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Il dilemma delle politiche di coesione *

Una quota rilevante delle risorse dei fondi europei per la coesione inizialmente destinati agli investimenti pubblici viene dirottata verso agevolazioni alle imprese. Necessario un cambio di regole e governance per migliorare l’efficacia degli interventi.

Una programmazione che cambia in corso d’opera

I fondi europei per la coesione, al pari del dispositivo di ripresa e resilienza, sono finalizzati a promuovere lo sviluppo dell’Unione europea e a ridurre i divari tra territori e tra cittadini al suo interno. 

È opinione condivisa che questi obiettivi vadano preminentemente perseguiti attraverso la realizzazione di investimenti pubblici, tesi all’accumulazione di capitale materiale e immateriale in grado di generare effetti di trasformazione strutturale di lungo periodo.

In Italia, tuttavia, il carattere prioritario di questi interventi all’interno dei programmi finanziati con fondi europei tende a ridursi in misura sensibile e progressiva nel corso della loro realizzazione.

La tabella 1 riporta, per il nostro e altri paesi dell’Unione europea, la percentuale di risorse assegnate a inizio e fine programmazione alle diverse aree tematiche del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) relative al ciclo 2014-2020, nonché le relative variazioni.

Alla fine del ciclo, rispetto alla programmazione iniziale, si registra una notevole riduzione della percentuale di risorse (e di investimenti) destinate alla doppia transizione verde e digitale (- 33 per cento).

Ancora più significativo appare l’incremento degli importi destinati alla competitività delle imprese (+68 per cento), che la rende l’area con la maggiore dotazione di risorse a fine programmazione (31,7 per cento).

La lievitazione delle risorse a favore delle imprese è in larga parte imputabile a interventi di sussidio orizzontali, denominati, nella classificazione europea, “generic productive investment in SMEs”.

Al termine della programmazione questa voce arriva ad assorbire circa 6 miliardi di euro, con un incremento del 192 per cento rispetto al 2014; incremento che arriva al 235 per cento sui programmi del Mezzogiorno.

Nel resto dell’Europa si evidenziano invece ben più contenute variazioni, tra inizio e fine del ciclo, delle percentuali di risorse riferibili alle varie aree, con i fondi a favore delle agevolazioni che crescono circa quattro volte in meno rispetto all’Italia. Un’ulteriore caratteristica del nostro paese sono le risorse destinate alle infrastrutture sociali, che si riducono del 24 per cento di fronte all’aumento del 20 per cento registrato a livello di Ue 27.

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La propensione a riprogrammare in corso d’opera le risorse a favore delle agevolazioni alle imprese ha riguardato anche il Pnrr. La modificazione del Piano approvata dal Consiglio europeo l’8 dicembre 2023 ha comportato la riduzione, per circa 21 miliardi di euro, di interventi relativi a investimenti pubblici in infrastrutture, mentre nell’ambito delle nuove misure finanziate spiccano i sussidi a favore delle imprese, verso cui sono confluite oltre la metà delle risorse riprogrammate.

I motivi della ricollocazione delle risorse

Quali sono le motivazioni sottostanti la propensione a operare, nella fase attuativa dei piani, questa (distorsiva) ricollocazione delle risorse dalle infrastrutture per lo sviluppo economico e sociale verso le agevolazioni alle imprese?

Per quel che riguarda il Fesr, traggono origine dalla scarsa capacità di progettazione e spesa delle amministrazioni, nonché dalla insoddisfacente qualità delle istituzioni.

Questi vincoli comportano, con il progredire del ciclo di programmazione, un aumento dei problemi di attuazione e avanzamento della spesa, mentre al contempo si affievolisce, per istituzioni e portatori di interesse, la rilevanza degli obiettivi strategici e di policy definiti all’inizio del periodo di programmazione.

La conseguenza è che la politica di coesione si focalizza prioritariamente sull’individuazione di interventi da inserire nei programmi che consentono una veloce e semplice rendicontazione della spesa e il raggiungimento degli obiettivi intermedi e finali.

E le agevolazioni orizzontali a favore delle imprese risultano particolarmente funzionali allo scopo.

