Le catene globali del valore possono favorire la crescita economica, soprattutto nei paesi emergenti. Il ridisegno delle politiche per le nuove realtà produttive non è però semplice e richiede un coordinamento tra stati e istituzioni sovranazionali.

Catene globali e politiche nazionali

Negli ultimi tempi la globalizzazione si trova di fronte a numerosi ostacoli, come le tensioni geopolitiche tra la Cina e i paesi occidentali, gli effetti della pandemia, l’invasione dell’Ucraina e il conflitto tra Israele e Hamas. Nonostante tutte queste sfide, le catene globali del valore (Global Value Chains – Gvc), caratterizzate da imprese specializzate in specifiche fasi di produzione localizzate in paesi diversi, hanno segnato l’evoluzione dell’economia globale dall’inizio degli anni Novanta e sono ancora protagoniste indiscusse dell’economia mondiale.

Il ruolo delle Gvc come motore della crescita economica è stato diffusamente analizzato nella letteratura, che ne ha sottolineato gli effetti positivi sulla produttività e sull’occupazione di molti dei paesi in via di sviluppo coinvolti. Diversi governi e organizzazioni internazionali le hanno quindi considerate esplicitamente nelle loro strategie di sviluppo a livello regionale, nazionale e globale.

Tuttavia, nonostante l’enorme entusiasmo nei confronti delle catene globali del valore, permane una sostanziale ambiguità riguardo alla loro influenza nelle politiche nazionali e internazionali. Con Carlo Pietrobelli e Ari Van Assche abbiamo qui analizzato le politiche orientate alle Gvc, confrontandole con quelle pubbliche tradizionali, distinguendo in base agli obiettivi che perseguono: favorire la partecipazione nelle catene globali del valore, migliorare la posizione delle imprese in termini di valore aggiunto, aumentare l’inclusività e infine accrescere la resilienza.

L’analisi delle politiche

Una prima novità delle politiche orientate alle Gvc è lo spostamento dell’attenzione dalle industrie alle funzioni e alle fasi nella catena del valore, in particolare a quelle immateriali ad alto valore aggiunto. Le politiche orientate alle Gvc si focalizzano di più sulla promozione di specifiche funzioni e fasi che, in generale, su interi settori. Per esempio, un obiettivo centrale delle politiche di partecipazione è quello di approfondire la specializzazione affinché i paesi possano concentrarsi su quelle funzioni nelle quali hanno un vantaggio comparato. Nel caso delle politiche volte a rafforzare la creazione di valore aggiunto, un obiettivo chiave è quello di aiutare i paesi ad aumentare la produttività nelle attività esistenti o a muoversi verso funzioni e fasi a maggiore valore aggiunto. In entrambi i casi, i governi sono spinti ad adottare una visione più granulare del tipo di attività da sostenere per promuovere lo sviluppo economico e il cambiamento strutturale.

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Conseguentemente, nei paesi sviluppati molti governi hanno adottato un mix di politiche industriali volte a creare infrastrutture digitali e a offrire incentivi alla ricerca e sviluppo per attrarre le attività a più elevata intensità di capitale umano. Anche nei paesi in via di sviluppo, i governi cercano di spostare i sistemi economici verso attività a più alto valore aggiunto. Ad esempio, il governo malesiano ha investito in centri tecnologici come il National Applied R&D Center dove si trovano laboratori che offrono un’ampia gamma di servizi digitali, accessibili ai fornitori delle Gvc a tariffe agevolate.

In secondo luogo, le politiche per le Gvc enfatizzano il ruolo dei collegamenti e delle relazioni. I collegamenti esteri possono fungere da potente canale per l’accesso a conoscenze e risorse straniere che sono sfruttate per migliorare le capacità tecnologiche e operative locali. Per questo motivo, molti governi hanno introdotto politiche per migliorare la diffusione della conoscenza attraverso le relazioni esistenti nelle Gvc. Un esempio è fornito dal governo cileno che da molti anni promuove reti di fornitori per rafforzare le collaborazioni e ridurre il divario di conoscenze tra le imprese leader della catena e i fornitori di input. D’altro canto, i collegamenti con l’estero possono aumentare la dipendenza delle attività nazionali dalle risorse estere, sollevando interrogativi sulla resilienza economica. Una preoccupazione centrale dei decisori politici è quindi come sviluppare politiche di connessione globale che regolino e rafforzino adeguatamente i collegamenti nelle Gvc in modo che promuovano l’acquisizione di valore, garantendo al tempo stesso un livello adeguato di resilienza economica.

In terzo luogo, le politiche orientate alle Gvc sottolineano il ruolo di primo piano delle imprese, tanto di quelle leader quanto dei fornitori nei diversi stadi della catena. Per esempio, imponendo principi di due diligence aziendale che rendono le imprese leader della catena responsabili dell’impatto sociale e ambientale delle azioni dei loro fornitori, i governi possono fare pressione su queste affinché modifichino le condizioni di partecipazione alla catena di fornitura e dove, quando e da chi viene aggiunto valore. Nel 2017 il governo francese ha introdotto una legge che impone l’obbligo di esercitare la due diligence sui diritti umani. Similmente, la Commissione europea ha recentemente adottato una proposta che impone alle aziende dell’Ue di condurre processi di due diligence relativi ai diritti umani e all’impatto ambientale. Ridisegnare gli strumenti politici per le realtà produttive nelle quali le catene globali del valore svolgono un ruolo dominante, tuttavia, è spesso più facile a dirsi che a farsi. Le complesse e intricate relazioni tra funzioni, collegamenti e imprese richiedono ai decisori politici di andare oltre il tradizionale approccio a silos, in cui ogni ministero persegue i propri obiettivi in modo autonomo. In un mondo caratterizzato dalle Gvc, le politiche commerciali, dell’innovazione, industriali e sociali devono essere sempre più connesse e coordinate. Inoltre, l’impatto globale delle Gvc richiede anche coordinamento tra paesi e con le istituzioni sovranazionali per evitare strategie di arbitraggio, grazie alle quali le imprese leader della catena approfittano per esempio di differenziazioni regolamentari e fiscali tra paesi. L’accordo del G7 per un’aliquota minima globale dell’imposta sulle società ne è un buon esempio.

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