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NON SERVE GRIDARE ALL’UNTORE

Le economie occidentali sono state colpite da due shock gravi, ma abbastanza tradizionali: un aumento del prezzo delle materie prime e una crisi bancaria. Si prefigura un periodo di forte rallentamento dell’economia americana. Negli Stati Uniti potrebbero prevalere le obiezioni politiche alle ricapitalizzazioni pubbliche delle banche private e dei loro azionisti. Ma in una recessione severa il protezionismo attecchisce facilmente. E se i politici europei pensano che per proteggersi basti gridare all’untore vanno incontro a una forte delusione.

Prima i nostri politici si svegliano dall’illusione che la crisi che ha colpito le economie dell’Occidente sia colpa di qualche “untore”, della globalizzazione, della trasformazione dei mercati finanziari, meglio è. I due shock che ci hanno simultaneamente colpito sono gravi, ma abbastanza tradizionali: un aumento del prezzo delle materie prime e una crisi bancaria. Come già è avvenuto in passato si prefigura un periodo di forte rallentamento dell’economia americana e, temo, anche di quelle europee. In questa situazione è stupefacente che si perda tempo a difendere teorie che non hanno alcun conforto nei dati, ad esempio la proposizione che l’aumento del prezzo del petrolio sia l’effetto perverso delle transazioni nel mercato dei futures, anziché chiedersi che cosa possa fare la politica per attenuare lo tsunami che sta per colpirci.

LE TAPPE DELLA CRISI

In primavera, dopo il salvataggio di Bear Stearns, la crisi finanziaria sembrava sulla via di una risoluzione. Ai circa 500 miliardi di dollari di perdite subite dall’agosto scorso, la banche internazionali avevano fatto fronte con 350 miliardi di capitali freschi, per lo più reperiti grazie all’intervento di fondi sovrani. I vecchi azionisti avevano accettato lor malgrado di venire diluiti, e avevano subito perdite importanti. (1)
All’inizio di giugno il processo di ricapitalizzazione si è interrotto e la crisi si è improvvisamente accentuata. Il motivo è stato il diffondersi dell’opinione che il livello raggiunto dal prezzo “reale” del petrolio—il 40 per cento circa sopra il livello che raggiunse nel 1980—non fosse un’impennata temporanea, ma un nuovo equilibrio dal quale difficilmente si tornerà indietro. Nonostante le economie dell’Occidente oggi utilizzino meno petrolio per unità di output che negli anni Settanta, questa prospettiva ha fatto cadere i mercati azionari e interrotto le ricapitalizzazioni.
L’alternativa a ridurre la leva delle banche tramite l’immissione di capitali freschi è ridurla vendendo una parte dei loro attivi liquidi. Questo le banche hanno iniziato a fare e la caduta dei corsi azionari si è accentuata.
Il secondo shock che ha colpito le famiglie americane (il primo è la benzina a 4,50 dollari al gallone) è quindi la caduta della loro ricchezza finanziaria, che è per lo più investita in Borsa. Il terzo shock proviene dal mercato delle abitazioni. L’indice dei prezzi delle case americane ha subito per ora una flessione di quasi il 20 per cento, ma i contratti “futures” sulle case segnalano, di qui al prossimo anno, un’ulteriore flessione del 22 per cento. (2)
Difficile resistere a tre shock simultanei di queste dimensioni. È ormai quasi certo che gli Stati Uniti siano già in recessione. La domanda importante, che domina le discussioni nella campagna elettorale, è come intervenire, ammesso che sia possibile, in un anno caratterizzato dall’assenza della politica.

