Si possono riconoscere alcuni tratti comuni nelle globalizzazioni di ieri e di oggi. Se ora siamo di fronte alla fine di un ciclo, che cosa accadrà in futuro? Un libro di Marco Magnani prefigura scenari di forte instabilità delle relazioni internazionali.
Le caratteristiche comuni delle globalizzazioni
Periodi di globalizzazione e de-globalizzazione si sono susseguiti nella storia dell’umanità. Basti pensare all’intensità dei traffici marittimi nel Mediterraneo tra le città greche e le loro colonie sparse lungo le coste. Il reticolato di strade pretoriali e consolari costruite dai soldati romani, che favorirono il passaggio di uomini, merci e idee in Europa, Asia e Africa. La rete di carovane di cammelli e beduini, sorta con l’espansione arabo-islamica, che trasportava beni, persone e fede islamica dal Nord Africa fino all’Estremo Oriente. Poi toccò ai mongoli e ai loro mitici cavalli governare gli scambi in un immenso territorio che va dalla penisola coreana alle pianure della Polonia. Spagna e Portogallo prima e poi Olanda, Francia e soprattutto Inghilterra, con i loro imperi coloniali ma anche con le loro flotte, allargarono l’orizzonte geografico della globalizzazione. Così durante la “bella époque”, dal 1850 alla prima guerra mondiale, il mondo conobbe quello che gli economisti, ma non gli storici, definiscono la “prima globalizzazione”.
Tutti questi episodi hanno molte caratteristiche in comune. Innanzitutto, l’esistenza, di volta in volta, di una pax romana, islamica o britannica, che garantisca una certa sicurezza e tranquillità degli scambi. Poi un diritto e una moneta prevalente, che facilitino le controversie e i commerci: la dracma, il denario, il sesterzio e poi il fiorino, la sterlina. Inoltre, l’abbattimento dei dazi e uno sviluppo tecnologico, che agevoli i commerci e riduca i costi di trasporto. Infine, una crescita economica, tecnologica, civile e culturale, prodotta dagli intensi scambi umani e altrimenti impensabile. Tutte le globalizzazioni, poi, sono seguite da un periodo più o meno intenso di rottura dei rapporti d’interscambio commerciale e culturale, nonché di impoverimento globale.
Anche la globalizzazione che abbiamo vissuto a partire dalla seconda guerra mondiale e con maggior intensità dall’inizio di questo secolo, presenta tutte le caratteristiche prima descritte: l’esistenza di una pax americana, rafforzatasi con la caduta dell’Unione Sovietica; la predominanza del dollaro quale moneta di scambio, di fatturazione e di finanziamento; un continuo sviluppo tecnologico che ha ridotto i costi di trasporto e facilitato le comunicazioni, si pensi solo ai container e alla rete web. Tutto questo ha portato una enorme crescita e una forte riduzione della povertà a livello mondiale, stimolato l’innovazione e contribuito alla reciproca comprensione tra i popoli, anche se al costo dell’aumento delle disuguaglianze fra i diversi paesi e al loro interno.
La globalizzazione, secondo taluni eccessiva, con la conseguente forte specializzazione, ha anche aumentato la vulnerabilità degli apparati produttivi quando si verificano shock, accresciuto l’omogeneizzazione culturale, facilitato la perdita di identità locale e nuociuto all’ambiente.
La fine di un’epoca
Ora però lo scenario sembra cambiato e anche questa globalizzazione pare volgere al termine. Il dominio degli Stati Uniti è messo in discussione dalla Cina, dall’India e da numerosi paesi emergenti; la pax americana è stata violata da Russia, Iran, Yemen, Corea; i privilegi goduti dal dollaro sono sempre meno sopportati; le istituzioni internazionali disegnate nel secondo dopoguerra, che vedono il prevalere delle democrazie occidentali, sono contestate; la libertà dei movimenti di merci, servizi e uomini sono ritenuti dalle stesse economie avanzate una minaccia alla sicurezza e all’identità nazionale; l’opinione pubblica è sempre più contraria alla globalizzazione e persino la teoria economica, con la strategic trade theory, sottolinea i fallimenti di mercato e le virtù della politica industriale.
Gli scenari futuri
Di tutto questo parla con sapienza l’ultimo libro di Marco Magnani, Il grande scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione. Il saggio, tuttavia, cerca soprattutto di disegnare quali futuri scenari ci attendono: de-globalizzazione (cioè forte arretramento del processo d’integrazione) o ri-globalizzazione (cioè metamorfosi dell’attuale integrazione)?
La de-globalizzazione poi può assumere diverse gradazioni che vanno da un progressivo decoupling tra le due superpotenze, cioè una sorta di guerra fredda fra i blocchi, fino a un’escalation nella rivalità che porta allo scontro armato per l’egemonia globale. È quello che è successo più volte nella storia. come ci ricorda Graham Allison, professore emerito di Harvard. Questo scenario è stato da lui denominato “trappola di Tucidide”, dalla rivalità narrata dallo storico greco fra Sparta (incumbent) e Atene (new entry), che originò la guerra del Peloponneso.
Tuttavia, Magnani ritiene più probabile che la globalizzazione conosca un processo di frammentazione caratterizzata da una forte regionalizzazione, una crescente prevalenza della politica sull’economia e una elevata volatilità delle relazioni internazionali, soprattutto da parte di quei paesi ridenominati “battitori liberi” (India, Brasile, Turchia e altri ancora). La sua fede liberista, però, lo porta a credere che le democrazie, sempre più messe in discussione dai regimi autoritari, prevarranno e che parafrasando Winston Churchill: “la globalizzazione è forse il peggiore scenario per l’economia e le relazioni tra le nazioni (…) eccezion fatta per tutti gli altri”. Speriamo abbia ragione, ma la storia non ci conforta.
*L’articolo commenta il libro di Marco Magnani, Il grande scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione, BUP 2024, che recentemente pubblicato.
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L22
Vedo molte ingenuità.
L’impoverimento inizia prima della fine della globalizzazione (aumento disuguaglianze in tutti i paesi, anche quelli di successo come la Cina).
L’egemonia delle democrazie occidentali (aka USA e sui vassalli) è un sistema ingiusto che per sua natura che mina la stabilità internazionale. Ad esempio: USA può invadere Iraq, Afghanistan; Israele può fare ciò che vuole in palestina, la Serbia può essere privata del Kosovo ma l’Ucraina non può essere privata della Crimea.
L22
Aggiungo che l’OMC è paralizzata perché gli USA così vogliono: per poter sanzionare chi vogliono senza problemi. La OMC potrebbe essere usata dalla Cina (e altri) contro gli USA.
bob
Brexit, forse gli Inglesi sono stati ampiamente lungimiranti??? Aggiungo che di “troppa democrazia” spesso si muore della stessa