I dati mostrano un bilancio dell’andamento dell’occupazione nel 2023 sostanzialmente positivo, grazie anche ai buoni risultati delle imprese. Quanto alle prospettive future, occorre eliminare gli ostacoli all’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Nel 2023 l’occupazione cresce
Con la pubblicazione, il 21 marzo, dei dati Inps sull’occupazione dipendente delle imprese extra-agricole, il quadro informativo sulle dinamiche del mercato del lavoro nel 2023 si può dire completato, almeno per le variabili principali.
Il fatto basilare sicuro è la crescita dell’occupazione, con un ampio superamento del livello pre-pandemico. La crescita è attestata da tutte le fonti statistiche: nella tabella 1 sono riportate le variazioni assolute intervenute nell’ultimo anno, confrontando l’ultimo dato del 2023 con l’ultimo dato del 2022, e nel periodo a cavallo del Covid, confrontando l’ultimo dato del 2023 con il corrispondente ultimo dato del 2019 (assunto come riferimento pre-Covid).
Tabella 1 – La dinamica occupazionale in Italia 2019-2023
I dati delle tre fonti di informazione
Le tre fonti si differenziano per tanti aspetti, relativi alla loro costruzione (Inps si basa su dati amministrativi; l’indagine Istat sulle forze di lavoro si basa su un’indagine campionaria; la contabilità nazionale Istat integra diverse fonti), al riferimento temporale (il trimestre per la contabilità nazionale, il mese per l’indagine Istat sulle forze di lavoro, l’ultimo giorno del mese per Inps), al perimetro considerato (la contabilità nazionale è onnicomprensiva, l’indagine sulle forze di lavoro considera le famiglie residenti, Inps-Osservatorio precariato riporta i dati dei dipendenti delle imprese private extra-agricole) e agli indicatori utilizzati (occupati/teste o posizioni/rapporti di lavoro o unità di lavoro/occupati equivalenti tempo pieno).
Ciononostante, le tre fonti supportano in modo nettamente convergente queste indicazioni:
a. la crescita occupazionale nel 2023 si è attestata attorno alle 400-500 mila unità (comunque calcolate e identificate) e risulta almeno il doppio se consideriamo l’intero periodo 2019-2023: la caduta intervenuta durante il Covid è stata quindi ampiamente recuperata;
b. tutta la crescita è imputabile al lavoro dipendente, mentre gli indipendenti risultano in flessione nell’insieme dei 4 anni (come del resto nell’ultimo ventennio), nonostante segnali di recupero intervenuti nel 2023;
c. all’interno del lavoro dipendente la crescita è attribuibile soprattutto al tempo indeterminato: Istat si spinge fino a considerarla esclusiva. Su questo punto, in prospettiva storica di medio periodo (l’ultimo decennio), i due grafici successivi illustrano l’alternarsi del tempo indeterminato, da un lato, e dell’insieme delle altre posizioni contrattuali (inclusi gli apprendisti), dall’altro, nel determinare – in positivo o in negativo – la dinamica occupazionale. Particolarmente compatta è l’informazione ricavabile dai dati Inps: nel periodo post-Covid la dinamica occupazionale è stata sostenuta tra il 2021 e l’autunno 2022 prevalentemente dal recupero delle posizioni a termine (crollate nel 2020), mentre a partire dalla fine del 2022 l’incremento è dovuto principalmente, ma non esclusivamente, al tempo indeterminato: incrementi si registrano infatti per le posizioni di apprendistato come pure per quelle di lavoro stagionale, di somministrazione, di tempo determinato e di lavoro intermittente. Da notare, per quanto riguarda il tempo indeterminato, che mentre nei dati Inps non risulta alcuna contrazione nel periodo Covid (per effetto dell’intervento della Cig che assicura la costanza del rapporto di lavoro e del blocco dei licenziamenti economici), nei dati Istat si registra una significativa caduta, dovuta all’esclusione dei cassintegrati over 3 mesi dall’insieme degli occupati.
Figura 1
Figura 2
Part-time, cassa integrazione e tirocini
Altri elementi importanti di valutazione emergono dai dati resi disponibili e si possono ritenere ormai consolidati:
a. l’incidenza del part-time nel post-Covid non è aumentata, anzi: secondo Inps tra le assunzioni a tempo indeterminato quelle a part time che incidevano per il 40 per cento (o più) negli anni pre-Covid mentre nell’ultimo biennio sono state il 32-33 per cento; secondo Istat (dati trimestrali forze di lavoro) i dipendenti a part time nel 2019 erano il 26 per cento, nel 2023 sono scesi al 23 per cento;
b. i cassintegrati (dati Inps) nel 2023 sono diminuiti: sono stati (media mensile) circa 273 mila – valore di poco inferiore a quello del 2022 (289 mila) – con una media mensile di ore integrate pari a 40 (circa un quarto dell’orario complessivo di lavoro);
c. il settore delle costruzioni (dati Inps) incide per il 21 per cento sulla crescita occupazionale del periodo 2019-2020, per il 13 per cento se consideriamo solo quella del 2023;
d. utilizzando una fonte diversa, dalle comunicazioni obbligatorie delle imprese ricaviamo che stanno continuamente diminuendo le attivazioni di tirocini extracurriculari: -10 per cento nel 2023 rispetto al 2022, – 20 per cento rispetto al 2019.
