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Asili nido: la convergenza territoriale può attendere

Il Piano strutturale di bilancio prevede per gli asili nido un tasso di copertura regionale di almeno il 15 per cento dei bambini sotto i tre anni, anche attraverso strutture private. Si accetta così che i territori in ritardo non adeguino le infrastrutture.

Un nuovo cambio di rotta

Il governo cambia rotta nella strategia di riequilibrio territoriale negli interventi infrastrutturali di rafforzamento nell’offerta di asili nido. Nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, sia pure in modo indiretto e con esiti non totalmente soddisfacenti (qui e qui), si era comunque puntato a indirizzare le risorse soprattutto verso i comuni con più carenze nella fornitura dei servizi per la prima infanzia. Ancora il “Nuovo piano per asili nido” (decreto 79/2024) di aprile (qui), pur seguendo un’impostazione più centralista, aveva concentrato in modo mirato gli interventi delle nuove costruzioni nei comuni più in ritardo. Ora, il Piano strutturale di bilancio (Psb, qui) sembra guardare altrove.

Nel documento il governo prevede un pacchetto di riforme e investimenti per ottenere, in coerenza con il nuovo sistema delle regole di bilancio europee, l’estensione del percorso di consolidamento dei conti pubblici su un orizzonte più lungo di quello ordinario (da 4 a 7 anni), con la conseguenza di rendere meno oneroso l’aggiustamento annuale. Tra gli interventi è previsto anche il “completamento degli investimenti del Pnrr per i servizi per la prima infanzia”.

Non è chiaro se il governo prometta di integrare le risorse già in campo per la costruzione di asili pubblici (Pnrr più “Nuovo piano”, che in realtà utilizza in parte fondi Pnrr non impiegati) con finanziamenti aggiuntivi o se, di fatto, si limiti ad assicurare la realizzazione degli impegni già assunti.

Due aspetti, tuttavia, colpiscono a partire dalle scarne informazioni riportate nel Piano strutturale di bilancio (vedi tavola A.VI.4 dell’Allegato VI). Da un lato, la data di attuazione, che è indicata a fine 2027, cioè un anno e mezzo dopo il termine finale (giugno 2026) fissato dal Pnrr per la consegna dei nuovi posti di asilo finanziati con i fondi europei (un altro segnale della necessità di un rinvio del Pnrr, più volte evocata dal ministro Giorgetti?). Dall’altro lato, il fatto che, nella descrizione degli obiettivi del programma, ci si impegni a raggiungere, mediante strutture pubbliche e private, un tasso di copertura a livello regionale pari ad almeno il 15 per cento del numero dei bambini sotto i 3 anni (33 per cento a livello nazionale).

Verso una cristallizzazione delle strutture esistenti

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La scelta del governo di esplicitare nel Piano strutturale di bilancio l’obiettivo su base regionale (il Pnrr non si dava alcun target specifico in termini territoriali) e di fissarlo al livello – seppure minimo – del 15 per cento suscita una serie di considerazioni.

La prima è che quello del 15 per cento non è in verità un obiettivo, ma una realtà già (quasi) acquisita. Come mostra lo stesso Piano (figura II.3.2) i fondi Pnrr, insieme a quelli del “Nuovo piano asili nido”, se effettivamente si concretizzeranno nei posti aggiuntivi promessi, consentiranno, oltreché di raggiungere l’obiettivo del 33 per cento a livello nazionale, di innalzare i tassi di copertura nelle aree che soffrivano delle carenze maggiori: solo i comuni nella provincia di Enna rimarrebbero in media sotto un tasso di copertura del 15 per cento. Non è quindi chiaro che cosa si prometta in più nel Psb che non sia già implicito nei programmi in corso di attuazione.

Ma soprattutto darsi un obiettivo minimo del 15 per cento a livello regionale significa non assumere un chiaro impegno politico nel proseguire la strategia sin qui seguita, seppure con approcci ed esiti diversi, dal Pnrr e dal “Nuovo piano asili nido” nell’avvicinare i territori in ritardo verso l’asticella del 33 per cento di copertura. Significa accettare un esito finale in cui i territori più in ritardo possono restare bloccati su dotazioni infrastrutturali di asili nido assai più deboli rispetto al resto del paese.

