto prevedere unicamente nuovi interventi, facendo lievitare l’indebitamento.

I progetti retrospettivi inseriti nei programmi Fesr erano generalmente costituiti da infrastrutture di medio-grandi dimensioni iniziate da tempo oppure da progetti simili a quelli finanziati a valere sulle risorse europee (detti in questo caso progetti sponda), che potessero subentrare agli interventi finanziati con risorse europee in caso di ritardi attuativi (la cosiddetta pratica dell’overbooking). I progetti in essere definanziati comprendevano miriadi di interventi di dimensioni anche molto ridotte e rimessi a centinaia di soggetti attuatori, senza che fosse previsto alcun meccanismo di salvaguardia o di sostituzione con altri progetti che assicurasse la realizzazione degli obiettivi nei tempi previsti.

L’inserimento dei progetti retrospettivi all’interno dei programmi avveniva solo dopo aver verificato con la Commissione europea la loro coerenza e ammissibilità ai fini della rendicontazione, mentre l’attuazione di molti dei progetti in essere, finanziati perlopiù attorno al 2019, era stata avviata senza tenere conto delle stringenti condizionalità, relative alle modalità di rendicontazione e al principio del “non arrecare danno significativo” (Dnsh), richieste dal regolamento istitutivo del dispositivo per la ripresa e la resilienza.

Ma la differenza più rilevante consiste nel fatto che i progetti retrospettivi venivano individuati tra gli investimenti in avanzato stato di attuazione, spesso già completati, ma ancora in attesa di collaudo. Si trattava pertanto di investimenti non ancora conclusi, e quindi ammissibili ai sensi dei regolamenti europei, ma molto prossimi a esserlo. In tal modo veniva assicurata la possibilità che potessero essere rendicontati nei tempi previsti dalle scadenze europee. Al contrario, i progetti in essere definanziati dal Pnrr contenevano al loro interno tipologie di interventi spesso ancora in fase di partenza, nonché di tradizionale lenta e farraginosa attuazione.

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Oggi, pertanto, l’operazione dei progetti in essere, anche a causa dei tempi ristretti che hanno caratterizzato l’elaborazione del Pnrr, ha conseguito solo in parte gli obiettivi per i quali era stata congegnata.

Il governo ha comunque ribadito che sarà assicurata l’attuazione di tutti gli interventi esclusi. Occorrerà pertanto trovare loro una adeguata copertura finanziaria, che presumibilmente potrebbe consistere proprio nel ricorso alle risorse europee e nazionali per la coesione.

Non va poi dimenticato che la terza relazione sullo stato di attuazione del Pnrr segnalava altri 14 interventi contenenti progetti in essere, per un valore di 12,3 miliardi di euro, che presentavano non indifferenti elementi di debolezza e criticità in ordine al raggiungimento degli obiettivi del Piano (tabella 2).

Nell’elenco sono compresi interventi di carattere strategico per la coesione e la digitalizzazione del paese, ancora distanti dalla fase finale di attuazione: la realizzazione delle linee di alta velocità del Mezzogiorno è oramai avviata da più di dieci anni, mentre sul piano “Italia a 1 Giga” pende il non rassicurante precedente del progetto banda ultra-larga relativo alle “aree bianche”, che si sarebbe dovuto concludere nel 2020, ma che è ancora in fase di ultimazione.

L’augurio è che le massicce rimodulazioni finanziarie, lo spostamento in avanti dei target temporali e la revisione al ribasso degli obiettivi previste nella decisione del Consiglio abbiano consentito di superare le criticità evidenziate dalla terza relazione, rendendo possibile la realizzazione dei 14 interventi, al pari di tutti gli altri interventi considerati originariamente a rischio, entro il 2026. I presumibili scenari di finanza pubblica dei prossimi anni renderebbero difatti estremamente complesso il trasferimento del loro finanziamento a carico di risorse del bilancio dello stato.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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