Lo stato di avanzamento degli interventi dei programmi finanziati con i fondi nazionali per la coesione è insoddisfacente. Pesa l’assenza di regole credibili e l’eccessiva polverizzazione dei progetti. Le prospettive per il nuovo ciclo di programmazione.
Le risorse nazionali per lo sviluppo e la coesione
Il ricorso presentato al Tar dalla regione Campania nei confronti del ministro per il Sud per un presunto blocco delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) 2021 2027 destinate alla Campania e, più in generale, al Mezzogiorno ripropone la rilevanza, e le problematiche, dei fondi nazionali per la coesione.
I fondi (lettere B e C della tabella 1) si caratterizzano per una dotazione di risorse equiparabile a quelli europei, sebbene godano di un’attenzione e di una risonanza di gran lunga inferiore.
I programmi complementari (Poc) sono finanziati attraverso una quota parte del cofinanziamento nazionale originariamente destinato ai fondi europei, al fine di realizzare interventi collegati e coerenti con tali fondi (tra cui i progetti sponda) senza sottostare alle loro regole e tempistiche.
Il Fsc finanzia progetti strategici volti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del paese e l’80 per cento delle sue risorse è riservato alle regioni del Mezzogiorno (vedi qui e qui).
In un’ottica di complementarità, le risorse del Fsc dovrebbero finanziarie quelle tipologie di investimento (ad esempio, le infrastrutture stradali) che per motivi regolamentari, di complessità attuativa e di esteso orizzonte temporale risultano difficilmente realizzabili con i fondi europei.
Intesi in questo modo, Poc e Fsc potrebbero rappresentare due strumenti in grado di rendere ancora più efficace l’azione di policy per la riduzione dei divari territoriali, grazie alla loro addizionalità e alla maggiore flessibilità rispetto alla programmazione europea.
Cercheremo qui di verificare quale sia stata sinora l’effettiva efficacia, dal punto di vista della capacità di attuazione e di spesa, del solo Fsc.
Come riconosciuto nella relazione del ministro per il Sud, per i Poc persiste difatti un disallineamento tra dati di programmazione e dati di monitoraggio che non consente un’appropriata valutazione del loro avanzamento. Appaiono tuttavia condivisibili le considerazioni dell’Ufficio studi della Camera dei deputati, in base alle quali la loro flessibilità di utilizzo sarebbe stata utilizzata più per mettere al sicuro le risorse europee che per realizzare, in modo complementare, gli stessi obiettivi strategici dei programmi europei.
Lo stato di avanzamento dei programmi Fsc 2014-2020
La tabella 2 riporta lo stato di avanzamento dei programmi Fsc del ciclo 2014-2020 a titolarità delle amministrazioni locali del Mezzogiorno e delle amministrazioni centrali (con obbligo di destinare l’80 per cento delle risorse alle regioni meridionali), così come risultano dagli ultimi dati consolidati presenti nel Sistema nazionale di monitoraggio, nel quale le amministrazioni beneficiarie sono tenute a inserire tempestivamente i dati di impegno e spesa.
I dati sugli impegni e i pagamenti non necessitano di particolari commenti. Pur considerando eventuali ritardi nell’inserimento dei dati, sussiste un generalizzato grave ritardo nell’attuazione dei programmi, che coinvolge tanto le amministrazioni regionali quanto quelle centrali.
I vari governi succedutesi nell’ultimo decennio hanno cercato, senza risultati di rilievo, di risolvere una debolezza che ha riguardato tutti i cicli di programmazione delle politiche di coesione.
La causa principale dei ritardi è presumibilmente legata all’assenza di credibilità dei target di attuazione e delle sanzioni di definanziamento previsti al momento dell’assegnazione delle risorse.
Come evidenziato in un altro articolo, le risorse europee per la coesione riescono a essere spese per intero, anche se con dubbia efficacia, solo grazie alla previsione di una data perentoria di conclusione dei programmi e di stringenti e inderogabili target di spesa da certificare, pena la perdita dei fondi.
Per la programmazione Fsc 2014-2020, era prevista un’unica sostanziale regola per accelerarne l’attuazione: per non incorrere nel definanziamento da parte del Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), gli interventi dovevano conseguire le obbligazioni giuridicamente vincolanti (Ogv) entro il 31 dicembre 2019.
Il termine è stato però più volte prorogato, sino al decreto-legge n. 20/2022, secondo il quale il Cipess avrebbe a provveduto a definanziare con apposite delibere i progetti che non avessero conseguito l’Ogv al 30 giugno 2022, termine esteso al 30 giugno 2023 per gli interventi con un valore superiore ai 25 milioni di euro.
Per il momento, nessuna delibera di definanziamento è stata adottata, benché la relazione informativa presentata al Cipess il 14 aprile 2022 abbia quantificato in 12,8 miliardi di euro le risorse a rischio di mancato conseguimento di Ogv.
La scarsa credibilità sul se e il quando andassero conseguiti gli obiettivi di avanzamento idonei a evitare l’esclusione dei progetti non solo ha ridotto gli incentivi a una loro rapida realizzazione, ma soprattutto nelle amministrazioni locali ha favorito la tendenza a una continua riprogrammazione e modifica degli interventi, che ha ulteriormente rallentato i processi di spesa.
Una seconda causa di inefficienza consiste nell’eccessiva numerosità e polverizzazione degli interventi, che rendono particolarmente onerosi e complessi l’esecuzione coordinata e il monitoraggio dei programmi. Sul sito di opencoesione sono monitorati oltre 87 mila progetti attivi finanziati con risorse Fsc 2014-2020.
In conclusione, la flessibilità nelle scadenze di spesa, che doveva rappresentare un fattore qualificante nel massimizzare la complementarietà dei fondi nazionali con le politiche europee, si è nei fatti rivelata un ulteriore punto di debolezza per la già ridotta e lenta capacità attuativa nelle regioni meridionali (vedi qui e qui) e, di conseguenza, per l’efficacia dei fondi per la coesione.
La prossima programmazione
Per quel che riguarda il futuro, l’adozione in tempi brevi delle delibere Cipess previste dal decreto-legge 20/2022 rappresenterebbe un importante segnale di discontinuità con il passato.
Il definanziamento di progetti risalenti a programmazioni anche antecedenti al 2014-2020 e non ancora attuati potrebbe liberare, per utilizzi migliori, un importante volume di risorse. A questo proposito, la proposta di utilizzare i fondi nazionali per la coesione per il finanziamento degli interventi infrastrutturali dei comuni recentemente esclusi dal Pnrr è una strada percorribile, purché sia perseguita nel rispetto dei vincoli di addizionalità e di destinazione territoriale delle risorse.
Il definanziamento conferirebbe maggiore credibilità alle regole previste per il ciclo di programmazione 2021-2027, nel corso del quale l’azione più innovativa sarebbe rispettare, una volta tanto senza deroghe, quanto previsto dalle norme vigenti.
La normativa prevede che le nuove risorse Fsc siano assegnate alle amministrazioni previa sottoscrizione con il ministro di un “Accordo per la coesione”, in cui sono indicati gli interventi da realizzare e i relativi cronoprogrammi procedurali e finanziari. Il mancato rispetto dei cronoprogrammi di spesa annuale dà luogo al definanziamento dell’Accordo, per un importo corrispondente alla differenza tra la spesa indicata nel cronoprogramma e quella effettivamente sostenuta.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.
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