La società Alviero Martini, benché non indagata, è stata commissariata perché non ha esercitato controlli sui suoi fornitori, accusati di sfruttamento dei lavoratori. Ai committenti si chiede di introdurre meccanismi per monitorare la filiera produttiva.

Il caso

Dal settembre 2023 i Carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno avviato un’indagine su alcuni degli opifici dove venivano prodotti diversi beni poi rivenduti da Alviero Martini con il proprio marchio. All’interno dei siti produttivi, le forze dell’ordine hanno accertato che i lavoratori erano impiegati in condizioni di sfruttamento (pagamento sottosoglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro inadeguati), in totale spregio delle norme in materia di sicurezza sul lavoro. Queste condotte sono state ritenute rilevanti a norma dell’art. 603-bis del codice penale, che punisce il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (meglio conosciuto con il termine di caporalato) previsto anche quale reato presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti, a norma del decreto legislativo n. 231/2001. Ciò nonostante, fino a oggi la società non risulta indagata, né risultano sottoposti personalmente a indagine i suoi legali rappresentanti.

La misura di prevenzione

Per queste ragioni, il 21 novembre 2023, la procura di Milano ha richiesto l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria (il cosiddetto “commissariamento”) nei confronti della società e a norma dell’art. 34 Dlgs n. 159/2011. Gli accertamenti hanno, infatti, evidenziato che, nel contesto di un piano gestionale tendente all’“abbattimento dei costi” e alla “massimizzazione dei profitti”, la società non avrebbe né verificato la reale capacità imprenditoriale delle aziende appaltatrici a cui affidare la produzione, né tantomeno avrebbe effettuato ispezioni per valutare le reali condizioni dei lavoratori e degli ambienti di lavoro; e ciò, da quanto si apprende, nonostante fosse a conoscenza dell’esternalizzazione non autorizzata della produzione a sub-fornitori.

Il tribunale di Milano, il 15 gennaio 2024, ha accolto la richiesta della procura. Nel provvedimento, ha sottolineato in particolare come il meccanismo irregolare di produzione sia stato colposamente agevolato dalla società, la quale si è astenuta dall’effettuare qualsiasi attività di controllo e vigilanza sulla propria filiera produttiva. Per tali ragioni, il tribunale ha disposto che l’intervento degli amministratori giudiziari si concentri sull’analisi dei rapporti con le imprese fornitrici, per impedire che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e subappalti con realtà imprenditoriali che adottino condizioni di sfruttamento dei lavoratori punite dall’art. 603-bisdel codice penale. L’incarico dovrà ricomprendere anche la rimozione dei rapporti contrattuali in essere con soggetti direttamente o indirettamente collegati a tali realtà imprenditoriali e l’adozione del modello organizzativo previsto dal Dlgs n. 231/2001. 

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I precedenti della procura di Milano

È solo l’ultimo, in ordine di tempo, dei casi in cui, su iniziativa della procura di Milano, una azienda (in questo caso del mondo della moda di lusso) viene sottoposta alla misura del “commissariamento” per effetto dell’applicazione delle misure di prevenzione previste dal cosiddetto Codice antimafia. Prima di questa vicenda, altri grandi nomi del panorama imprenditoriale nazionale e internazionale sono stati sottoposti al medesimo trattamento (si pensi ad esempio a Uber Italy, Esselunga, Bartolini, solo per citare alcuni esempi balzati agli onori della cronaca): la procura di Milano, secondo quanto si apprende, vi avrebbe rilevato l’adozione di una politica di riduzione dei costi sul personale fondata sullo sfruttamento sistematico dei lavoratori.

Rispetto ai precedenti, il caso Alviero Martini è caratterizzato da un dato assai significativo e del tutto inedito: né la società né i suoi dirigenti, per quanto è noto, sono attualmente sottoposti a indagine. Il che, d’altra parte, è assolutamente coerente con la ratio delle misure di prevenzione che, per definizione, possono essere disposte anche indipendentemente dall’accertamento di un reato a carico del soggetto nei cui confronti sono applicate.

