Molti comuni, specie tra quelli che più ne avevano bisogno, hanno rinunciato alle opportunità di compensare i ritardi accumulati e migliorare i propri servizi offerte dal Pnrr. Il motivo è il timore di non poter far fronte alle spese di gestione dei progetti.
Le sfide del Pnrr per i comuni italiani
Dopo un decennio di austerity, che ha impoverito le amministrazioni locali, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha richiesto un considerevole aumento della loro capacità di investimento. Fin dall’inizio, i timori sull’impreparazione degli enti locali sono stati confermati da una scarsa adesione ai bandi competitivi emanati per selezionare i progetti e dal mancato esaurimento dei plafond disponibili, con conseguenti proroghe o riaperture dei termini. Il caso emblematico è stato quello del bando per gli asili nido (vedi qui e qui), ma difficoltà simili, come riportato nel dossier Anci, sono emerse in altre linee di investimento.
Il tema delle scelte e soprattutto delle rinunce delle amministrazioni di fronte a questa opportunità è cruciale, tanto più che proprio le realtà che più ne avrebbero bisogno rischiano di non assorbire i finanziamenti necessari. Emerge, così, un potenziale trade-off tra equità ed efficienza nell’allocazione dei fondi Pnrr, nonché il rischio di ampliare i divari territoriali e le contraddizioni tra interventi straordinari e gestione ordinaria.
I bandi per le infrastrutture scolastiche
Gli investimenti nell’istruzione sono fondamentali per l’equità e lo sviluppo economico e a essi il Pnrr dedica non poche risorse. Nella assegnazione dei fondi alle amministrazioni locali, il ministero dell’Istruzioneha fatto ricorso ai bandi competitivi articolati in cinque linee di investimento (figura 1). Solo il 40,93 per cento dei comuni ha presentato almeno un progetto per uno di questi bandi: il 21,50 per cento ha proposto un solo progetto e il 19,43 per cento ha preso parte alla competizione con più di una domanda.
Figura 1 – Partecipazione dei comuni ai bandi emanati dal ministero dell’Istruzione
Quanto pesano i vincoli di bilancio
L’analisi della partecipazione dei comuni ai bandi offre una prospettiva interessante su quali aspetti abbiano incentivato o scoraggiato le amministrazioni locali dal cogliere questa opportunità. Uno studio (in “Rapporto sulla finanza territoriale 2024”, in corso di stampa) ha indagato quali caratteristiche dei comuni possono aver inciso sulla probabilità di presentare o meno domanda ai bandi.
Tra i vari elementi considerati, sono i vincoli di bilancio a condizionare di più l’adesione ai bandi. La difficoltà di finanziarsi con risorse provenienti dal proprio territorio offre ai comuni minori spazi di flessibilità anche negli investimenti, riducendo la partecipazione ai bandi. Analogamente, nei comuni dove gran parte del bilancio è destinata a spese obbligatorie, come stipendi e interessi, la partecipazione ai bandi è più bassa. In definitiva, dunque, laddove il bilancio – e le risorse provenienti dai territori – non consente spazi finanziari per la futura gestione, i comuni tendono a essere più restii a impegnarsi in nuovi progetti, poiché temono di non poter sostenere nuovi costi legati ai servizi. L’incertezza finanziaria, alimentata anche dalle prospettive di future spending review, li rende meno propensi ad attivare nuovi servizi nell’insicurezza di poter un domani mantenere l’offerta. Sono le aree più fragili e con minori disponibilità di risorse provenienti dai propri territori a soffrire maggiormente di questi condizionamenti.
L’importanza dell’esperienza
Eppure, gli investimenti hanno un effetto cumulativo e infatti, oltre agli aspetti finanziari, nell’adesione al Programma emerge – dall’analisi statistica – anche l’importanza dell’esperienza e delle competenze maturate dalle amministrazioni.
I comuni che hanno più esperienza negli investimenti (cioè con una maggiore propensione a investire, tanto più nel settore istruzione) e che già destinano una quota più elevata di spese correnti all’istruzione, mostrano una minore probabilità di rinunciare alla partecipazione ai bandi. È l’esperienza, insieme alla quantità di personale e in particolare di personale stabile, che sembrano consentire nel Pnrr di meglio adattare l’organizzazione ai profili specializzati richiesti, ricorrendo a competenze professionali maturate all’interno dell’amministrazione. Le misure temporanee di supporto al capitale umano offerte dal Pnrr si rivelano così di limitata utilità se, per lavorare bene, le amministrazioni devono poter contare su competenze proprie.
Anche le caratteristiche politiche delle amministrazioni locali giocano un ruolo. I sindaci più giovani e quelli neoeletti sono più disposti a partecipare, probabilmente perché hanno una visione di lungo termine e maggiori prospettive di vedere i risultati dei progetti avviati.
Infine, i comuni con una quota di popolazione giovane meno numerosa (quella che usufruirebbe dei servizi) sono meno incentivati a presentare domanda.
L’analisi per singolo investimento (per la quale si rinvia a Irpet, “Federalismo in Toscana n. 4”, in corso di stampa) conferma in linea generale i risultati emersi dal quadro complessivo, ma aggiunge alcuni spunti interessanti. In particolare, risulta evidente che la pressione sociale, legata alla domanda di servizi, spinge i comuni a partecipare di più ai bandi quanto più alta è la quota di popolazione interessata a quei servizi. Ma la logica è solo parzialmente compensativa: l’obiettivo di recuperare il gap ha una incidenza solo secondaria sulle scelte dei comuni più lontani dai target.
In definitiva, dai dati emerge che la difficoltà di colmare i divari del paese attraverso interventi una tantum, per quanto poderosi, si scontra con ritardi strutturali e con la sfida di una gestione ordinaria complessa, una volta concluso l’evento straordinario.
La diffidenza verso il Pnrr, a causa di un futuro incerto sul piano delle risorse, ha già trovato conferma nella nuova legge di bilancio, che – pur con il Pnrr ancora in corso – interviene sia sulle risorse finanziarie che su quelle umane delle amministrazioni, a danno soprattutto delle realtà più fragili.
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Savino
Ma quanto costano questi servizi? C’è un problema deontologico e speculativo dei progettisti…
Enrico
Da decenni si impongono norme che “scoraggiano” la spesa della PA, specialmente per il personale. Un governo normodotato (Conte 2, Draghi, Meloni?) le avrebbe sospese almeno per il PNRR.