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Come togliere il trasporto merci dal binario morto

Nonostante la completa liberalizzazione del mercato, anche in Italia il trasporto merci su ferrovia è in declino. Per ridare slancio al settore, più dei costosi investimenti europei in infrastrutture, può essere utile il ripristino di un incentivo.

La liberalizzazione

La liberalizzazione europea del trasporto ferroviario merci, completata ormai più di due decenni fa, non si è limitata ad aprire i cancelli del mercato, ma è riuscita anche ad attrarre nuovi operatori: si sono presentati in buon numero nei diversi mercati nazionali e vi hanno complessivamente acquisito quote consistenti, sino a superare in diversi casi la quota dell’incumbent. In nove paesi dell’Ue gli operatori nuovi entranti avrebbero conseguito nel loro insieme una quota di mercato superiore al 50 per cento (grafico 1).

Tra i nove paesi c’è l’Italia, seconda dopo la Romania per la più alta presenza di nuovi operatori, e prima tra gli stati occidentali dell’Ue, davanti anche alla Germania.

Grafico 1 – Quote complessive degli operatori merci diversi dal principale (dati in %)

Fonte: Commissione Ue, Dg Move, Transport in Figures 2023

Nessun rilancio della ferrovia

L’aumento della concorrenza non ha tuttavia prodotto una crescita del mercato sufficiente a interrompere il declino della quota del ferro e non ha quindi contribuito alle politiche comunitarie di rilancio della ferrovia, principalmente basate su costosi programmi di investimenti infrastrutturali. Ricercare le condizioni affinché le linee esistenti possano beneficiare di un maggiore utilizzo da parte delle compagnie ferroviarie può contribuire al riequilibrio modale in maniera assai più efficiente rispetto all’apporto dato dai nuovi investimenti.

Dopo la liberalizzazione ferroviaria, il trasporto su gomma ha continuato a crescere a velocità molto superiore rispetto al ferro, con un aumento complessivo del 34 per cento nell’Ue-27 tra il 2002 e il 2021, contro l’11 per cento per il ferroviario e il 17 per cento per il marittimo infra-Ue.

Nell’ultimo anno il trasporto ferroviario merci dell’intera Ue risultava ancora del 5 per cento inferiore al 2007, antecedente l’inizio della recessione. La minor crescita del trasporto ferroviario merci si è riflessa sulla quota modale del comparto. Nel 2021 solo il 16,4 per cento delle merci via terra viaggiava per ferrovia nell’Ue-27 contro quasi il 22 per cento nel 1995 e il 18 per cento nel 2002. La liberalizzazione ha inizialmente solo frenato la caduta, per poi stabilizzare la quota tra la metà del primo e quella del secondo decennio del secolo. Tuttavia, una nuova tendenza riduttiva è riemersa negli anni che hanno preceduto il Covid (grafico 2).

Grafico 2 – Quota modale del trasporto ferroviario nell’UE-27 (dati % calcolati sulle tonn. km trasportate)

Fonte: elaborazioni su dati Commissione Ue, Dg Move, Transport in Figures 2023

La quota modale esaminata nei diversi paesi vede particolarmente virtuosi quelli dell’Est Europa, storicamente caratterizzati da un maggior ruolo del trasporto ferroviario, con i Baltici sopra il 40 per cento e tutti gli altri tra il 20 e il 35 per cento, inclusi Austria, Svizzera, Svezia e Finlandia. Dei restanti paesi dell’Ue occidentale, la Germania resta l’unica ad avvicinare il 20 per cento e anche l’unica al di sopra del dato medio dell’Eu-27 del 16,4 per cento. L’Italia, col 12 per cento, è sensibilmente al di sotto, precede però altri grandi stati come Francia e Spagna.

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La situazione in Italia

In Italia nei primi anni dopo la liberalizzazione i nuovi entranti hanno interrotto la tendenza alla riduzione, che era in corso nella fase ancora monopolistica, e sino al 2007 hanno ottenuto un incremento delle quantità trasportate. Il periodo recessivo, iniziato nel 2008, ha condotto a una battuta d’arresto nella loro crescita, in contemporanea con un notevole ridimensionamento dell’offerta dell’operatore pubblico.

