Il turismo di massa, favorito dalle piattaforme, ha causato forti aumenti nei prezzi delle case e lo spopolamento dei quartieri storici di città come Venezia e Firenze. Potrebbe essere arrivato il momento di imporre serie limitazioni agli affitti brevi.
L’Italia e l’Europa
Il dibattito sul turismo di massa è negli ultimi anni arrivato anche in Italia. Se città come Firenze e Venezia soffrono da tempo di un overtourism costretto in spazi estremamente limitati, l’aumento dei flussi turistici nel post-pandemia ha colpito tutto il paese e peggiorato ulteriormente la situazione. Per la prima volta si fa avanti seriamente l’ipotesi di regolamentare il turismo e gli affitti brevi, per mezzi economici, come il ticket a Venezia, o normativi, come il divieto di affitti brevi nel centro, introdotto a Firenze e immediatamente respinto dal Tar. In un dibattito che coinvolge uno dei settori più importanti dell’economia italiana è fondamentale addentrarsi armati di dati e ascoltare cosa ci dice la ricerca.
Secondo i dati Eurostat relativi al 2023, l’Italia è stata per distacco il paese europeo con più visite prenotate da turisti stranieri attraverso piattaforme di “economia collaborativa” (in particolare Airbnb, booking.com, Expedia e TripAdvisor), cioè quelle piattaforme che permettono la condivisione di beni o servizi tra individui privati, gratis o a pagamento (peer-to-peer). Seguono la Spagna, dove hanno fatto molto discutere le recenti proteste contro i turisti a colpi di pistole ad acqua, e la Francia, dove la situazione è molto peggiorata negli ultimi mesi a Parigi, soprattutto in relazione alle Olimpiadi.
Se si considera la durata delle visite, misurata in numero totale di ore trascorse in una struttura prenotata su una piattaforma online, l’Italia è caratterizzata da una forte eterogeneità a livello regionale. Al primo posto si trova la Toscana, con quasi 23,5 milioni di ore, seguono la Lombardia, con poco più di 22,5 milioni di ore, e il Lazio con circa 22,1 milioni di ore. È netto il distacco con la quarta classificata, la Sicilia, a 17,1 milioni di ore, e il Veneto, al quinto posto con 16,1 milioni di ore.
Un podio simile si ripropone per gli affitti medi per regione, sia in valore assoluto che in relazione al reddito medio: se infatti la Val d’Aosta è prima di misura in entrambe le classifiche, ai posti immediatamente successivi troviamo ancora una volta, nell’ordine, Lombardia, Toscana e Lazio. Ovviamente questo non implica alcuna causazione tra affitti brevi e affitti a lungo termine, ma rileva un’importante correlazione a livello regionale che tende a ripetersi a livello provinciale e locale, ed è al centro del dibattito sulla regolamentazione degli affitti brevi.
L’esempio di Venezia
Gli oltre sei milioni di soggiorni dall’estero hanno causato diversi cambiamenti nella struttura sociale delle aree più esposte, primo tra tutti il progressivo svuotamento del centro storico. Nella città di overtourism per eccellenza, Venezia, la popolazione residente nel quartiere più colpito (S. Marco-Castello-S. Elena-Cannaregio) ha subito nei 25 anni dal 1997 al 2022 una riduzione di circa il 30 per cento.
Essendo stata la città italiana colpita più violentemente da turismo di massa in spazi ristretti, Venezia è stata anche la prima a reagire, introducendo un ticket di cinque euro per l’ingresso giornaliero (non applicabile a visite più lunghe di un giorno), che, nel periodo dal 25 aprile al 13 luglio 2024, ha portato alle casse del comune circa 2 milioni, ben oltre i 700mila euro messi a bilancio. Gli effetti del ticket sul turismo giornaliero, a meno di sorprese nei dati finali, sembrano però pochi o nulli.
Gli affitti brevi nel resto del mondo
Airbnb, startup nata a San Francisco nel 2007, è il simbolo di un nuovo stile di viaggio a basso costo che ha permesso a più di un miliardo e mezzo di ospiti di visitare il mondo senza dover passare per un albergo, e può contare oggi più di cinque milioni di host e 7,7 milioni di appartamenti, camere e strutture.