DUE TESI A CONFRONTO

Si confrontano due tesi. Da un lato c’è chi sostiene che si debba fermare il ciclo perverso del “deleveraging” tramite vendite di attivi liquidi. Per fermarlo occorre, nell’immediato, che le banche centrali scontino gli attivi delle istituzioni finanziarie a prezzi superiori rispetto a quelli di “fire sale” ai quali sono oggi trattati sui mercati. Ma prima o poi il processo di ricapitalizzazione deve rimettersi in moto. Ciò richiede, lo sostiene Ricardo Caballero nel blog di Martin Wolf sul Financial Times,che gli azionisti delle banche, quelli esistenti e quelli potenziali, non siano colpiti come è avvenuto nel caso di Bear Stearns. Altrimenti, non ci sarà ricapitalizzazione di mercato e le istituzioni finiranno per diventare tutte pubbliche—non solo Fannie Mae e Freddie Mac che già in parte lo sono, ma anche altre.
Dall’altro lato, c’è invece chi pensa che la crisi non finirà finché la bolla immobiliare non si sarà sgonfiata e che le perdite che le banche subiranno devono essere assorbite dai loro azionisti, non dallo Stato: è ad esempio la posizione che sostiene Charles Wyplosz sul medesimo blog. I guai in cui ci troviamo sono anche colpa loro: usare il denaro dei contribuenti per salvare azionisti che nel decennio passato hanno ottenuto (specie se anche dirigenti della banca) rendimenti straordinari è semplicemente immorale. Quindi che siano spogliati della loro ricchezza: quando i prezzi delle banche saranno scesi abbastanza, i compratori si faranno avanti. Eventuali interventi fiscali dovranno essere diretti a sostenere il reddito delle famiglie, colpite dalla caduta del valore dei loro risparmi, non a compensare gli azionisti delle banche. Il guaio è che in anno elettorale è improbabile che la politica riesca a varare interventi fiscali sufficientemente incisivi.
Mentre il segretario al Tesoro Henry Paulson sembra preoccupato di non danneggiare eccessivamente gli azionisti, di cui pensa di aver bisogno per ricapitalizzare le banche, il presidente della Federal Reserve pare più cauto.
Se l’obiezione politica alle ricapitalizzazioni pubbliche, non di Fannie Mae e Freddie Mac, ma delle banche private e dei loro azionisti, prevarrà, gli Stati Uniti si apprestano ad attraversare una recessione profonda: il passo successivo alla vendita di attivi liquidi è infatti la riduzione dei prestiti e quindi un severo credit crunch.
Forse una recessione profonda è l’unico modo per “ripulire” un’economia in cui alcuni prezzi non riflettevano più i valori fondamentali e per evitare che i cittadini paghino per responsabilità non loro. Ma intravvedo un pericolo: in una recessione severa il protezionismo attecchisce facilmente. Finora gli accenni protezionisti di Barak Obama erano merce elettorale. Se la disoccupazione superasse la soglia del 7 per cento–soprattutto in alcuni stati cruciali per il voto, come l’Ohio—quelli che per ora sono solo accenni potrebbero trasformarsi in impegni difficilmente reversibili.
Se i politici europei pensano che per proteggersi da una recessione americana basti gridare all’untore vanno incontro a una forte delusione.

(1)La rapidità con cui i mercati hanno fatto affluire nuovi capitali alle banche è stata straordinaria: all’inizio degli anni Ottanta, durante la crisi dell’America latina, una ricapitalizzazione delle banche di dimensione assai più modesta richiese alcuni anni.
(2)Sebbene in contro-tendenza rispetto al mercato dei futures sulle case, nelle ultime settimane le transazioni sono un po’ riprese.

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25 commenti

  1. antonio vincenzo porcaro

    Sono perfettamente d’accordo che è ora di finirla di dare le colpe agli USA quando le cose vanno male. L’Europa decide di essere maggiorenne o è sempre un’adolescente viziato?

  2. Pollicino

    Vorrei segnalare che attualmente esiste già una qualche forma di "protezionismo involontario" che dovrebbe essere incorporato nelle aspettative degli agenti economici: cioè quella derivante dagli elevati costi dei trasporti che discendono dall’accelerazione del prezzo del petrolio… Ciò è in grado di danneggiare soprattutto alcune economie asiatiche (ma non solo), il cui business model risulta basato sull’export growth… Quindi: ecco un ulteriore effetto (indiretto) deleterio conseguente allo shock petrolifero.

  3. Riccardo Puglisi

    L’analisi di Francesco Giavazzi è concisa e illuminante. Temo che la ricerca spasmodica di un untore derivi dal background vagamente tribunalizio dei giuristi che si occupano di economia. Dietro ogni male c’è una colpa e dietro ogni colpa c’è un colpevole da additare a quel giudice che è l’opinione pubblica. Così le diagnosi e l’insieme di soluzioni possibili passano bellamente in secondo piano.