Grafico 3 – Il trasporto ferroviario merci in Italia per tipologia di operatore (dati in mld. di tonn. km)

Fonte: elaborazioni su dati Conto nazionale dei trasporti

Dal 2015 al 2020, l’attività dei nuovi operatori è rimasta stazionaria, mentre i volumi complessivi del mercato si sono lievemente ridotti. Solo nel 2021-2022 si è avuta una robusta ripresa, con una crescita di oltre il 17 per cento, che si è interrotta nel 2023, quando, nel primo semestre, vi è stata una riduzione dell’8,5 per cento. Nello scorso agosto problemi consistenti di capacità si sono manifestati in due dei quattro principali trafori ferroviari delle Alpi. Il Fréjus è rimasto bloccato per una frana caduta il 27 agosto e sembra non possa essere riaperto sino alla fine del 2024; poco prima, il 10 agosto, un deragliamento aveva compromesso l’agibilità del tunnel svizzero del Gottardo, riaperto parzialmente il 23 agosto, con riduzione di capacità di circa due terzi per la necessità di utilizzare alternativamente nei due sensi di marcia l’unica canna agibile.

I trafori alpini sono fondamentali per il traffico ferroviario merci dell’Italia che è per due terzi internazionale, al contrario di altri paesi – come Germania, Polonia e Francia – in cui prevale invece la componente domestica: per due terzi in Germania e Francia e tre quarti in Polonia (grafico 4).

Grafico 4 – Il trasporto ferroviario merci per tipologia di percorso (dati 2022 in mil. di tonn. trasportate)

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat

Dato che il trasporto ferroviario italiano è concentrato sul segmento internazionale, la ferrovia ha potuto conservare un’elevata quota modale nell’interscambio mercantile attraverso le Alpi (grafico 5). È prossima al 40 per cento per l’arco alpino in senso stretto e si mantiene su un apprezzabile 36 per cento quando si includono anche i transiti via Ventimiglia e Tarvisio. Questo valore è una media tra il 75 per cento su tutti i transiti verso la Svizzera, il 28 per cento verso l’Austria e il ridottissimo 8 per cento nei confronti della Francia.

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Grafico 5 – Interscambio commerciale attraverso le Alpi (dati in milioni di tonn. trasportate)

Fonte: elaborazioni su dati Commissione Ue, Dg Move, Transport in Figures 2023

Gli incentivi

Data la rilevanza dei trafori per l’interscambio dell’Italia e la difesa della quota della ferrovia, quali politiche possono essere adottate? Le misure di incentivazione decise dal 2015 in avanti hanno assunto la forma di rimborsi parziali, erogati a posteriori dopo una complessa rendicontazione, di parte del pedaggio sostenuto per l’utilizzo della rete. La riduzione riguardava la componente B del pedaggio, la cui funzione è di permettere al gestore di rete di coprire una porzione del costo medio più elevata rispetto al solo costo marginale, coperto invece dalla parte A.

In aggiunta, in epoca Covid è stata introdotta per il triennio 2020-2022 – questa volta con compensazione pubblica diretta in favore di Rfi dei minori ricavi conseguiti – la riduzione diretta della parteB del pedaggio (che pesa per circa due terzi sul totale) in una percentuale variabile che ha oscillato tra il 100 e il 40 per cento, a seconda dei periodi. Questa seconda misura, non più riattivata nel 2023, è identica a quella che chi scrive aveva proposto come misura principale per incentivare il trasporto ferroviario merci nel periodo in cui è stato consigliere economico del ministro dei Trasporti durante il governo Conte I.

Rispetto alla norma merci in vigore dal 2015, la misura ha un maggiore effetto incentivante, dato che la tariffa di pedaggio è ridotta in maniera certa ex ante e non incerta ex post, e può essere traslata immediatamente e in sicurezza in favore degli utenti ferroviari. Dall’altro lato, ha modalità applicative molto più semplici, in quanto prevede un trasferimento diretto in favore di Rfi dei fondi pubblici a compensazione della riduzione del pedaggio.