Le reazioni delle autorità locali non hanno tardato ad arrivare: a San Francisco, per esempio, è possibile dare in affitto una camera solo se il locatario vive più di 275 giorni all’anno nell’appartamento, previo l’ottenimento di due licenze. A New York le regole sono ancora più stringenti, si può affittare una camera per meno di trenta giorni unicamente se il locatario vive nell’appartamento per la durata dell’affitto, e per non più di due ospiti alla volta.
In Europa la normativa è più eterogenea. Per esempio, a Parigi basta ottenere una licenza e riportarne il codice nella descrizione dell’immobile, mentre a Londra si può affittare fino a 90 giorni all’anno senza ulteriori limitazioni. A Berlino, invece, dal 2014 al 2018 era necessaria una licenza conferita dal senato della città per poter locare per meno di 60 giorni; dal 2018 in poi, sempre previo ottenimento di una licenza, è diventato possibile per i residenti affittare la prima casa senza limiti e la seconda fino a 90 giorni all’anno. A Barcellona, il sindaco ha annunciato la misura più drastica applicata finora: il comune non rinnoverà alcuna licenza per affitti turistici, vista la breve durata delle licenze già emesse, questo comporterà l’eliminazione del fenomeno entro il 2029.
Lo stato dell’arte
La maggior parte degli studi condotti sul tema sembra essere concorde su un risultato: una maggiore offerta di camere o appartamenti in affitto su Airbnb diminuisce l’offerta sul mercato immobiliare e aumenta gli affitti e i prezzi degli immobili nei quartieri più esposti. Quello che sembra invece difficile da stabilire è esattamente in che misura questo avvenga, e se tale effetto sia sufficiente a giustificare la rimozione della piattaforma, visti i benefici a locatari, locatori e imprese locali.
Secondo uno studio su Barcellona, Airbnb ha causato nei quartieri più turistici un aumento degli affitti del 7 per cento e dei prezzi degli immobili del 17 per cento, mentre le stime sul resto della città sono molto più modeste, all’1,9 e 4,6 per cento rispettivamente. Gli effetti di Airbnb sui prezzi degli immobili a Los Angeles sono stati simili, con valori poco significativi per l’intera città (1,21 per cento), ma estremamente rilevanti per i quartieri più turistici. L’aumento causato dalla diffusione di Airbnb sul prezzo delle case entro 5 chilometri dalla Walk of Fame è stimato al 14,7 per cento.
Uno studio più recente condotto su Berlino, distingue tra gli Airbnb commerciali, vale a dire quelli disponibili per più di 180 giorni all’anno o che generano reddito annuale maggiore dell’affitto medio della zona, e non. Nella capitale tedesca, l’effetto dell’apertura di un Airbnb (commerciale o meno) causa – in un raggio di 250 metri – un aumento degli affitti dell’8 per cento al metro quadro. L’apertura di un Airbnb commerciale causa invece un aumento negli affitti che va dal 13 al 24 per cento.
L’effetto positivo più immediato è quello sperimentato dai turisti, che risparmiano in media 4,3 milioni di euro per notte, di cui 1,8 milioni risultano come perdite per gli alberghi, ma i guadagni sono anche occupazionali, secondo uno studio condotto a Madrid, per ogni 14 camere aggiunte su Airbnb in un dato quartiere vengono creati 11 nuovi posti di lavoro nel settore turistico.
Possibili soluzioni
Non esistono soluzioni facili, i guadagni economici e occupazionali del turismo di massa ne rendono difficile una limitazione senza gravi ricadute sulle economie locali. Esistono però forme intermedie di regolamentazione che possono rendere la situazione sostenibile senza eliminare un mercato altrimenti fiorente. Il governo ha già mosso i primi passi in questa direzione, creando il codice identificativo nazionale, operativo in forma sperimentale in Puglia e presto obbligatorio in tutto il paese. Ma la semplice identificazione e regolarizzazione, pur essenziale, non basta. Un buon compromesso potrebbe essere quello di vietare l’affitto a breve termine di case nei centri storici per più di 90 giorni all’anno, almeno nelle città più esposte, facendo eccezione per immobili in cui anche il proprietario viva per la durata della locazione e per non più di due ospiti alla volta; questo limiterebbe gli Airbnb “commerciali” e i loro effetti sugli affitti e sui prezzi, senza pregiudicarne gli effetti positivi nei quartieri meno centrali o meno sovraffollati.