  4. Claudio Mordà

    Riconoscere nel mercato dei futures sul petrolio LA causa degli aumenti di prezzo, significa ignorare una molteplicità di fattori concorrenti. Senza pretesa di esaustività, parrebbe utile: confrontare le curve reali di produzione e di consumo di greggio per avere un quadro paradossale del rapporto domanda/offerta; distinguere gli effetti del mercato spot da quello dei futures; tener conto dei saggi di cambio euro/dollaro, …; considerare che gli “sforzi” calmieratrici di OPEC non hanno sortito alcun effetto, e difficilmente potrebbero a fronte di una stagnazione profonda degli investimenti di filiera e della sfiducia di molti di quei paesi in investimenti di quella natura – ingenti e di lungo periodo – a fronte di incertezze profonde della domanda dei paesi consumatori – nucleare ? rinnovabili ? … La ricerca dell’Untore è vana in un sistema reticolare di concause reciprocamente influenzantesi sulla base di disegni totalmente divergenti e sicuramente non concordati. A meno che non si voglia accusare i fondi pensione USA di intelligenza con il nemico, che sarebbe una paradossale e logica conseguenza della teoria dell’Untore.

  5. D.A.

    Vorrei che Francesco Giavazzi, che ammiro molto per la sua chiarezza e incisività, spiegasse meglio come una recessione profonda non farebbe pagare ai cittadini per gli errori non loro della crisi attuale. Mi sembra che in realtà in un modo o nell’altro il peso dell’uscita dalla crisi, quando ci sarà, ricadrà comunque su di loro.

  6. Valerio Bra

    Mi pare che siano forti le suggestioni che stia avvenendo qualcosa di simile alla mitica crisi del 1929, con un epicentro negli Stati Uniti (i cui cittadini vengono depredati da svalutazioni patrimoniali e da, nazionalizzazioni da finanziare con le tasse) e in procinto di espandersi al di là degli oceani. L’autore, mi sembra, come il medico che deve dire ai parenti che occorre accettare l’ineluttabilità della morte del loro caro, che dia per scontato che le crisi hanno una loro ciclicità e servono anche a eliminare qelle parti del sistema non più in linea. Allo stesso tempo, come i parenti che non si rassegnano (è noto che la prevenzione detta "primaria" riduce alcune causa di morte e e crea i presupposti di una morte serena circondato dai discendenti) mi chiedo se abbiamo un rimedio a questo procedere "ciclico" o se dobbiamo considerare che alcuni aspetti evidenziati in questa crisi (cosa si nacondeva dietro il "creare valore per gi azionisti" degli ultimi lustri?) siano ineluttabili del modo di produrre e ridistribuire ricchezza che può essere solo questo o se siamo in grado di proporre qualcosa di diverso e meno brutale nel governare questi processi economici e politici.

  7. Mauro Feltre

    Non credo si possa parlare di "untori" che seminano la crisi, ma piuttosto agiscono meccanismi decisionali endemici che portano a cercare di guadagnare senza investire direttamente in beni capitali. Non c’è niente di immorale in questo, ci si intenda, ma il crescere delle "bolle" (crollo dei prezzi degli immobili, crisi bancarie, salvataggi) e il boom della speculazione (come chiamarla?) sul prezzo del greggio e su beni alimentari testimoniano non solo di aspettative rialziste in questi mercati, ma altresì della scarsa fiducia nelle prospettive economiche. Siamo di fronte, almeno in Europa, a quella stagflazione che così bene ha interpretato Friedman. Recessione più inflazione come effetto conseguente dei "salvataggi" in una fase di aspettative negative. Immissione di liquidità e aspettative negative producono inflazione, in una fase in cui di investimenti diretti non se ne vuole sentir parlare. Di qui le tensioni inflazionistiche unite alla recessione. Ad maiora.