Il Lep sui servizi all’infanzia

La seconda considerazione riguarda il contrasto tra la persistenza di divari territoriali nelle dotazioni infrastrutturali di asili pubblici che il Psb di fatto cristallizza e il riconoscimento, già avvenuto a livello legislativo, di un “livello essenziale delle prestazioni” sui servizi alla prima infanzia da garantire in tutto il paese.

La legge di bilancio per il 2022 (legge 234/2021, articolo 1, comma 172) prevede infatti che a partire dal 2027 in ciascun comune o bacino territoriale sia garantito un numero di posti nei servizi educativi per l’infanzia pari ad almeno il 33 per cento dei bambini residenti di età compresa fra i tre mesi e i tre anni. Per dare effettiva attuazione a questo Lep, la legge stanzia risorse crescenti (da 120 milioni di euro nel 2022 a 1,1, miliardi a partire dal 2027) da attribuire ai singoli comuni a copertura delle spese correnti di funzionamento, in misura differenziata anno per anno a seconda del divario esistente tra il tasso di copertura storico e l’obiettivo del 33 per cento (i cosiddetti “obiettivi di servizio”). Chiare sono le finalità di convergenza tra comuni di questo meccanismo di allocazione, soprattutto a favore dei piccoli comuni e di quelli del Sud. L’eventuale inerzia nell’impiegare i fondi ricevuti e nel fornire i servizi corrispondenti è sanzionata addirittura con il commissariamento dell’ente.

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Le modalità con cui i comuni possono utilizzare queste risorse per potenziare i servizi all’infanzia sono, a livello operativo, molto diversificate. Ovviamente, potranno incrementare la disponibilità del servizio negli asili nido comunali, in gestione diretta o esternalizzata, ma anche trasferire le risorse aggiuntive a comuni vicini o a forme associate che svolgono il servizio; oppure ricorrere a convenzioni con asili nido o micronidi privati; o trasferire i fondi ricevuti alle famiglie mediante voucher da impiegare per fruire del servizio di asilo nido o micronido sul territorio; o affidarsi a sezioni primavera e spazi gioco o, addirittura, ad asili familiari.

Insomma, uno spettro di possibili modalità pensato anche per venire incontro a contesti locali assai diversificati, in cui nell’indisponibilità di asili nido pubblici, che costituisce certamente la soluzione più diretta e strutturata, si possa fare fronte con altre risposte alla domanda di servizi per la prima infanzia. Dovrebbe trattarsi di soluzioni residuali o transitorie. Ma è evidente che l’indebolimento della spinta verso una convergenza territoriale nella costruzione di nuovi asili nido che sembra emergere dal Piano strutturale di bilancio, combinato alla necessità dei comuni di rispettare il Lep del 33 per cento di copertura spingerà inevitabilmente i comuni con più scarse dotazioni di asili nido a trovare risposte alternative, affidandosi di più all’iniziativa privata.

In conclusione, la necessità di garantire il Lep sui servizi all’infanzia, unita al venire meno dell’impegno a indirizzare verso i territori più fragili le risorse aggiuntive per la costruzione di nuovi asili, finirà per spingere quei comuni verso una ricomposizione nell’offerta dei servizi, verso soluzioni più estemporanee e probabilmente di minore qualità. Un modo diverso, rispetto al tasso di copertura, ma non meno preoccupante, di declinare le diseguaglianze nel nostro paese.

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  1. Gianpiero Dalla Zuanna

    Caro professore, ci sono stdi che dimostrano che l’efficacia (in termine educativa e di flessibilità) dei servizi di nido provati siano peggiori rispetto a quelli dei nidi pubblici? Mi pare che l’articolo dia per scontato che il nido pubblico sia la soluzione migliore, ma vorei vedere dati a sostegno di questa ipotesi. Fra l’altro, in numerosi contesti italiani, il nido pubblico “classico” è improponibile, perché i bambini sono troppo pochi. Lo stesso vale per ampie categorie di utenti, ad esempio per i figli di chi lavora (anche) al sabato, alla domenica, durante la notte.

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