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Artemisio
Il problema principale è però la grossa pressione lobbistica sviluppata dalle società degli airbnb “commerciali” che stanno sviluppando veri e propri latifondi immobiliari.
La politica nazionale e locale sembra d’altra parte disinteressata quando non accondiscendente rispetto al problema.
Inoltre credo che dovrebbero esserci più studi e analisi rispetto alle ricadute negative dell’economia turistica. Quanto incide realmente sul benessere diffuso di una data destinazione. Quanto invece è piuttosto estrattiva?
Vincenzo Santamaria
I link sono vuoti
bob
visto l’assurda giungla senza regole per pareggiare i conti e operare tutti sullo stesso piano si tolgono tutte le regole e le obbligate procedure agli hotel. Niente portiere, niente tasse, niente regole sanitarie , niente obblighi di assunzione di orari e di doppi turni, niente controlli della Questura etc. etc,. Chi è più bravo sopravvive. Ma come è possibile che un hotel che ha costo camera 80 euro deve confrontarsi con un soggetto che fa il Suo stesso lavoro gestito soltanto da un telefonino?
Per non parlare di condomini letteralmente “brutalizzati” da orde di barbari che senza orario e senza regole e senza la sicurezza di chi entra e di chi esce sovvertono il quotidiano vivere dei residenti.
Caro professore c’è bisogno da farci uno studio sopra o basterebbe un buon di buon senso se il Paese fosse un Paese civile e la politica avesse il ruolo lungimirante che dovrebbe avere?
O no??
Pietro
A Barcellona gli affitti brevi sono bloccati dal 2014.
A quella data le licenze erano circa 10.000.
Non sono state aumentate .
I problemi che si voleva risolvere non sono stati risolti.
E se il blocco degli affitti brevi mon ha risolto forse vuol dire che gli affitti brevi non eramollno il problema.
In effetti, le statistiche dicono qualcosa di diverso.
La fuga dai centri storici e’ una cosa che si registra da oltre 30 anni, da ben prima che gli affitti brevi si diffondessero.
Chi soggiorna in appartamento lo fa per periodi piu’ lunghi rispetto all’albergo e fa la spesa nei negozi di vicinato : il contrario del “mordi e fuggi”.
I dati Istat e quelli elaborati dall’Agenzia delle Entrate ci dicono che i prezzi delle abitazioni non hanno ancora recuperatp quelli della bolla 2008-2010 (e nel 2008-2010 gli affitti brevi non c’erano).
Gli italiami non riescono a pagare affitto o mutuo per il semplice fatto che gli stipendi hanno perso potere di acquisto.
Angelo
Non credo che ci siano facili soluzioni, se da una parte il turismo incrementa alcune attività, dall’altra sicuramente danneggia fortemente chi non ne è legato lavorativamente oltre che per l’aumento degli affitti, anche nella sostituzione di gran parte delle attività commerciali e di servizio in offerte legate solo al turismo. La soluzione adottata da Venezia è proponibile solo per una città così: pochi luoghi di accesso e presenza esclusivamente di turisti in certe zone, o di chi ha attività legate ai turisti. Immaginare a Milano, Roma o anche a Firenze (città più piccola e con un’area turistica più concentrata) una soluzione simile la vedo difficile. Anche le soluzioni individuate dall’autore non sono percorribili. In Italia si evade su tutto, gli affitti brevi sono sicuramente quanto di meno “registrato” esiste, la stessa normativa fiscale prevede delle facilitazioni nella registrazione dei ricavi che permette di evitare qualsiasi controllo e lasciano alla buona fede del propietario la registrazione e il pagamento delle imposte. Inoltre le varie società che organizzano i siti di offerta hanno sede in altri stati e anche questo gettito fiscale incorre in tutte le problematiche che ben conosciamo. Ipotizzare poi, come viene detto nell’ articolo, che ogni 14 stanze su Airbnb si creano 11 posti di lavoro mi sembra fantascientifico per non dire falso. E in ogni caso sono almeno in parte posti di lavoro tolti ad altre strutture (alberghi) che almeno pagano le imposte. Il lavoratore che in “nero” va a pulire le camere degli appartamenti non mi sembra sia il posto di lavoro da rincorrere e di cui andare fieri. Forse, visto le problematiche che questo turismo porta, sarebbe meglio cercare modalità per contrastarlo.