Sarebbe dunque opportuno valutare il ripristino di questa modalità, facendola divenire la tipologia d’incentivo principale. Con un ridotto impegno finanziario pubblico addizionale. sarebbe possibile contribuire al rilancio del trasporto merci su ferro in modo molto meno costoso rispetto ai cospicui investimenti necessari per la realizzazione di nuove infrastrutture. D’altra parte, le reti si costruiscono per farvi circolare persone e merci e se non vi si riesce si dimostra che non erano poi così utili.

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Se l’auto elettrica rallenta

  1. Angelo

    La cosa che non mi è chiara è quali sono i motivi per cui si continua a privilegiare la gomma rispetto al ferrovia. Si tratta solo di una questione di costo o ci sono altre motivazioni? E se fosse solo una questione di costo, com’è costruito tale costo? L’idea d’incentivare, con soldi pubblici, il trasporto in ferrovia può avere sicuramente un senso, ma bisogna capire come e perché. Abbiamo pagato con soldi pubblici, la costruzione delle tratte, continuiamo a pagare progetti, alte velocità, val di Susa varie e dobbiamo anche pagare per fare utilizzare quel che abbiamo costruito? Paghiamo con soldi pubblici i costi, mentre i guadagni le gestiscono soggetti privati?

  2. Savino

    All’Italia è piaciuto solo il matrimonio con la famiglia Agnelli, questi poi sono i risultati.

  3. Luca Antonellini

    La ferrovia in Italia sconta una enorme difficoltà di pianificazione storica. Provo a semplificare il mio pensiero: ci sono infatti troppi porti e troppi interporti. E tutti chiedono maggiori infrastrutture, potenziamenti, raccordi, raddoppi. E di solito il decisore politico, per convenienza, chi più chi meno, li accontenta. Ma il trasporto ferroviario, per funzionare, ha bisogno di una condizione base: i volumi, e di una accessoria: possibilmente bilanciati sulle tratte. La pluralità dei nodi, invece, frammenta i volumi e, di conseguenza, favorisce la modalità più flessibile, i.e. la gomma. Sul futuro non vedo grandi cambiamenti di rotta all’orizzonte. Ne consegue che anche un finanziamento ad hoc credo sia destinato a produrre risultati soltanto marginali. Sicuramente ai nostri conti pubblici la diversificazione degli investimenti dal ferroviario ad altri settori, quali ad es. il contrasto al degrado idrogeologico, non potrebbe che giovare portando maggiori benefici alla collettività. Forse, però, con l”effetto collaterale” di qualche voto in meno.

    • Emanuele Bitetto

      Egregi signori in Italia il trasporto merci su gomma movimenta miliardi di litri di gasolio. Gli autisti di camion sono 1.170.000 a cui vanno aggiunti migliaia di gommisti elettrauto meccanici e trattorie. Aggiungeteci i fabbricanti di TIR e pneumatici e scoprirete che dietro il trasporto di merci su gomma c’è una Galassia. Dietro il trasporto merci su rotaia c’è un meteorite di alcune migliaia di individui. Non vale la pena proseguire, arrivateci da soli.

  4. bob

    la consulenza potremmo chiederla ai “signori” Agnelli . Dal ferro al mare, qualcuno si dimentica che fino a pochi anni fa c’erano TIR che partivano dal Nord per portare merce al Sud Italia. Follia pura oltre che atteggiamento a dir poco criminale. poi sono sorte le autostrade del mare. Per portare un esempio: la line a Firenze – Siena considerata non di primaria importanza e con un collegamento da epopea del Far West è sempre strapiena di pendolari ma soprattutto di turisti di tutto il mondo. Basterebbe prendere esempio dalla Svizzera per capire come si agisce. Le tratte interne completamente abbandonate hanno alimentato lo spopolamento dei territori e non hanno favorito uno sviluppo turistico potenziale. L’ economia di un Paese non può essere gestita da soggetti che sanno fare solo 2+2=4 perchè è una facilitazione da salumiere. Le linee interne devono essere concepite con un ritorno economico diverso ma soprattutto in una visione lungimirante cosa possibile. L’ Italia provincialotta dei “capitalisti straccioni” a portato questi risultati

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