Ad esempio, nel 2021, l’intervento “generic productive investment in SMEs” mostrava un rapporto fra spesa eleggibile e risorse programmate (il cosiddetto avanzamento della spesa) pari all’83 per cento, contro il 44 per cento relativo agli investimenti per la transizione verde e al 50 per cento degli investimenti sia per la banda ultra-larga che per la protezione dell’ambiente. 

Le modifiche al Pnrr

Le motivazioni che hanno portato alla modificazione del Pnrr sono pressoché analoghe, con l’aggiunta tuttavia di un punto di sostanziale rilievo. Nel Pnrr, difatti, il raggiungimento dei target sulle infrastrutture è quasi sempre subordinato al completamento degli interventi, mentre per le agevolazioni è in molti casi sufficiente la stipula dell’accordo di finanziamento con le imprese. Si tratta di una fase che non assicura in alcun modo se e quando l’investimento sussidiato verrà effettivamente realizzato.

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La tabella 2 riporta, a titolo esemplificativo, i target finali delle principali misure agevolative introdotte o rifinanziate con la rimodulazione dello scorso dicembre.

È evidente come una tale asimmetria non possa che incentivare comportamenti volti a concentrare le risorse su obiettivi di più facile realizzazione, soprattutto di riprogrammazioni di medio periodo, minando così la coerenza fra la destinazione iniziale e quella finale delle risorse.

In conclusione, la realizzazione di investimenti pubblici in Italia continua a essere un’operazione lenta e complessa. Una stringente e credibile regolazione dei fondi europei tesa al mantenimento degli obiettivi assunti all’inizio della programmazione potrebbe favorire e accelerare il processo di cambiamento e miglioramento di amministrazioni e istituzioni.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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  1. Savino

    A forza di continuare a dire che solo il mercato fa l’economia, si è persa ogni visione di politiche pubbliche, al punto che si creano dei fondi con delle risorse da donare direttamente alle aziende. Il padre di famiglia che deve sfamare e dare un tetto ai propri figli non ha questi privilegi, palesemente incostituzionali.

    • andrea naldini

      Le osservazioni dell’articolo sono interessanti, seppure non nuove, e meritano attenzione . Tuttavia, la conclusioen secondo cui la UE non deve consentire di cambiare i target sembra sbagliata e non tiene conto di itneressi generali oltre quelli nazionaii; quindi è molto difficile da attuare. Semmai l’Italia deve assumere la capacità amministrativa come priorità nazionale e deve assicurare l’addizionalità dei fondi europei, evitando di utilizzarli per risparmiare spesa pubblica come quasi sempre avvenuto negli ultimi 30 anni.
      Inoltre, i dati riportati nella tabella 1 andrebbero precisati altrimenti le conclusioni non sono corrette. Innanzitutto andrebbe fatto il confronto per paesi con simile ammissibilità di spesa (le aree meno sviluppate possono spendere più o meno su tutto, mentre quelle più sviluppate solo su alcuni strumenti; il nostro paese ha la maggioranza delle risorse nelle aree meno sviluppati, altri paesi hanno la situazione inversa). Infine, quando si confronta il mix di strumenti andrebbe considerata anche la spesa nazionale; per esempio Germania e Francia da diversi anni finanziano con risorse nazionali un livello molto elevato di incentivi alle imprese e quindi possono utilizzare i fondi europei in altro modo.

  2. Enrico

    Lo spostamento dei fondi verso le imprese è coerente con le politiche dell’offerta supportate dall’ideologia liberista. Ammesso che questo approccio sia minimamente fondato, ci si dovrebbe chiedere perché oltre la metà delle imprese beneficiarie, intervistate dall’INAPP, dichiarino che sussidi e incentivi (richiesti e ottenuti!) non hanno modificato affato i loro piani di investimento e occupazione. Non so se un uso talmente inefficiente dei fondi si configuri come un danno erariale, ma certamente non raggiunge l’obiettivo dichiarato di far crescere l’economia e migliorare la coesione sociale, ma solo quello di integrare i profitti.

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