Le prospettive future
Questi andamenti, nel complesso positivi, riflettono il buon andamento dell’economia e soprattutto dei conti delle imprese, nonostante tutte le persistenti criticità internazionali (guerre) e nazionali (dinamica della produttività, tenuta dei conti pubblici e disuguaglianze, soprattutto in chiave territoriale).
Possono proseguire? Dal lato dell’offerta, lo spazio, sotto il profilo dei numeri, c’è ancora, nonostante i problemi demografici all’orizzonte, ed è lo spazio implicito nel basso tasso di occupazione (62 per cento), significativamente aumentato negli ultimi anni, ma ancora lontano dalla media europea. È possibile in particolare che l’occupazione dipendente regolare aumenti ancora, se l’evoluzione del sistema produttivo, da un lato, e la costruzione istituzionale di un ambiente favorevole al lavoro, dall’altro, saranno in grado di interagire adeguatamente con i problemi sottesi al mismatch tra domanda e offerta, problemi che sono all’origine della crescita del tasso di posti vacanti (nel 2023 sempre superiore al 2 per cento). L’incontro tra domanda e offerta di lavoro è via via divenuto più problematico perché non si tratta semplicemente di far circolare le informazioni sui disoccupati (in contrazione) dal lato dell’offerta e sui posti vacanti dal lato della domanda, informazioni che, anzi, oggi circolano in abbondanza. Di mezzo, a ostacolare la facilità dell’operazione, ci sono le competenze possedute che non corrispondono a quelle richieste, le gradazioni diversificate di disponibilità dell’offerta (in tema di orari, mobilità e altro), la domanda (soprattutto) dei giovani di percorsi di crescita e riconoscimento professionale e salariale, le esigenze di fidelizzazione delle imprese. In un mercato del lavoro caratterizzato in molte regioni da bassi tassi di disoccupazione, le aziende non sono in grado di imporre unilateralmente le proprie condizioni, mentre per molte categorie di lavoratori le possibilità di scelta si sono dilatate, incluse (specie per i giovani istruiti) le opzioni di exit (verso l’estero): con questo contesto le imprese e i sindacati devono interagire, con le necessarie innovazioni sui fronti del reclutamento e della gestione del personale.
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Maurizio Tosi
Anche Bruno Anastasia, da sempre punto di riferimento per la sua attenzione al mondo del lavoro e per la capacità di cogliere il portato e le prospettive della crisi economica, a volte sbaglia. Credo che in questo suo lavoro ci sia un errore fondamentale. Il quadro dell’occupazione va letto anche per classi di età e per collocazione professionale . Si può così scoprire che l’aumento occupazionale cresce esclusivamente per la fascia di età 50 anni e più. I dati ISTAT sono a proposito chiarissimi. Solo nella classe 50-64 anni ( dati destagionalizzati gen. 24 gen.23) registriamo un aumento dell’occupazione sia in valori assoluti che in percentuale e il corrispondente calo dei disoccupati che degli inoccupati. Sfugge il perchè solo in questa classe di età si registra un forte aumento occupazionale destinato a aumentare. Sfugge a meno di ricordare che questa classe di lavotatori è stata colpita , in tempi non lontani dal feroce e immotivato prolungamento dei tempi di lavoro per accedere alla pensione. Merito della Fornero se un numero sempre maggiore di ultra sessantenni continuerà ad incrementare, per orgoglio del Governo Meloni, i livelli occupazionali del nostro paese. Coraggio Bruno riguardiamo le carte.
Bruno
Che l’invecchiamento della forza lavoro, e quindi anche degli occupati, si accompagni al generale invecchiamento della popolazione è del tutto logico e fisiologico. Quanto alla relazione con le politiche pensionistiche è indubbio che negli ultimi quindici anni, rispetto al passato, siano state ridotte le possibilità di pensionamento in età ante 64 anni (era possibile fare diversamente?), ma la dinamica degli accessi alla pensione spiega molto parzialmente (sulla base dei dati finora disponibili) la variazione dell’occupazione nella classe 50-64 anni tra 2022 e 2023. E poi, volendo essere pignoli, si può anche verificare che la crescita del tasso di occupazione (destagionalizzato, sempre gennaio su gennaio) per la classe di età 50-64 è stata inferiore (da 62,5 a 63,9: +1,4) a quella dei giovani 25-34 (da 67,0 a 68,6: +1,6). Il pensionamento è un evento importante ma non tutta la vita di una collettività ruota esclusivamente intorno ad esso.
Massimo
Non si capisce però come possa crescere l’occupazione se alla fine non cresce la produzione industriale e anche il PIL cresce poco e non in una percentuale corrispondente. Verrebbe quasi da dire che c’è una maggiore quantità di lavoro per unità di prodotto e quindi anche una bassa produttività. Insomma non sembra oro tutto quello che luccica.
Bruno
Certo la questione della relazione tra dinamica dell’occupazione e dinamica del pil è intrigante. Si possono avanzare diverse spiegazioni afferenti alla misura (sottostima del pil), alla composizione (crescita dell’occupazione sbilanciata verso segmenti e posizioni professionali a bassa produttività), a diverse tempistiche degli aggregati considerati (pil e occupazione non necessariamente variano in simultanea, inoltre ci sono stati ancora effetti dovuti all’onda lunga del rimbalzo post-Covid). Con il tempo (e nuove informazioni e ricerche) si capirà meglio quali siano i fattori prevalenti.