  8. Martino Venerandi

    Ottima l’analisi di Giavazzi della crisi statunitense. Ma cosa dire della crisi italiana? Alcuni, guardando alla storia dal dopoguerra a oggi, pensano che sia una crisi ciclica dalla quale ci si riprenderà spontaneamente col tempo. In realtà dalle crisi del dopoguerra ci si è risollevati, di volta in volta, con i soldi americani del Piano Marshall, svalutando la lira, ricorrendo a piene mani al debito pubblico, con l’entrata in Europa,… Ora i jolly sono finiti! Bisogna finalmente mettere mano alle nostre istituzioni: garantire la certezza del diritto, costruire un PA efficiente, aumentare la concorrenza dei mercati, ridurre il potere delle lobby e delle corporazioni, migliorare il sistema educativo, ridurre l’ingerenza delle politica in economia. Ma per affrontare ogni punto che ho sottolineato, occorre abbattere dei privilegi consolidati. Chi ne avrà il coraggio?

  9. lorenzo de ferrari

    Bellisimo articolo, lucido e chiaro. Mi pare pero’ in parte irrisolta la questione delle cause: Giavazzi bolla come insensate le discussioni sulle eventuali responsabilita’ della speculazione sulla crescita del prezzo del petrolio. Mi sembra che con questo intenda che tale crescita non dipende dalle operazioni speculative, ma non documenta questa affermazione. Mi sarebbe invece piaciuto sapere in base a quali ragionamenti si puo’ considerare rilevante o meno la componente speculativa nella dinamica di medio termine dei prezzi. In altri termini, in base a cosa si puo’ dire che il prezzo del petrolio riflette solo i fondamentali economici ( e quindi sta, o sale ancora) o invece se riflette anche un’onda speculativa, per cui potrebbe anche scendere?

  10. pidiemmone

    Il petrolio era a 40 dollari al barile, ora è a 160, non ci sono stati aumenti nei costi dell’estrazione e della distribuzione, dunque, i 120 dollari al barile di differenza, a chi sono andati in tasca?

  11. PDC

    Posso condividere il fatto che cercare un "untore" ovvero un capro espiatorio sia un atteggiamento intellettuale sbagliato (e spesso sbagliato in malafede). Ciò premesso, la presente crisi nasce da svariate concause, ciascuna delle quali contribuisce con un proprio coefficiente alla somma totale. Trattare con sufficienza l’ipotesi che la forza della speculazione finanziaria sia tale da introdurre elementi fortemente distorsivi del mercato del petrolio e delle materie prime, e che questo addendo sia comunque significativo, mi pare un atteggiamento molto superficiale. “Teorie che non hanno alcun conforto nei dati” … ma il prezzo del petrolio è o non è aumentato indipendentemente dall’attuale rapporto domanda/offerta? E le altre materie prime? E tutti questi beni sono o non sono stati acquistati e venduti solo sulla carta (o dovrei dire sui bit?) da investitori estranei al ciclo produttivo?

  12. Mirko Italiano

    Inizio facendo i miei complimenti al sito. Lo seguo da molto e lo trovo molto interessante e pieno di spunti di riflessione sul mondo economico. Torniamo al post. Non serve gridare all’untore? E’ vero, non avrebbe senso, tanto il casino ormai è stato fatto. Bisognerebbe capire il perchè si è arrivati a questo e cercare una soluzione. Il mercato non si può, a mio avviso, "costringere" con regoline, lacci e forzature. Il mercato è la conseguenza dei comportamenti umani, sia dei consumatori (influenzati troppo da quello che sentono in giro e leggono sui giornali da persone che si presentano come professoroni) che delle aziende (azionisti & soci) che dello Stato (che dovrebbe preoccuparsi di altro non di business). A mio avviso bisognerebbe partire dai consumatori che sono la maggioranza degli attori interessati alla crisi. In primo luogo un pò di cultura finanziaria non farebbe male. Secondo, pensare con la propria testa e non per sentito dire o per aver letto sui giornali o sentito in tv. Informatevi sentendo più persone competenti sullo stesso argomento e alla fine prendete la vostra decisione. Non fatevi influenzare. Questo può essere l’inizio di un corretto Mercato.

