Da qui al 2032 il Tesoro britannico rischia di dover pagare fino a 30 miliardi di sterline l’anno per coprire le perdite della Bank of England. Sono le conseguenze delle modalità particolari del Qe britannico. Un problema per il governo laburista.
Una difficile eredità
Per la prima volta nella storia, il Regno Unito ha una ministra dell’Economia donna. L’eventualità di un ministro donna non fu nemmeno presa in considerazione quando l’ufficio del Chancellor of the Exchequer fu costruito, a giudicare dall’orinatoio che tuttora campeggia nel suo bagno. La neoministra, Rachel Reeves, aveva manifestato l’intenzione di disfarsene. I costi preventivati per la sua rimozione, e le complicazioni burocratiche in cui ci si sarebbe impelagati (pare che il pezzo sia sotto tutela data la sua “associazione con Churchill”), l’hanno fatta desistere. Almeno per il momento.
Ma questa non è la sola, discutibile, eredità del passato con cui la nuova ministra si trova a fare i conti.
Le banche centrali di tutto il mondo stanno gradualmente riducendo il loro bilanci (Quantitative tightening, Qt) dopo i massicci acquisti di titoli nel periodo della crisi finanziaria globale prima e della pandemia da Covid-19 poi. Istituzioni come la Federal Reserve americana o la Banca centrale europea stanno perseguendo un Qt “passivo”: semplicemente, attendono che una quota prestabilita di titoli vengano rimborsati a scadenza. La particolarità della Bank of England è di aver adottato un Qt “attivo”, con la vendita di molti titoli prima della loro scadenza. L’obiettivo di riduzione degli attivi è stato fissato a 100 miliardi di sterline per il periodo ottobre 2023-settembre 2024. Vendere titoli dopo che i tassi di interesse sono saliti notevolmente dal 2022 – e quindi dopo che il loro prezzo è calato – comporta inevitabilmente delle perdite. In più, il disallineamento fra rendimenti relativamente bassi dei titoli portati in bilancio con il Quantitative easing (Qe) e alti interessi pagati sulle riserve create con il loro acquisto contribuisce a far emergere perdite anche nei bilanci delle banche centrali non impegnate in una riduzione attiva del proprio bilancio.
Dai profitti alle perdite
Quando i tassi di remunerazione delle riserve erano vicini allo zero, gli interessi sui titoli acquistati garantivano cospicui profitti. La Bank of England trasferiva poi le somme al Tesoro britannico. Praticamente tutte le banche centrali distribuiscono i propri profitti ai rispettivi governi, sebbene le modalità e i criteri con cui una parte degli utili maturati vengono trattenuti sotto forma di riserva di capitale possano variare a seconda delle legislazioni. Tra il 2009 e il 2022, la Bank of England ha cumulativamente trasferito al Tesoro britannico 123,8 miliardi di sterline.
Ora, quel flusso di cassa è diventato negativo. Gli interessi pagati sono superiori a quelli ricevuti e il prezzo di vendita dei titoli è inferiore a quello di acquisto.
Gli statuti delle banche centrali non danno generalmente indicazioni precise su come trattare le perdite emergenti nel conto economico. Uno Staff Working Paper pubblicato proprio dalla Bank of England in aprile analizzava gli statuti di 70 banche centrali, concludendo che 37 non contengono regole esplicite in materia. La prassi vuole che le perdite vengano assorbite dalle riserve di capitale. Esistono tuttavia banche centrali, come la Federal Reserve, che operano praticamente senza capitale proprio. La Fed contabilizza le perdite sotto la voce “other liabilities and capital”, un’entrata destinata a essere “estinta” tramite l’accantonamento dei profitti futuri. In effetti, non vi è nulla che impedisca a una banca centrale di operare con capitale negativo. Sono infatti istituzioni fondamentalmente diverse rispetto alle corporation private o anche alle banche commerciali. Non solo non sono soggette ai requisiti di capitale stabiliti dagli accordi di Basilea, ma possono anche creare le passività che vengono utilizzate dai soggetti privati come mezzi di pagamento. Significa che non possono mai venire meno agli obblighi di onorare i propri debiti, a meno che non siano denominati in valuta estera.
Un conto salato da più di 20 miliardi l’anno
Il programma di Qe attuato dalla Bank of England (Asset Purchase Facility) prevede tuttavia un rapporto del tutto eccezionale di reciprocità fra la banca e il Tesoro nella gestione di profitti e perdite: i profitti – quando e fin tanto che si materializzano – vengono trasferiti al Tesoro. Ma quest’ultimo è chiamato a coprire le eventuali perdite. E si prevede che il conto sia piuttosto salato nei prossimi anni. Secondo le stime della stessa Bank of England il governo britannico potrebbe dover sborsare fra i 20 e i 30 miliardi di sterline all’anno da qui al 2032. La cifra precisa dipenderà da una serie di variabili, tra cui il livello dei tassi di interesse nei prossimi anni e il ritmo con cui verrà condotto il Qt.
Nell’ultimo Asset Purchase Facility Quarterly Report, sono stati prospettati due scenari: il primo prevede una riduzione annua di 100 miliardi di sterline, analoga a quella in corso nel 2024; il secondo incorpora un approccio più graduale, con una riduzione di 80 miliardi all’anno. Naturalmente, le perdite risulterebbero più elevate nel primo scenario.
Le vie d’uscita da questa situazione appaiono per il momento due: la prima passa per una difficile modifica delle regole di bilancio della Bank of England e delle modalità di gestione della Asset Purchase Facility. La seconda punta a sterilizzare l’impatto dei pagamenti da parte del Tesoro sulle finanze pubbliche, escludendoli dal calcolo del debito pubblico utilizzato nel sistema di regole fiscali a cui anche il nuovo governo laburista ha promesso di attenersi. Reeves potrebbe essere chiamata a prendere una decisione in fretta, dato che a ottobre dovrà presentare la sua prima legge finanziaria. Al contrario dell’orinatoio di Churchill, i relitti del passato che ancora ingombrano il bilancio della Bank of England non possono attendere.
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Paolo
Francamente il problema sembra come politico. Non si capisce perché mai la BoE abbia scelto un aggressivo Qt attivo, invece di un Qt passivo, così come non si capisce perché le banche centrali continuio a pagare interessi mostruosi su riserve che hanno letteralmente gonfiato loro stesse col Qe. De Grauwe e altri hanno già parlato di effetti “fiscali” delle politiche monetarie. Si potrebbero mettere tassi negativi sulle riserve in eccesso (visto che per altro l’economia di certo non è surriscaldata) se si vuole accelerare la riduzione della liquidità, oppure aspettare e basta.
Diventa sempre più difficile sostenere che le banche centrali perseguano obiettivi meramente tecnici, visto l’enorme impatto che hanno sulle capacità di spesa degli stati. Sarebbe utile che questa rivista promuova un dibattito sulle ragioni di queste politiche, e non si limitasse a constatare (in maniera certamente precisa e documentata) che causano problemi di bilancio agli stati, come se fosse responsabilità del governo corrente.