Per i lavoratori delle piattaforme è impossibile riconoscere un tradizionale datore di lavoro. È però possibile individuare chi trae valore dal loro utilizzo e determinare gli obblighi sociali che ne derivano, senza scaricare i costi sulla collettività.

La proposta Crouch

Come risolvere il problema dei gig workers? Il 6 dicembre 2023 in un convegno organizzato dall’Inapp, dal titolo La protezione sociale dei lavoratori al bivio, dall’intervento di Colin Crouch è arrivata una interessante proposta.

L’idea proposta di Crouch parte da lontano, all’origine dei fenomeni di destrutturazione del lavoro standard, nell’affermazione che il fenomeno dei platform workers si inserisce in una dimensione più generale di diffusione del lavoro gig, definibile, al di là della enfasi del termine, lavoro precario. In tal senso due importanti documenti di politica pubblica citati da Crouch presentavano approcci diversificati ai problemi del declino dell’occupazione standard: il Rapporto Supiot del 2001 e il Rapporto Taylor del 2016. Entrambi i documenti riconoscevano come la frammentazione del lavoro nelle forme produttive post-fordiste digitalizzate apriva sfide alle forme giuridiche di regolazione del lavoro esistenti, giungendo però a conclusioni diverse.

Oggi, a distanza di anni dai due lavori, la situazione rimane ancora irrisolta, con una radicalizzazione del lavoro gig, determinata dall’evoluzione e dall’affermazione di un capitalismo delle piattaforme in cui il management algoritmico mantiene poteri di controllo e gerarchizzazione delle prestazioni sempre più evoluti e autonomi con l’avanzamento degli strumenti di machine learning.

Naufragata nel dicembre 2023 la proposta di direttiva sull’impianto della legge spagnola, tutto rimane ancorato attorno a due punti fermi: 1) il lavoro dei platform workers è indipendente; 2) la piattaforma è unicamente un intermediario tecnologico. Anche i tentativi regolatori che passano attraverso il concetto di eterorganizzazione – un lavoro autonomo affermato ma non autonomo nella sua realizzazione, una sorta di antinomia dichiarata – sembrano essersi dispersi. La digitalizzazione algoritmica ha evidentemente prodotto un modello aziendale radicalmente esternalizzato, senza nessuna localizzazione fisica, di personale e perfino tecnologica: gli algoritmi ormai vengono esternalizzati ad altre aziende che li progettano per più piattaforme. Dobbiamo assumere come questa struttura produttiva rompa irrimediabilmente la continuità di sistemi fondati sull’affermazione che si accerti un datore di lavoro e spetti a questo l’obbligo dei costi non salariali.

Leggi anche:  Che ne sarà dei nuovi nidi senza Pnrr*

La proposta Crouch ha il merito di addentrarsi in questa contraddizione del capitalismo delle piattaforme, dove diversi soggetti datoriali (imprese e piattaforme) si auto-qualificano come clienti e intermediatori pur estraendo continuo valore dal lavoro digitale. Così se il profitto estratto dal lavoro non è più legato agli interessi dell’organizzazione aziendale mediante un diretto accrescimento del capitale investito, ma viene venduto nello spazio digitale ad altre imprese, non assume nessuna importanza la determinazione di forme minime di riproduzione sociale della forza lavoro. Per tali ragioni si comprende l’avversione delle grandi piattaforme a classificare i lavoratori come dipendenti. Se avvenisse, perderebbero la loro genesi imprenditoriale: realizzare quote massime di profitto dalla vendita di prestazioni lavorative. Nelle forme di riconoscimento della subordinazione una parte del valore estratto dal lavoro sarebbe necessariamente assorbito nel capitale dell’organizzazione che detiene i mezzi della produzione, la piattaforma, diminuendo il suo valore di vendita.

Un nuovo quadro regolatorio

Secondo Crouch, va allora definito un quadro regolatorio diverso, in cui sia prevista un’assicurazione sociale finanziata non più da chi è formalmente responsabile della forza lavoro, ma da tutti i suoi utilizzatori. In particolare, tutte le imprese e le altre organizzazioni definite come utilizzatrici di prestazioni lavorative digitali, o in generale gig, che si situino al di sopra di una certa soglia di utilizzazione della forza lavoro offerta dalla piattaforma, sarebbero tenute a versare – oltre al pagamento delle prestazioni realizzate – anche una quota di contributi sociali basati sul numero di ore di utilizzo delle singole prestazioni di cui fanno uso, a prescindere dalla forma contrattuale dei platform workers. Un certo numero di importanti riduzioni degli oneri contributivi sarebbe a disposizione degli utilizzatori di attività lavorative che dimostrino di avere accettato determinati obblighi nei confronti dei prestatori di forza lavoro (forme contrattuali più rigide, autonome e libere dinamiche di rappresentanza sindacale o altro).

Nella proposta di Crouch i piccoli utilizzatori di prestazioni mediate da piattaforme – clienti o piccole imprese che le utilizzano sotto una certa soglia (ore annue o numero di prestazioni annue) – sarebbero esclusi dai versamenti. Gli oneri contributivi e sociali versati riguarderebbero anche le prestazioni lavorative realizzate da lavoratori migranti, spesso esclusi da forme minime di protezione sociale.

Leggi anche:  Come si cambia: il Pnrr dopo la revisione*

L’app pubblica per registrare le prestazioni

Si può infine suggerire un elemento che potrebbe arricchire la realizzazione della proposta: come calcolare, infatti, le soglie delle singole prestazioni e l’effettivo versamento dei contributi degli utilizzatori di forza lavoro in un mercato virtuale? La soluzione potrebbe essere una proposta di tecnoregolazione. Si potrebbe definire una app pubblica, utilizzando ad esempio le identità digitali di pubblica rilevanza (come lo Spid), per accedere al lavoro su piattaforma e per contenere un conto personalizzato delle attività lavorativa digitalizzato (sul modello francese del compte personell de activitè – Cpa). Si tratterebbe di una app pubblica dove registrare tutte le prestazioni realizzate, i versamenti accumulati, i diritti acquisiti in termini assicurativi, previdenziali e formativi. In questo modo chi entra nel mercato del lavoro digitale, non lo farebbe più in modo semi-informale o con sottoscrizioni di relazioni lavorative difficili da reperire e ricostruire. Non a caso il sistema delle comunicazioni obbligatorie per le piattaforme, previsto in Italia nel 2022, rimane ben poco popolato proprio perché la maggior parte delle piattaforme nega la fornitura dei dati definendosi un intermediatore digitale.

Se per i gig workers è impossibile riconoscere un tradizionale datore di lavoro con tutte le responsabilità che ne derivano, con la proposta di Crouch è però possibile riconoscere chi trae valore dall’utilizzo di una forza lavoro digitale, e su quell’utilizzo si possono determinare gli obblighi sociali che ne derivano, senza scaricare i costi sulla collettività.

* Le opinioni espresse sono personali e non necessariamente rappresentano l’Istituto di appartenenza.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Superbonus: la nuova stretta colpisce i più deboli