  13. Tarcisio Bonotto / Proutist Universal

    E dire che il protezionismo negli anni 50-60 è stato lo strumento per lo sviluppo economico anche in Italia, che si difendeva dalle importazioni inglesi… Che male c’è a salvaguardare la propria occupazione, la capacità di acquisto contro le speculazioni di cui sempre si parla, e che sono viste comunque come necessarie allo sviluppo economico? Se tutti i paesi tendessero all’autosufficienza economica, che problemi ci sarebbero? Nessuno per le popolazioni che avrebbero di che vivere, ma grossi per gli speculatori che incassano senza lavorare, muovendo quantità enormi di denaro ma senza produrre un solo posto di lavoro. Sarebbe ora di smetterla con la finanza virtuale. Stiglitz ha definito incompetenti gli economisti del FMI, che proponevano all’Argentina, dopo il collasso economico, di mantenere la fiducia degli investitori, primi attori nel crollo, e proponeva di investire in economia reale… Mi chiedo che non sia per il fatto che i nostri economisti non sanno come ristabilire gli equilibri nell’economia reale, che puntano su quella virtuale, salvo lavarsene le mani quando va tutto a catafascio? Sarkar propone le Unità Socio-Economiche Autosufficienti, in tutto il mondo…

  14. Enrico Gallina

    Tuttavia non si può escludere la speculazione dalle cause del rialzo del prezzo del petrolio. Eloquente il pensiero del Governatore Draghi nell’ Intervento all’ABI del 9 luglio : “(che alle) impennate più recenti . . abbiano contribuito condizioni mondiali di liquidità particolarmente abbondanti è confermato da nostre stime. . la diminuzione dei tassi d’interesse reali dalla scorsa estate spieghi circa un quarto del rialzo del prezzo mondiale del greggio osservato da allora”. La speculazione può essere fisiologica o perversa, nel mercato petrolifero “refiners have learnt to hedge. . . They have learnt that you do not add to stocks when the market is in backwardation and that you pile up onto stocks if the market is in a contango. . . A vicious circle then sets in. As stocks fall, oil prices are bid up and this often results in a steeper backwardation which further discourages the building up of stocks. As stocks rise, oil prices are bid down and this often results in a steeper contango which encourages further build-up in stocks. Non viene il sospetto che la mano dell’untore sia quella invisibile di Adam Smith ?

  15. ustica65

    Dato che nessuno è in grado di identificare con certezza chi sta speculando (i paesi produttori? i petrolieri? le borse? la Cina?), questo è il miglior nemico da invocare: non essendo identificabile con chiarezza, non lo si può neanche combattere. E quindi rimane tutto com’è. Salvo aggiungere al danno anche la beffa: mettere una tassa su ciò che già costa troppo e quindi scaricarla sui cittadini. Così il governo aumenta le tasse ma ne scarica la colpa sugli "untori"…

  16. habsb

    Condivido la linea dell’articolo e sono sconcertato da alcuni commenti, davvero incredibili su un sito come questo letto a priori da persone competenti, che non rinunciano ad attribuire ai mercati finanziari una parte di responsabilità per l’attuale prezzo del petrolio. Vorrei sottoporre a queste persone la seguente riflessione. Venti anni fa l’oro si scambiava a $250 l’oncia, oggi a $1000. Ciò significa che il dollaro e` stato svalutato del 75%. Perche’ tale svalutazione non dovrebbe apparire sul prezzo del petrolio che e` infatti passato da $35 a $135? Notiamo che un discorso analogo puo’ essere fatto per il Deutsche Mark o Euro che lo si voglia chiamare, e per molte altre valute cartacee. Allora dove sono i mirabolanti profitti degli intermediari finanziari e dei trader? Nessun trader può decidere i prezzi di mercato: il trader scommette che i prezzi di mercato stanno per evolvere in una certa direzione (verso l’alto o verso il basso), e se ha visto giusto, intasca i fondi di chi, sbagliando, ha scommesso nella direzione opposta. Dire che abbiamo prezzi elevati del petrolio per colpa dei trader è un po’ come dire che le puntate al totocalcio fanno vincere una squadra.

