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Parità di genere: dov’è il collo di bottiglia nella carriera universitaria

Il focus Anvur sull’equilibrio di genere nell’accademia italiana conferma alcuni cambiamenti positivi. Per migliorare ancora va però ampliata la riflessione, individuando le dinamiche che impediscono di raggiungere la parità, sempre a partire dai dati.

I dati Anvur sulla parità di genere

Anvur ha pubblicato, il 17 gennaio 2024, un focus sull’equilibrio di genere in accademia in cui vengono restituite le analisi sui cambiamenti della componente studentesca, accademica e amministrativa degli ultimi anni.

L’analisi viene proposta con un grafico che rappresenta la componente maschile e femminile nei passaggi di carriera accademica, in un confronto tra i dati del 2012 e quelli del 2022 (figura 1).

Dal grafico emerge la composizione a “rubinetto che perde”, emblematica per l’università italiana, e non solo. A una maggioranza di presenza femminile dalle immatricolazioni fino al dottorato segue un “collo di bottiglia”, così definito nel report, nelle fasi tra la fine del dottorato e le posizioni di ruolo (tenure track). Mentre, poi, la presenza di uomini e donne è pressoché equivalente tra i ricercatori a tempo indeterminato (Ru), a partire dai ricercatori a tempo determinato (Rtd) la forbice si amplia, con un divario che si mantiene in maniera relativamente contenuta per il ruolo di professore associato (Pa), ma che si estende progressivamente per quello di professore ordinario (Po) e per i rettori e le rettrici in carica. Il confronto tra il 2012 e il 2022 mostra una lenta progressione verso la parità: si registra un aumento percentuale delle donne Pa, dal 34,9 al 42,3 per cento, tra le Po dal 20,9 al 27 per cento e tra le rettrici dal 7,5 al 12,1 per cento.

Figura 1 – Componente maschile e femminile nei passaggi di carriera accademica. Anni 2012-2022 (quote percentuali sui totali), Anvur 2024

L’onda che avanza

Queste cifre consentono di fare qualche riflessione sui percorsi accademici in un’ottica di genere.

Partendo dalle note positive, c’è stata innanzitutto una riduzione repentina e decisa del divario a livello di associatura (di fatto oggi il primo livello di contratto a tempo indeterminato). Potrebbe essere stata facilitata dal passaggio semplificato, introdotto dalla legge Gelmini del 2010, al ruolo di associato da quello di ricercatore a tempo determinato di tipo B (RtdB). Qualche anno fa, nel prevedere questo cambiamento, si era fatto ricorso alla metafora dell’“onda che avanza”, da sostituirsi a quella del “rubinetto che perde”, per evidenziare come la componente generazionale avrebbe potuto incidere sulla presenza femminile nei ruoli più alti. Si vedono oggi i risultati di quell’onda che avanza, che ha portato la composizione di genere a pochi punti percentuali dalla parità.

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Sempre la dimensione della coorte è da tenere in conto nell’interpretazione dei divari a livello di ordinariato (Po). Tra i professori ordinari, gli uomini sono tutt’oggi più di due terzi del totale. Ma il ruolo è ricoperto per lo più da generazioni in cui la presenza femminile in accademia era esigua e i meccanismi di avanzamento di carriera molto nebulosi. La disparità nelle posizioni apicali coincide con una disparità nel potere decisionale e quindi, a sua volta, nel potere di contrattazione per arrivare a una potenziale risoluzione degli ostacoli.

Per quanto non sia specificato nel report Anvur, il divario è poi particolarmente amplificato nelle carriere Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), mentre è più contenuto nelle discipline in cui la presenza di genere è più equilibrata.

Rimane, infine, la perplessità nell’includere in questa rappresentazione la carica rettorale (a cui si accede tramite elezione, non tramite concorso o valutazione). Per quanto la variazione tra 2012 e 2022 sia interessante, e segno di un cambiamento in corso, si tratta di una carica riservata a poche persone, non una possibilità aperta a chiunque decida di intraprendere il percorso accademico. L’inclusione nel grafico appare forzata.

I tempi della carriera delle donne

Al di là delle analisi specifiche, i dati vanno accompagnati ad alcune considerazioni, soprattutto in merito ai percorsi di carriera e alle disparità.

È da tempo in corso una riflessione importante sul tema, che amplia la questione: ad esempio, oltre a guardare al raggiungimento delle posizioni, è importante riflettere sui tempi. Le donne arrivano più tardi alle posizioni stabili. La coincidenza dei tempi della fecondità e dei tempi della carriera è uno degli elementi da considerare, anche se, ovviamente, non per tutte è un obiettivo. Ritardare l’ingresso in posizioni lavorative di rilievo comporta la riduzione dell’ammontare dei contributi previdenziali accumulati, influendo sul livello delle prestazioni pensionistiche ricevute al momento del pensionamento.

Inoltre, da anni (dal 2010, legge Gelmini) le valutazioni per gli avanzamenti di carriera riguardano quasi esclusivamente la produttività scientifica, mentre per uno “schema di genere” molto spesso le donne tendono a usare parte del loro tempo anche per gli altri compiti: didattica e impegni burocratici. Questo le svantaggia sistematicamente nei concorsi/progressioni, insieme a tutti quei piccoli e grandi meccanismi di genere che permeano i percorsi accademici.

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Per concludere, è evidente che l’analisi delle disparità di genere in accademia oggi sia ampia e abbia molti dati a confermare le dinamiche che inibiscono la parità. I cambiamenti si vedono, ma vanno incentivati, ampliando la riflessione e basando le decisioni proprio sui solidi dati a disposizione.

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  1. Patrizio

    Analisi molto interessante. Solo un chiarimento dove scrivete che le donne “tendono a usare parte del loro tempo anche per gli altri compiti: didattica e impegni burocratici”. anche gli uomini temo. l’impegno in termini didattici dipende dalla posizione e non dal genere. Sulla burocrazia credo sia più difficile fare l’analisi ma certo alcuni ruoli di responsabilità ne includono molta. Per cui non sono convinto dell’argomentazione portata e non supportata credo da dati.

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