Vittorio
“Un buon compromesso potrebbe essere quello di vietare l’affitto a breve termine di case nei centri storici per più di 90 giorni all’anno,” … altra persona che vuole limitare l’uso della proprietà privata invece di concentrarsi sulle problematiche associtate agli attitti (database per la credibilità degli affittuari, velocità negli sfratti, etc. )
Lettore deluso
Solitamente gli articoli de lavoce sono meno sbrigativi, peccato.
Dopo una pur interessante analisi descrittiva e compilativi della situazione in alcune grandi città, prese un po’ a caso, la soluzione infine proposta appare gracile nelle sua fondamenta concettuali ed estremamente vaga.
Il problema è complesso, investe elementi economici, giuridici, sociali, e tirare fuori dal cappello un numero “90 giorni” (perché non 70, 120 o 30? Perché una limitazione temporale e non di altro tipo? Da applicare ovunque? Chi la deve far rispettare? Con che sanzioni? Calcolate come?) e’ un’operazione buona per una tesi triennale, niente altro.
“Il ragazzo si farà”, ma Lavoce selezioni meglio i suoi contributi.
Fabrizio
In materia capita di leggere molti articoli deludenti. Per esempio cosa c’entra l’overtourism con gli affitti brevi ? Nulla. Poi pensare di limitare il numero di giorni non ha senso, perché chi affitta generalmente vive in un’altra abitazione. Posso contribuire da osservatore nel mio condominio: il problema vero e unico è quando un proprietario affitta fino a 5 stanze. Chiaro che la vita del condominio ne risente. Oltre alla maleducazione, ovviamente, ma mi sento di dire che non è la regoal ma piuttosto un’eccezione.
Enrico
Seguendo la falsariga dell’incipit di molte barzellette sugli economisti, supponiamo di eliminare tutti i B&B. Se la domanda di turismo rimanesse la stessa (e ci sono pochi motivi per dubitarne) dovremmo convertire in alberghi più o meno la stessa volumetria di immobili oggi resa disponibile dai B&B. Quindi la pressione su affitti e prezzi delle case sarebbe quasi la stessa. Anche l’affollamento delle località turistiche sarebbe quasi lo stesso. L’unica differenza rilevante potrebbe riguardare la probabile minore evasione fiscale degli alberghi tradizionali rispetto ai B&B. A questo punto ci si potrebbe chiedere se tutta questa furia regolatoria sui B&B ha davvero senso.
Simon
Purtroppo i link alle fonti non funzionano
Dani Geri
per me è proprio sbagliato che in un condominio che ha finalità residenziali, con una tipologia di persone che, proprietarie o in affitto lungo termine, hanno non solo orari simili ma anche una certa cura del luogo in cui vivono, debbano esserci attività commerciali come i b&B che stravolgono il concetto di condominio. Lo dico con cognizione di causa perché dove vivo il terzo e quinto piano sono diventati affittacamere e la vita è diventata impossibile. Rifiuti nei bidoni sbagliati, sporcizia, graffi di valige sul muro, feste di notte al rientro. La polizia non può fare nulla e il centralino del B&B è fantasma. Una signora sta tentando di vendere il suo appartamento ma quando i potenziali clienti leggono sul citofono B&B scappano. Il problema è reale e non risiede solo nei numeri