  17. hominibus

    Si dovrebbe sperare che questa crisi faccia capire ai governanti di non insistere nelle forme di imposizione fiscale che riservano a determinate forme di ricchezza, come quella immobiliare, adibite sia a scopi produttivi che di godimento, un trattamento non correlato con le altre forme di ricchezza, come quelle di redditi da lavoro, di impresa, rendite finanziarie, ecc. Le sacche di protezione, che sono a salvaguardia principalmente di patrimoni consolidati, portano al fenomeno abnorme di concentrazione di capitali e conseguenti valori fuori mercato, con indebiti arriicchimenti speculativi per chi riesce ad uscire in tempo, enorme disagio per le popolazioni e vigliacche manovre politiche che fanno ricadere ulteriori conseguenze dannose su chi ne ha subito nei momenti di vacche grasse per i soliti quattro gatti, già in salvo. Quanto tempo bisognerà aspettare affinché legislatori, governanti, esperti, benestanti in genere, si convinceranno che questo andazzo é vergognoso per società autodefinite democratiche? Bisognerà giungere ad una rivoluzione violenta?

  18. beppe

    Non vorrei sembrare troppo banale ma perché tra i commenti non leggiamo che tra le concause rientrano anche il fatto che il petrolio non è una fonte rinnovabile e quindi tende sempre più ad esaurirsi e l’ingresso di paesi come Cina ed India crea queste tensioni sui prezzi. Allora scommettere sull’aumento del prezzo del greggio per gli speculatori diventa una banale concausa. Lasciamo pure che aumenti fino al giorno in cui anche i "potenti" inizieranno a far passare tutti i progetti relativi alle energie alternative. Forse qualche untore potente esiste?

  19. Maurizio Maggini

    Si parla di due shock gravi, ma abbastanza tradizionali di cui gli economisti prendono atto con "il senno del poi", ma che non avevano minimamente avvertito a suo tempo, con il "senno dell’allora". Per le materie prime se lo shock fosse solo di natura tradizionale si potrebbe spiegarne il segno, ma non l’abnorme entità (prezzi triplicati!). Per cui la spiegazione non può prescindere dal ruolo della speculazione, quale che sia, e non parlare sbrigativamente di "untori" di manzoniana memoria. Sul Corriere di ieri compare un significativo trafiletto dal titolo "Il Giappone: stop alla speculazione ….". Mi sembra anche discutibile che si scriva "Forse una recessione profonda è l’unico modo per ripulire una economia in cui alcuni prezzi non riflettevano più i valori fondamentali" con il che si ammette che le distorsioni speculative ci sono state e che la politica economica e i preposti al controllo del mercato hanno fallito. Sarà che sono influenzato dalla recente lettura del libro di Ruffolo "Il capitalismo ha i secoli contati" ed in particolare del capitolo "La finanziarizzazione" a pag. 219 "La finanza… ha assunto significati apertamente speculativi…" ecc. ecc.

  20. csepel

    E’ davvero un bel mestiere mettere sù una grande banca d’affari. Quando le cose vanno bene, si fanno miliardi a palate, concedendo nel fratempo interviste sulle virtù taumaturgiche dei mercati e la vetustà del pubblico. Quando le conseguenze del proprio agire devastano mezzo pianeta, le perdite sono accollate alla collettività. Non si tratta di un "complotto" dunque ma di come funziona concretamente questo sistema.

  21. Giuseppe Caffo

    A mio avviso i due shock gravi sono stati determinati da un costo del denaro eccessivamente basso. Si è voluto assecondare ad ogni costo la folle corsa dei consumi degli Americani fino alla crisi dei mutui che costituisce l’apice della concessione di credito facile. In questo frangente abili e spregiudicati speculatori hanno realizzato enormi guadagni. Anche l’aumento del costo delle materie prime è in gran parte legato (oltre alla aumentata domanda da parte dei paesi emergenti) al deprezzamento del dollaro, causato dal basso costo del denaro. Ne consegue che i veri untori sono i responsabili di politiche monetarie eccessivamente espansive. Adesso ci troviamo nei guai,ma secondo me la soluzione è ridare gradualmente valore al denaro. Il valore del denaro è anche il valore del lavoro che occorre per guadagnarlo, ma questi principi sono stati messi da parte e si è favorito l’arricchimento facile attraverso spericolate operazioni finanziarie. In tutta questa situazione il protezionismo produrrebbe conseguenze catastrofiche. Meglio sarebbe stato e sarebbe accettare di buon grado il ciclo economico delle economie di mercato che prevede fasi di espansione e fasi di recessione.

