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La scommessa della Fed

La Fed ha deciso di abbassare di 50 punti base i tassi d’interesse sui depositi, ma sull’entità del taglio c’è stata fino all’ultimo molta incertezza, che ha innervosito i mercati finanziari. La scelta però sarà utile all’economia europea. E a Kamala Harris.   

L’incertezza che ha accompagnato il taglio

Alla fine, la Fed – o meglio il Federal Open Market Committee (Fomc) – ha deciso di abbassare di 50 punti basi i tassi d’interesse sui fed funds, portandoli al 4,75-5 per cento. Si tratta del primo ribasso dai tempi della pandemia e segue quelli già decisi dalla Banca nazionale svizzera, dalla Bank of England, dalla Banca centrale europea e dalla Bank of Canada.

Se la riduzione dei tassi americani era scontata, la sua dimensione è rimasta incerta fino all’ultimo momento. Infatti, sino a pochi minuti prima della comunicazione il mercato si è chiesto se la Fed avrebbe deciso di abbassare i tassi, come da tradizione, di 25 punti base, oppure di effettuare una riduzione più aggressiva, raramente vista in precedenza e giustificabile solo con una situazione congiunturale particolarmente deteriorata come quella dei primi mesi della pandemia.

Certo è da tempo tramontata l’epoca della forward guidance, in cui le autorità fornivano future indicazioni sulla politica monetaria al fine d’influenzare le aspettative e i tassi a lunga scadenza per renderla più efficace. Oggi la forte incertezza ha indotto le autorità monetarie a seguire un approccio più opportunistico, detto data-driven o meeting by meeting. Tuttavia, mai prima d’ora l’incertezza sull’operato della Fed era stata così forte.

L’incertezza ha importanti conseguenze sui mercati finanziari internazionali. I tassi ufficiali americani, infatti, esercitano un’influenza rilevante non solo sul mercato dei titoli obbligazionari e azionari (che in questo caso hanno in un primo momento reagito male alla decisione, poiché i tassi sul decennale sono saliti e gli indici azionari americani scesi), ma anche sui tassi di cambio delle principali valute, sui prezzi del petrolio, dell’oro e di molte materie prime. Inoltre, il comportamento della Fed influisce anche sulle decisioni delle banche centrali di molti paesi sia sviluppati che, soprattutto, emergenti.

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A spiegare la situazione inedita sono probabilmente le mutevoli opinioni che hanno caratterizzato il Fomc negli ultimi mesi. Tuttavia, in questo caso le autorità monetarie americane sembrano essersi comportate come un paese qualsiasi, dimenticandosi di avere una responsabilità ben maggiore.

Chi si avvantaggia del coraggio della Fed

Se la prevedibilità del sentiero dei tassi è altrettanto importante quanto il loro livello, si capisce come una strategia di graduale, ma continua, riduzione dei tassi di un quarto di punto potesse essere forse meno rischiosa di una con strappi più forti all’ingiù e successive fermate. A meno che la situazione congiunturale non venga considerata particolarmente depressa, ma dal mercato del lavoro, dei beni e della produzione americana non sono finora arrivati segnali di questo tipo. Lo stesso Jerome Powell, il presidente della Fed, prevede un tasso di crescita attorno al 2 per cento nei prossimi anni e un tasso di disoccupazione sotto l’attuale 4,4 per cento con un tasso d’inflazione che sfiora il 2 per cento già l’anno prossimo. Pertanto, ancora oggi negli Stati Uniti lo scenario ritenuto più probabile rimane quello del soft landing, quello che ha permesso nei mesi scorsi una forte tenuta dei mercati finanziari.

È vero che negli ultimi mesi i prezzi delle materie prime e il petrolio in particolare hanno mostrato segni di cedimento, ma sono soprattutto legati alla preoccupante situazione dell’economia cinese e forse europea, dove la Germania è diventata la grande malata.

Da questo punto di vista possiamo allora essere contenti del coraggio dimostrato dalla stragrande maggioranza dei membri Fomc: solo uno di loro ha votato per ridurre i tassi dello 0,25 per cento, mentre gli altri governatori regionali ritengono appropriata una sostanziale riduzione dei tassi nei prossimi mesi (vedi il Dot Plot). Questo faciliterà il compito della Banca centrale europea nel ridurre i tassi di fronte a una economia molto più debole di quella americana.

Tuttavia, anche il governatore Jerome Powell, ma soprattutto il presidente Joe Biden e la sua vice nonché candidata alla presidenza Kamala Harris possono ritenersi soddisfatti poiché il maxi-taglio sancisce la bontà della loro politica economica nell’avere sconfitto l’inflazione senza affliggere la crescita economica.

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Rimane poi il fatto che una recente indagine campionaria ha mostrato come in media gli americani preferiscano un tasso d’inflazione vicino allo zero (0,2 per cento), molto lontano quindi dall’obiettivo della Fed del 2 per cento, lo stesso delle altre principali banche centrali. Preferenze simili sono presenti anche in altri paesi occidentali. Su questo gli economisti e la classe politica dovranno riflettere.

Figura 1 – Valutazione dei tassi sui fed funds più appropriati nei prossimi anni da parte dei membri del Fomc

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  1. Vittorio

    Che si debba tenere conto di cosa pensano gli americani relativamente all’inflazione nel guidare la polica monetaria, mi sembra divertente.
    D’altra parte, molti di loro preferirebbero vedere i prezzi retrocedere ai livelli del 2019, dimenticando che nel frattempo le retribuzioni sono in media cresciute piu’ dell’inflazione (soprattutto per i colletti blu) e che tutto questo potrebbe avvenire solo a seguito di una profonda crisi economica capace di scatenare disinflazione (e profonda disoccupazione).
    Se le Banche Centrali pero’ fossero guidate da politici e non mantenessero a prorpia sana indipendenza, chissa’? Magari potrebbe succedere anche questo.

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