La disciplina del Dlgs 159/2011, pensata per contesti di criminalità mafiosa, oggi inizia a trovare applicazione in ambiti che con tale origine non hanno nulla a che vedere. In questo nuovo filone, che ragionevolmente conoscerà un florido sviluppo da qui a venire, la procura e il tribunale di Milano (sezione specializzata misure di prevenzione) stanno certamente ricoprendo il ruolo di precursori.

Ovviamente, tali iniziative, nella misura in cui sono perimetrate all’ambito di competenza territoriale dei magistrati milanesi, potrebbero produrre effetti distorsivi sulla concorrenza rispetto ai soggetti che operano in contesti ove, finora, non si segnalano iniziative di questo genere. D’altra parte, queste iniziative obbligano le aziende, non solo quelle più virtuose, a introdurre meccanismi per monitorare la propria filiera produttiva, con ciò generando un effetto a catena che, in futuro, escluderà dal mercato i fornitori che non osservano i presidi normativi.

La rilevanza penale del mancato controllo sulla filiera alla luce della CS3D

Attualmente, seppur formalmente estranea al reato, la Alviero Martini si trova quindi a rispondere dell’assenza totale di controllo sulla propria catena produttiva e dell’inerzia di fronte alla scoperta dei subappalti realizzati da parte delle società fornitrici. È interessante notare le principali peculiarità di questa decisione:

  • l’emissione di una misura di prevenzione, pur in assenza dell’applicazione di una norma specifica o di un rapporto contrattuale con le società fornitrici che obbligasse la società a monitorare la propria catena produttiva mediante una due diligence;
  • il fatto che la società si sia trovata a subire le conseguenze imprenditoriali e reputazionali del reato indipendentemente dal fatto di essere coinvolta nella commissione dello stesso.
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La rilevanza del provvedimento è ancor più evidente laddove la si associ alla prospettiva di una responsabilità civile della società, con conseguente rischio di risarcimento del danno, derivante da una violazione della proposta di direttiva europea sulla Corporate Sustainability Due Diligence (“CS3D”). La proposta mira a promuovere un comportamento societario sostenibile e responsabile lungo le catene globali del valore prescrivendo obblighi di due diligence rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali. Nello specifico, il testo della proposta prevede, all’articolo 22, che gli stati membri provvedano a che ciascuna società sia responsabile dei danni dalla stessa cagionati, laddove:

  • non abbia ottemperato, a determinate condizioni, agli obblighi di prevenzione degli impatti negativi potenziali e di cessazione degli impatti negativi effettivi;

e laddove

  • a seguito di tale inadempimento, vi sia stata la produzione di un danno nei confronti dell’interesse giuridico di una persona fisica o giuridica protetto dal diritto “nazionale”.

In questo caso, al soggetto danneggiato dovrà essere riconosciuto il diritto ad ottenere una “full compensation” a norma della CS3D.

Il caso Alviero Martini è un esempio di come, pur in assenza di una normativa vincolante specifica – e in particolare nel caso di approvazione della CS3D – nel prossimo futuro, di fronte a una condotta che consista nel mancato controllo della propria filiera produttiva, potrebbero essere invocate contestualmente nei confronti di una società una responsabilità civile, penale e amministrativa, a norma del Dlgs n. 231/2001, e, addirittura, di prevenzione, provocando incalcolabili danni economici e reputazionali. Ne consegue in modo sempre più evidente la necessità dell’adozione da parte delle imprese committenti dei cosiddetti “modelli 231” (ovvero schemi di attuazione di quanto previsto dal Dlgs n. 231/2001) integrati con modelli di sostenibilità, che siano in grado di mappare e prevenire trasversalmente alcuni dei rischi connessi a eventuali responsabilità nella gestione della filiera produttiva. 

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