  22. hayekFan

    Non credo che i banchieri centrali siano i responsabili della crisi immobiliare. Non lo sono, e per capirlo basta considerare il Giappone dove il costo del denaro è stato a lungo nullo, ma non si è verificata proprio nessuna bolla immobiliare. La "colpa" della bolla e crollo immobiliare è piuttosto dei politici: le modifiche fatte da Clinton al Community Reinvestment Act che in pratica obbligano ogni banca a concedere mutui anche in assenza di garanzie (pena forti ammende) hanno provocato questa bolla. Tutto ciò non ha naturalmente nulla a che vedere con il prezzo del petrolio, gonfiato dalla domanda dei paesi emergenti, e soprattutto dalle manovre terroristiche e strategiche di molti paesi produttori (Russia, Iran, Golfo, Venezuela), che si compiacciono di soffiare sul fuoco dell’instabilità mondiale perchè il petrolio non riscenda mai al suo prezzo di mercato di $50.

  23. Giuseppe Caffo

    La storia del Giappone e del suo sviluppo economico è molto diversa da quella degli Stati Uniti. Inoltre è nota la particolare propensione al risparmio dei Giapponesi, come è nota la propensione degli Americani ad indebitarsi. D’altra parte il dollaro è nel mondo la valuta di riferimento per i prezzi di tutte le materie prime e delle principali transazioni economiche. Quindi paragonare le politiche economiche e monetarie Giapponesi con quelle Statunitensi è praticamente impossibile. Relativamente al prezzo del petrolio, è opinione del Governatore Draghi che le recenti impennate dei prezzi sono favorite da condizioni mondiali di liquidità particolarmente abbondanti, e la diminuzione dei tassi d’interessi della scorsa estate spieghi circa un quarto del rialzo del prezzo mondiale del greggio.

  24. Fab

    La differenza tra capacità produttiva e domanda rappresenta la capacità del sistema produttivo di adattarsi a cambiamenti nel bilanciamento della domanda e dell’offerta. Tanto minore è questa differenza, più il sistema è rigido, e gli sbilanciamenti richiedono forti movimenti di prezzo per il loro riequilibrio. Questa differenza nel 1991 era pari a circa 7 milioni di barili giorno, pari a circa il 10% della domanda. Oggi questa differenza è pari a circa 2 milioni di barili giorno, pari solo a circa il 2,3% della domanda attuale. Qundi la spare capacity si è ridotta del 75%, e basta nulla per far salire i prezzi. Tra le commodity il molibdeno, il cadmio, l’uranio e il rodio si sono apprezzati molto di più del grezzo, pur non avendo borse finanziarie in cui sono scambiate. Il problema del grezzo è fondamentale ed evocare la peste della speculazione senza darne evidenza empirica è operazione insensata. La situazione fondamentale è stata esacerbata dalla politica monetaria USA (che inflaziona le commodity) e dai sussidi delle economie emergenti ai prezzi petroliferi interni, che alterano i meccanismi di mercato e impediscono ai prezzi alti di distruggere domanda.

  25. massimo rampazzo

    A questo punto direi che questo articolo avrebbe bisogno di una postilla. Il prezzo del petrolio è sceso con una velocità non giustificabile da nessun tipo di dinamica domanda-offerta ma semplicemente dall’aspettativa (che era esattamente la stessa cosa che lo aveva gonfiato). Forse un pò di autocritica non guasterebbe. Personalmente temo che finchè non si decidera di levare dal mercato alcuni strumenti "evoluti" (non tutti) tipo abs e cds e limitare fortemente i future (facendoli tornare al loro scopo iniziale) iniettare liquidità aumenterà solo i rischi di contagio dalla finanza all’economia reale. Però il mio è solo un parere da profano e non vorrei sembrare tanto saccente quanto quelli che hanno commentato questo articolo prima di me.

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